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Un'accoglienza calorosa

 

Il giorno diventava sempre più luminoso e più calalo man mano che la navigazione procedeva. Dopo un po' il fiume aggirò un promontorio scosceso, alla loro sinistra. Ai suoi piedi, rocciosi come quelli di una scogliera, la corrente più profonda era scivolata ribollente e spumeggiante. Improvvisamente la scogliera scomparve e le sponde si abbassarono. Gli alberi finirono e una grande vista si aperse agli occhi di Bilbo.

Le terre si stendevano vaste davanti a lui, venate qua e là dalle acque del fiume che si diramava in centinaia di rivi serpeggianti, o dilagava stagnando in acquitrini e paludi punteggiate di isolotti; cionondimeno, un robusto corso d'acqua continuava a fluire costantemente al centro. E lontano lontano, con la cima scura che si intravedeva attraverso gli squarci della nuvola che l'avvolgeva, ecco profilarsi la Montagna! Era impossibile scorgere le altre montagne più vicine a Nord-Est e la terra sconvolta che la collegava a essa. Tutta sola si ergeva, e appariva sopra le paludi fino alla foresta. La Montagna Solitaria! Bilbo era arrivato da lontano e aveva superato molte traversie per vederla, ma ora il suo aspetto non gli piaceva per niente.

Mentre ascoltava gli zatterieri che parlavano e metteva insieme tutti i brandelli d'informazione che essi lasciavano cadere, si rese presto conto che era stato molto fortunato se era riuscito a vederla, anche se da quella distanza. Per quanto cupa fosse stata la sua prigionia e per quanto sgradevole fosse la sua situazione attuale (per tacere dei poveri Nani sotto di lui!), tuttavia era stato più fortunato di quanto avesse immaginato. Il discorso verteva tutto sul commercio che si svolgeva nei due sensi sulle vie fluviali e sull'aumento del traffico sul fiume, man mano che le strade che da Est portavano a Bosco Atro sparivano o cadevano in disuso; e sui litigi tra gli Uomini del Lago e gli Elfi Silvani a causa della manutenzione del Fiume Selva e della sorveglianza delle rive. Quelle terre erano molto cambiate dai giorni in cui i Nani dimoravano nella Montagna, giorni di cui la maggior parte della gente serbava ora solo un ricordo molto sbiadito. C'erano stati cambiamenti perfino negli ultimi anni, dopo le ultime notizie che ne aveva avuto Gandalf. Grandi piogge avevano gonfiato le acque che scorrevano a Est; e c'erano stati un paio di terremoti (alcuni propendevano ad attribuirne la causa al drago, e quando alludevano a lui lo facevano con un'imprecazione e un cenno di malaugurio in direzione della Montagna). Le paludi e i pantani si erano moltiplicati da tutte le parti. Erano spariti alcuni sentieri, e anche molti cavalieri e viaggiatori partiti alla ricerca delle strade che un tempo avevano attraversato quelle regioni. La strada elfica della foresta che i Nani avevano seguito su consiglio di Beorn portava ora a un'uscita sospetta e poco usata sul bordo orientale della foresta; solo il fiume offriva ancora un percorso sicuro dai margini di Bosco Atro a Nord fino alle pianure che si stendevano all'ombra della Montagna, e il fiume era sorvegliato dal re degli Elfi Silvani.



Come vedete, alla fine Bilbo era arrivato a destinazione seguendo la sola strada che servisse ancora al suo scopo. Sarebbe stato di qualche conforto per il signor Baggins, mentre rabbrividiva sui barili, sapere che tali notizie avevano raggiunto anche Gandalf, pur lontano com'era, e gli avevano causato una grande ansietà: ora anzi, affrettata la conclusione di quell'altro suo affare (che non ha alcun rapporto con la nostra storia), egli stava preparandosi a venire in cerca della compagnia di Thorin. Ma questo Bilbo non lo sapeva.

Sapeva solo di avere fame, e il fiume pareva non avesse mai fine; si era preso un brutto raffreddore, e non gli piaceva il cipiglio con cui la Montagna sembrava squadrarlo e minacciarlo man mano che gli si faceva più vicina. Dopo un po', comunque, il fiume prese a scorrere più verso Sud e la Montagna si allontanò di nuovo; sul finire del giorno, le sponde si fecero nuovamente rocciose, il fiume raccolse tutte le sue diramazioni in un profondo e rapido flusso, e scivolarono via a gran velocità.

Il sole era ormai tramontato quando, voltando in un altro meandro verso Oriente, il Fiume Selva si gettò nel Lago Lungo. In quel punto entrambe le rive erano alte come pareti rocciose, simili a scogliere, alla cui base si levavano grossi mucchi di ciottoli. Il Lago Lungo! Bilbo non aveva mai immaginato che una distesa d'acqua che non fosse il mare potesse sembrare così grande. Era così largo che le rive opposte parevano piccole e remote e così lungo che l'estremità settentrionale, in direzione della Montagna, non si poteva distinguere affatto. Solo ricordando la mappa Bilbo era in condizione di sapere che lassù, molto lontano, dove le stelle del Carro stavano già scintillando, il fiume Fluente scendeva nel lago da Dale e assieme al Fiume Selva riempiva di acque profonde quella che un tempo era stata probabilmente una grande vallata rocciosa. All'estremità meridionale le loro acque riunite si riversavano a valle precipitando da alte cascate, e scorrevano rapide verso terre ignote. Nella quiete della sera si poteva udire il rumore delle cascate simile a un lontano ruggito.

Non lontano dalla foce del Fiume Selva c'era la strana città di cui egli aveva sentito parlare dagli Elfi nelle cantine del re. Non era costruita sulla sponda, anche se lì c'erano alcune capanne e qualche edificio, ma proprio dentro il lago, protetta dai vortici dell'immissario da un promontorio roccioso che formava una quieta baia. Un grande ponte di legno si spingeva fin dove, su enormi palafitte ricavate dagli alberi della foresta, era costruita un'operosa città di legno, non una città di Elfi ma di Uomini, che ancora osavano dimorare all'ombra della montagna del drago. Essi prosperavano ancora col commercio che risaliva il grande fiume da Sud e veniva convogliato alla loro città, una volta superate sui carri le cascate; ma nei gloriosi giorni del passato, quando Dale a Nord era ricca e fiorente, essi erano stati ricchi e potenti, e c'erano state intere flottiglie di barche sull'acqua, e alcune erano cariche d'oro e altre di guerrieri che rivestivano armature, e c'erano state guerre e gesta che ora erano solo una leggenda. Si potevano ancora vedere sulle rive i pilastri putrefatti di una città più grande, quando l'acqua calava a causa della siccità.

Ma gli Uomini ricordavano poco di tutto ciò, anche se alcuni cantavano ancora vecchie canzoni che parlavano dei re dei Nani sotto la Montagna, Thror e Thrain della stirpe di Durin, e dell'arrivo del drago e della caduta dei signori di Dale. Alcuni cantavano anche che un giorno Thror e Thrain sarebbero ritornati e l'oro avrebbe ripreso a scorrere a flutti di sotto alla Montagna e le terre avrebbero risonato per ogni dove di nuovi canti e di nuove risa. Ma questa piacevole leggenda non aveva una grande importanza nelle loro occupazioni giornaliere.

 

* * *

 

 

Appena fu avvistata la zattera di barili, alcune barche si staccarono dai pilastri della città e molte voci chiamarono gli zatterieri. Poi furono lanciate delle corde e si mise mano ai remi; presto la zattera fu tratta fuori dalla corrente del Fiume Selva, e rimorchiata intorno al promontorio roccioso nella piccola baia di Pontelagolungo. Fu ormeggiata lì non lontano dall'estremità del ponte, dalla parte della riva. Presto sarebbero venuti Uomini dal Sud a portar via una parte dei tini e a riempirne altri con merci che dovevano essere portate su per il fiume fino alle case degli Elfi Silvani. Nel frattempo i barili venivano lasciati galleggiare mentre gli Elfi della zattera e i barcaioli andavano a far bisboccia a Pontelagolungo.

Sarebbero stati di certo molto sorpresi, se avessero potuto vedere che cosa accadeva vicino alla riva, dopo che essi se n'erano andati ed erano calate le tenebre della notte. Prima di tutto Bilbo tagliò la fune che legava un barile, e dopo averlo liberato lo spinse a riva e lo aprì. Da dentro provennero dei grugniti e un Nano sommamente infelice uscì fuori tutto aggranchito. Fili di paglia umida gli ornavano la barba inzaccherata, ed era così indolenzito e irrigidito, così ammaccato e illividito che poteva a malapena stare ritto sulle gambe o barcollare attraverso l'acqua bassa per andare a distendersi grugnendo sulla spiaggia. Aveva lo stesso aspetto affamato e selvaggio di un cane che fosse stato incatenato e dimenticato in un canile per settimane. Era Thorin, ma lo si poteva riconoscere solo dalla catena d'oro e dal colore del cappuccio azzurro cielo (ora sporco e sbrindellato, con la nappa d'argento tutta scurita). Ci volle un bel po' prima che si mostrasse quanto meno educato verso lo Hobbit.

«Be', sei vivo o morto?» domandò Bilbo con una certa asprezza. Forse aveva dimenticato di aver fatto almeno un buon pasto in più dei Nani, di avere avuto inoltre l'uso delle gambe e delle braccia, per non parlare della maggiore quantità d'aria di cui aveva goduto. «Sei ancora in prigione o sei libero? Se hai voglia di mangiare e se desideri ancora andare avanti con questa stupida avventura - che dopo tutto è la tua avventura, non la mia - farai meglio a sbattere le braccia e a massaggiarti le gambe e ad aiutarmi a tirare fuori gli altri finché c'è tempo!»

Thorin naturalmente si rese subito conto che c'era del buon senso in queste parole, sicché dopo avere mugugnato un altro po' si alzò e aiutò lo Hobbit come meglio poté. Al buio, sguazzando nell'acqua fredda, ebbero il loro bel daffare a capire quali fossero i barili giusti. Bussando al di fuori e chiamando scoprirono che solo una mezza dozzina di Nani erano ancora in grado di rispondere. Questi vennero disimballati e aiutati a venire a riva, dove si sedettero o si distesero borbottando e brontolando; erano così fradici, ammaccati e ingranchiti che potevano a malapena apprezzare la loro liberazione ed esserne debitamente riconoscenti.

Dwalin e Balin erano tra i più infelici, e fu inutile chiedere il loro aiuto. Bifur e Bofur erano meno ammaccati e più asciutti, ma si stesero per terra e non vollero fare alcunché. Per fortuna Fili e Kili, che erano giovani (per dei Nani) e inoltre erano stati imballati con più cura in tini più piccoli ben riempiti di paglia, vennero fuori più o meno sorridenti, soltanto con un livido o due e una certa rigidezza che presto si dileguò.

«Spero di non sentire mai più odor di mele!» disse Fili. «Il mio tino ne era pieno. C'è da impazzire a sentire quell'eterno profumo di mele, quando ci si può a malapena muovere, si ha freddo, e si sta male per la fame. Potrei mangiare qualsiasi cosa nel vasto mondo, per ore e ore di seguito: ma una mela no!»

Col volonteroso aiuto di Fili e Kili, Thorin e Bilbo finalmente scoprirono il resto della compagnia e li tirarono fuori. Il povero grasso Bombur dormiva o era svenuto; Dori, Nori, Ori, Oin e Gloin avevano imbarcato acqua a non finire e sembravano mezzo morti; bisognò trasportare uno per uno quei disgraziati e stenderli sulla spiaggia.

«Be'! Eccoci qua!» disse Thorin. «E suppongo che dobbiamo ringraziare la nostra buona stella e il signor Baggins. Sono sicuro che se lo aspetta a buon diritto, anche se sarebbe stato desiderabile che avesse potuto organizzare un viaggio un po' più comodo. Comunque... siamo tutti i tuoi umilissimi servitori, una volta di più, signor Baggins. Non c'è dubbio che ci sentiremo debitamente riconoscenti, quando avremo la pancia piena e ci saremo rimessi. Nel frattempo, dove si va?»

«A Pontelagolungo, direi» disse Bilbo. «E dove altrimenti?» Naturalmente non era possibile suggerire alcun altro posto; pertanto, lasciando gli altri sul posto, Thorin, Fili, Kili e lo Hobbit si avviarono lungo la riva verso il gran ponte. C'erano delle guardie al suo ingresso, ma non facevano una sorveglianza molto attenta, perché era passato molto tempo da quando ce n'era stato veramente bisogno. Tranne che per saltuari bisticci a proposito dei pedaggi fluviali, essi erano amici degli Elfi Silvani. Altre genti erano molto lontane; e alcuni dei più giovani abitanti della città mettevano apertamente in dubbio l'esistenza di un qualsiasi drago sulla Montagna, e si facevano beffe dei parrucconi e delle vecchie comari che dicevano di averlo visto volare in cielo ai tempi della loro giovinezza. Stando così le cose, non c'è da sorprendersi se le guardie stavano bevendo e ridendo accanto al fuoco nella loro capanna, e non udirono il rumore del disimballaggio dei Nani o i passi dei quattro esploratori. Il loro sbalordimento fu quindi enorme quando Thorin Scudodiquercia varcò la soglia.

«Chi sei? Che vuoi?» urlarono, balzando in piedi e cercando a tastoni le armi.

«Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror, Re sotto la Montagna!» disse il nano a voce alta, pieno di maestà nonostante i vestiti laceri e il cappuccio infangato. L'oro gli brillava intorno al collo e alla cintura; i suoi occhi erano scuri e profondi. «Sono ritornato. Voglio vedere il Governatore della vostra città.»

Allora ci fu un'eccitazione incredibile. Alcuni dei più suggestionabili corsero fuori come se si aspettassero che la Montagna diventasse d'oro quella notte stessa e tutte le acque del lago si facessero gialle all'istante. Il capitano della guardia venne avanti.

«E questi chi sono?» domandò, indicando Fili, Kili e Bilbo.

«I figli della figlia di mio padre» rispose Thorin. «Fili e Kili, della stirpe di Durin, e il signor Baggins che ha viaggiato con noi dal lontano Occidente.»

«Se venite in pace deponete le armi!» disse il capitano.

«Non ne abbiamo» disse Thorin, ed era abbastanza vero: i coltelli gli erano stati tolti dagli Elfi Silvani, assieme alla nobile spada Orcrist. Bilbo aveva la sua spada corta, nascosta come al solito, ma non disse niente al riguardo. «Non abbiamo bisogno di armi, noi che finalmente torniamo ai nostri possessi secondo l'antica profezia. Né potremmo combattere soli contro tanti. Portaci dal tuo signore!»

«Egli presiede al banchetto» disse il capitano.

«Ragione di più per portarci da lui» irruppe Fili, che considerava queste cerimonie con crescente impazienza. «Siamo sfiniti e affamati dopo tutta la strada che abbiamo percorso e abbiamo alcuni compagni che stanno male. Sbrigati, adesso, e smettila di cianciare, o il tuo signore avrà qualche parolina da dirti!»

«Seguitemi, dunque» disse il capitano, e scortatili con sei uomini li condusse sopra il ponte, attraverso la porta e nella piazza principale della città. Questa era un largo specchio d'acqua quieta, circondato da alti pilastri, su cui erano costruite le case più grandi, e lunghe banchine di legno con molti gradini e scale che scendevano fino alla superficie del lago. In una delle grandi sale splendevano molte luci e risonavano molte voci. Essi ne oltrepassarono le porte e rimasero fuori sbattendo gli occhi per la luce, guardando le lunghe tavole stipate di gente.

«Io sono Thorin, figlio di Thrain, figlio di Thror, Re sotto la Montagna! Io ritorno!» gridò Thorin con voce squillante dalla soglia, prima che il capitano potesse dire alcunché.

Tutti balzarono in piedi. Il Governatore della città si alzò dal suo scanno. Ma nessuno fu più sorpreso degli zatterieri elfici che sedevano all'estremità più bassa della sala. Facendosi largo a spintoni fin davanti alla tavola del Governatore gridarono:

«Questi sono prigionieri del nostro re che sono evasi, Nani girovaghi e vagabondi che non hanno saputo giustificare in modo plausibile la loro presenza nei boschi, spioni e molestatori della nostra gente!»

«E vero?» domandò il Governatore. In realtà egli riteneva questa versione molto più credibile che non il ritorno del Re sotto la Montagna, ammesso che una persona del genere fosse mai esistita.

«E vero che siamo stati subdolamente attratti in un'imboscata dagli Elfi e imprigionati senza ragione mentre eravamo in viaggio per ritornare alla nostra terra» rispose Thorin. «Ma né serratura né sbarre possono fermare coloro che tornano a casa secondo le antiche profezie. Né questa città fa parte del reame degli Elfi Silvani. Io parlo col Governatore della città degli Uomini del Lago, non con i barcaioli del re.»

Allora il Governatore esitò e rivolse lo sguardo dall'uno agli altri. Il re degli Elfi era molto potente da quelle parti, e il Governatore non desiderava che ci fosse ostilità tra loro, né faceva gran conto delle vecchie canzoni, perché tutta la sua attenzione era rivolta al commercio e ai pedaggi, ai carichi e all'oro, e proprio a questo doveva la sua posizione. Altri tuttavia erano di diverso parere e la questione si risolse rapidamente senza di lui: la novità si era diffusa come il fuoco dalle porte della sala per tutta la città. La gente gridava dentro e fuori, e le banchine si riempirono in un baleno. Alcuni cominciarono a cantare brani di vecchie canzoni che parlavano del ritorno del Re sotto la Montagna; che fosse ritornato il nipote di Thror, e non Thror in persona, non li preoccupava minimamente. Altri si unirono al coro e il canto risonò alto e chiaro sopra il lago.

 

Il re degli antri che stan sotto il monte

e delle rocce aride scavate,

che fu signore delle argentee fonti

queste cose riavrà, già a lui strappate!

 

Sul capo il suo diadema poserà,

dell'arpa ancora sentirà il bel canto

e in sale dorate echeggerà

di melodie passate il dolce incanto.

 

Sui monti le foreste ondeggeranno,

ondeggeranno al sole l'erbe lucenti,

le ricchezze a cascate scenderanno

e i fiumi saranno ori fulgenti.

 

I ruscelli felici scorreranno,

i laghi brilleran nella campagna

e dolori e tristezza svaniranno

al ritorno del Re della Montagna.

 

Questo cantarono, o qualcosa di simile a questo, solo che andarono avanti molto più a lungo, e c'era un gran frastuono che si mischiava alla musica delle arpe e dei violini. In effetti neanche il vecchio più vecchio della città poteva ricordare che ci fosse mai stata una tale eccitazione. Gli stessi Elfi Silvani cominciarono a provare un'enorme meraviglia e perfino ad avere paura. Naturalmente non sapevano in che modo Thorin fosse riuscito a evadere, e cominciarono a pensare che il loro re potesse avere fatto un grosso sbaglio. Per quanto riguarda il Governatore, egli vide che non c'era altro da fare che arrendersi al clamore generale, almeno per il momento, e far mostra di credere che Thorin fosse chi diceva di essere. Così gli cedette il proprio scanno e collocò Fili e Kili accanto a lui ai posti d'onore. Perfino a Bilbo fu dato un posto alla tavola principale, e nel brusio generale non si chiese nessuna spiegazione di che cosa c'entrasse lui, visto che nessuna canzone aveva mai alluso a lui nemmeno nel più oscuro dei modi.

Poco dopo gli altri Nani furono portati in città in mezzo a scene di entusiasmo incredibile. Furono tutti curati, nutriti, ospitati e coccolati nel migliore e più soddisfacente dei modi. Una grande casa fu ceduta a Thorin e alla sua Compagnia; barche e rematori furono messi al loro servizio; e una folla enorme stava seduta all'aperto a cantare tutto il giorno, o dava in acclamazioni se un qualche Nano metteva fuori anche solo la punta del naso.

Alcune canzoni erano antiche; ma altre erano abbastanza recenti e parlavano fiduciosamente dell'improvvisa morte del drago e dei battelli pieni di ricchi doni che sarebbero scesi giù per il fiume a Pontelagolungo. Queste erano largamente ispirate dal Governatore e non furono particolarmente gradite ai Nani, che nel frattempo però erano accuditi nel migliore dei modi e in breve ridiventarono grassi e forti. Veramente entro una settimana si erano rimessi del tutto, equipaggiati con bei vestiti del colore giusto, con la barba pettinata e lisciata, e una fiera andatura. Thorin aveva un'aria e un incedere tali da far credere che avesse già riguadagnato il suo regno e avesse tritato Smog a pezzetti.

E come egli aveva detto, l'affetto dei Nani per il piccolo Hobbit si fece più saldo di giorno in giorno. Non c'erano più brontolii o borbottii. Bevevano alla sua salute, gli davano pacche sulla schiena, e cantavano le sue lodi da mattina a sera; ed era proprio quello che ci voleva, perché egli non si sentiva particolarmente su di morale. Non aveva dimenticato l'aspetto della Montagna, né la paura del drago, e per di più aveva un raffreddore pazzesco. Per tre giorni starnutì e tossì, e non poté uscire, e perfino in seguito i suoi discorsi ai banchetti si limitarono a un «Grazie dande a duddi.»

 

* * *

 

Nel frattempo gli Elfi Silvani avevano risalito il Fiume Selva con il loro carico, e c'era grande agitazione nel palazzo reale. Non sono mai venuto a sapere che cosa accadde al capo delle guardie e al maggiordomo. Ovviamente, mentre i Nani erano a Pontelagolungo non una parola fu mai detta a proposito di chiavi o di barili, e Bilbo stette attento a non diventare mai invisibile. Tuttavia, oserei dire, si indovinò più di quanto non si sapesse, anche se il signor Baggins rimase senza dubbio un mistero per tutti. In ogni caso il re era adesso a conoscenza della missione dei Nani, o pensava di esserlo, e disse tra sé e sé:

'Benissimo! La vedremo! Nessun tesoro attraverserà Bosco Atro senza che io abbia qualcosa da ridirci. Ma immagino che faranno tutti una brutta fine, proprio quella che si meritano!' Egli non credeva che i Nani fossero in grado di combattere e uccidere draghi come Smog, e aveva il forte sospetto che avrebbero piuttosto cercato di depredarlo o qualcosa di simile, e questo dimostra che era un Elfo saggio, più saggio degli Uomini della città, sebbene non avesse affatto ragione, come si vedrà alla fine. Disseminò le sue spie lungo le rive del lago e il più a Nord possibile, verso la Montagna, e rimase in attesa.

Dopo una quindicina di giorni Thorin cominciò a pensare alla partenza. Il momento giusto per chiedere aiuto era quando la città era ancora al colmo dell'entusiasmo. Sarebbe stato uno sbaglio lasciarlo raffreddare indugiando. Così egli parlò con il Governatore e con i suoi consiglieri e disse che presto lui e la sua compagnia sarebbero dovuti partire per la Montagna.

Allora per la prima volta il Governatore fu sorpreso e un po' spaventato; e si domandò se in fondo Thorin non fosse per davvero un discendente degli antichi re. Non aveva mai pensato che i Nani avrebbero osato sul serio avvicinarsi a Smog, convinto com'era che essi fossero impostori che prima o poi sarebbero stati scoperti e smascherati. Aveva torto. Thorin, beninteso, era veramente il nipote del Re sotto la Montagna, ed è impossibile prevedere che cosa osi fare un Nano per vendicarsi o per riconquistare quello che gli appartiene.

Ma al Governatore non dispiaceva affatto lasciarli andare. Mantenerli costava caro, e il loro arrivo aveva creato un'atmosfera da lunga vacanza in cui gli affari ristagnavano. 'Vadano pure a disturbare Smog e vedano un po' come li riceve!' pensò. «Certamente, o Thorin figlio di Thrain figlio di Thror!» fu quello che disse. «Devi reclamare ciò che ti appartiene. L'ora è vicina, o re che aspettavamo. Tutto l'aiuto che possiamo offrire sarà tuo e ci affidiamo alla tua riconoscenza quando avrai riconquistato il tuo regno.»

Così, un giorno, sebbene fosse ormai autunno inoltrato, e il vento fosse freddo e le foglie cadessero rapidamente, tre grosse barche partirono da Pontelagolungo, cariche di rematori, Nani, il signor Baggins e provviste in abbondanza. Cavalli e pony erano stati inviati per il sentiero che aggirava il lago a incontrarli al punto d'approdo previsto. Il Governatore e i suoi consiglieri dissero loro addio dagli ampi gradini del municipio che scendevano fino al lago, e la gente cantò raccolta sulle banchine o affacciata alle finestre. I bianchi remi si immersero sollevando alti spruzzi, ed essi risalirono il lago verso Nord, per l'ultima tappa del loro lungo viaggio. La sola persona profondamente infelice era Bilbo.

 


CAPITOLO XI

Sulla soglia

 

Nei due giorni successivi risalirono il Lago Lungo e imboccarono il Fiume Fluente, e poterono così vedere tutti quanti la Montagna Solitaria, che troneggiava truce e alta davanti a loro. La corrente era forte ed essi procedevano lentamente. Sul finire del terzo giorno, dopo avere risalito il fiume per qualche miglio, accostarono a sinistra, sulla riva occidentale, e sbarcarono. Qui furono raggiunti dai cavalli con le altre provviste e dai pony destinati al loro uso personale. Caricarono quello che poterono sui pony, e il resto fu immagazzinato sotto una tenda; ma nessuno degli uomini della città volle rimanere con loro, neanche per una sola notte, così vicino all'ombra della Montagna.

«Almeno finché le canzoni non si saranno avverate!» dissero. In quei luoghi selvaggi era più facile credere nel drago che in Thorin. In realtà le loro riserve alimentari non avevano bisogno di molta sorveglianza, visto che tutto quel territorio era desolato e deserto. Perciò la loro scorta li lasciò, avviandosi rapidamente giù per il fiume e per i sentieri lungo la riva, sebbene la notte stesse già scendendo.

Passarono una notte fredda e solitaria, e il loro morale cadde di colpo. L'indomani ripartirono. Balin e Bilbo cavalcavano in retroguardia, ognuno tirandosi dietro un altro pony stracarico; gli altri erano un po' più avanti, aprendosi il cammino con grande lentezza perché non c'erano sentieri. Si diressero a Nord-Est, dalla parte opposta al Fiume Fluente, avvicinandosi sempre di più a un grande sperone della Montagna che si protendeva a Sud verso di loro.

Era un viaggio molto faticoso, silenzioso e furtivo. Non c'erano risa o canzoni o suoni d'arpe, e la fierezza e la speranza suscitate nei loro cuori dal canto delle antiche canzoni sul lago si spensero in una stanca malinconia. Sapevano che stavano per arrivare alla fine del loro viaggio, e che poteva essere una fine veramente orrenda. Il paesaggio intorno a loro diventava sempre più cupo e brullo, sebbene un tempo, come disse loro Thorin, fosse stato verde e bello. C'era poca erba, e dopo un po' non ci furono più né alberi né arbusti, ma solo alcuni ceppi spezzati e anneriti evocavano quelli spariti da lungo, lungo tempo. Erano arrivati nella Desolazione del Drago, ed erano arrivati al declino dell'anno.

 

* * *

 

Tuttavia raggiunsero le falde della Montagna senza imbattersi in alcun pericolo o in alcuna traccia del drago, a parte il deserto da lui creato intorno alla propria tana. La Montagna si ergeva scura e silenziosa davanti a loro, sempre più alta sulle loro teste. Stabilirono il primo accampamento sul lato occidentale del grande sperone meridionale, che finiva in un'altura chiamata Collecorvo. Un tempo c'era stato un posto di guardia, lì sopra; ma non osarono ancora arrampicarvisi, perché era troppo esposto.

Prima di mettersi in marcia per esplorare i contrafforti occidentali della Montagna in cerca di quella porta segreta sulla quale si fondavano tutte le loro speranze, Thorin inviò un gruppo in avanscoperta a perlustrare la zona a Sud dov'era la Porta Principale. Scelse all'uopo Balin, Fili e Kili, e Bilbo andò con loro. Marciarono sotto le rupi grigie e silenziose fino ai piedi di Collecorvo; lì il fiume, dopo avere disegnato una larga ansa sopra la valle di Dale, dirigeva il suo corso dalla Montagna verso il lago, scorrendo rapido e rumoroso. Le sue rive erano spoglie e rocciose, alte e scoscese sopra la corrente; e sporgendosi a guardare sopra il suo stretto letto pieno d'acqua che spumeggiava e schizzava tra i numerosi macigni, poterono vedere nella vasta vallata, all'ombra dei contrafforti della Montagna, le grigie rovine di antiche case, torri e mura.

«Ecco tutto quello che rimane di Dale» disse Balin. «I fianchi della Montagna verdeggiavano di boschi, e la vallata tranquilla era ricca e ridente ai tempi in cui le campane sonavano in quella città.» Mentre diceva queste cose, il suo volto era triste e torvo: egli era stato uno dei compagni di Thorin il giorno in cui era arrivato il drago.

Non osarono seguire il fiume molto più in là verso la Porta; ma si spinsero oltre l'estremità dello sperone meridionale, finché stando nascosti pancia a terra dietro una roccia poterono scorgere la scura apertura di una caverna in una grande parete rocciosa proprio in mezzo ai contrafforti della Montagna. Ne sgorgavano le acque del Fiume Fluente; ma ne uscivano anche vapori e fumo nero. Nulla si moveva in quel deserto, tranne il vapore e l'acqua, e di tanto in tanto un corvo nero e malaugurante. L'unico suono era quello dell'acqua sui sassi, e il rauco gracchiare di un uccello. Balin rabbrividì.

«Torniamo indietro!» disse. «È inutile restare qui! E quegli uccellacci neri non mi piacciono, sembrano spie del male.»

«Dunque il drago è ancora vivo e sta nelle sale sotto la Montagna, almeno a giudicare dal fumo» disse lo Hobbit.

«Questo non è una prova,» disse Balin «sebbene io non dubiti che tu abbia ragione. Ma può essersene andato per un po', o può starsene disteso sul fianco della Montagna a fare la guardia, senza che fumo e vapore cessino di venire fuori dalla Porta: tutte le sale lì intorno debbono essere ricolme del suo puzzo fetido.»

 

* * *

 

Con questi tetri pensieri, sempre seguiti dai corvi gracchianti sopra di loro, ritornarono faticosamente all'accampamento. Solo qualche mese prima, a giugno, erano stati ospiti della bella casa di Elrond e, benché l'autunno stesse ormai per lasciare il passo all'inverno, quei bei momenti sembravano ora appartenere ad anni e anni prima. Erano soli in un deserto pieno di pericoli senza nessuna speranza di aiuto; erano giunti alla fine del loro viaggio, ma pareva che fossero più lontani che mai dalla fine della loro ricerca. Nessuno di loro aveva molto entusiasmo in serbo.

Strano a dirsi, il signor Baggins ne aveva ora più degli altri. Prendeva spesso la mappa di Thorin e la fissava, meditando sulle rune e sul messaggio scritto in lettere lunari che Elrond aveva letto. Fu lui che spinse i Nani a cominciare la pericolosa esplorazione dei pendii occidentali in cerca della porta segreta. Allora spostarono il loro accampamento in una lunga valle, più stretta della grande vallata a Sud dove si ergeva la Porta Principale, e le cui pareti erano formate dai contrafforti più bassi della Montagna. Due di questi si protendevano dal massiccio centrale verso Occidente, in lunghe creste dai fianchi scoscesi che degradavano verso la pianura. Su questo lato occidentale le tracce delle imprese predatrici del drago erano meno evidenti e c'era un po' d'erba per i pony. Dal loro accampamento, ombreggiato tutto il giorno dalla parete montana e dalle rupi finché il sole non cominciava a calare verso la foresta, giorno dopo giorno essi arrancarono divisi in gruppetti alla ricerca di sentieri che risalissero il fianco della Montagna. Se la mappa diceva il vero, la porta segreta doveva trovarsi da qualche parte in alto sopra la rupe posta all'inizio della valle. Ma, giorno dopo giorno, essi ritornarono all'accampamento senza successo.

Alla fine, inaspettatamente, trovarono quello che andavano cercando. Fili e Kili e lo Hobbit un giorno ritornarono giù nella valle e si arrampicarono in mezzo alle rocce scoscese della parte meridionale. Verso mezzogiorno, strisciando dietro una grossa pietra che si innalzava solitaria come una colonna, Bilbo si imbatté in quelli che sembravano rozzi gradini che salivano in su. Seguendoli tutti eccitati trovarono tracce di una stretta pista, spesso cancellate, spesso ben marcate, che salivano a zig-zag fino in cima alla cresta meridionale, e finalmente li portarono a una cornice sempre più stretta, che girava verso Nord proprio in faccia alla Montagna. Guardando in giù videro che si trovavano in cima alla rupe all'inizio della valle e che il loro sguardo cadeva sull'accampamento sottostante. Silenziosamente, afferrandosi alla parete rocciosa alla loro destra, avanzarono in fila indiana su quella cornice, finché la parete si aprì ed essi svoltarono in uno spiazzo circondato da pareti scoscese, con il suolo coperto d'erba, silenzioso e quieto. Il suo ingresso, che essi avevano trovato così, per caso, non si poteva vedere né da sotto a causa della rupe che vi sporgeva da sopra, né da lontano perché era così piccolo che sembrava una fessura nera e nulla più. Non era una caverna, anzi il cielo si apriva libero sopra di loro, e all'estremità più interna si alzava una parete di pietra che alla base, vicino al suolo, era liscia e diritta come se fosse stata fatta da uno scalpellino, senza però che fosse possibile scorgere una qualche giuntura o fessura. Non c'era nessun segno di sbarra o spranga o serratura; tuttavia, neanche per un istante essi misero in dubbio di avere finalmente trovato la porta.

Vi picchiarono sopra, la spinsero, la presero a spallate, la supplicarono di muoversi, pronunciarono frammenti di formule magiche incomplete per farla aprire: niente si mosse. Alla fine, esausti, si riposarono sull'erba ai suoi piedi e a sera cominciarono la lunga discesa.

 

* * *

 

 

Quella notte ci fu grande eccitazione all'accampamento. Al mattino si prepararono a spostarsi ancora una volta. Solo Bofur e Bombur furono lasciati indietro a fare la guardia ai pony e alle provviste che avevano portato con loro dal fiume. Gli altri scesero giù nella valle e salirono su per il sentiero appena scoperto, e poi sulla stretta cornice. Lungo quest'ultima non potevano trasportare né fagotti né pacchi, tanto era stretta e mozzafiato, avendo sul lato sinistro un precipizio di cinquanta metri che terminava sulle aguzze rocce sottostanti; ma ciascuno di loro prese un robusto rotolo di corda strettamente legata intorno alla vita, e così raggiunsero finalmente senza incidenti il piccolo spiazzo erboso.

Lì stabilirono il loro terzo accampamento, issando con le corde ciò di cui avevano bisogno. Allo stesso modo potevano, quando se ne presentava la necessità, calare giù uno dei Nani più agili, come Kili, per scambiarsi le novità o fare un turno di guardia lì sotto, mentre Bofur veniva issato su all'accampamento più alto. Bombur non venne mai su né per mezzo della corda né seguendo il sentiero.

«Sono troppo grasso per queste passeggiate da mosca» disse. «Mi verrebbero le vertigini o inciamperei nella barba, e allora sareste di nuovo in tredici. E le corde annodate sono troppo sottili per il mio peso.» Fortuna per lui che questo non era vero, come vedrete.

Nel frattempo alcuni di essi esplorarono il crinale al di là dell'apertura e trovarono un sentiero che portava sempre più in alto sulla Montagna; ma non osarono avventurarsi tanto in là, e d'altra parte non sarebbe servito a molto. Lassù regnava un silenzio che nessun uccello o suono incrinava, tranne il sibilo del vento nelle fenditure della roccia. Essi parlavano a bassa voce e non si chiamavano mai né cantavano, perché il pericolo era in agguato dietro ogni sporgenza. Gli altri che erano occupati con il segreto della porta non ebbero maggior successo. Erano troppo ansiosi di trovarlo per preoccuparsi delle rune o delle lettere lunari, e cercavano senza requie di scoprire esattamente in quale punto della liscia parete di roccia si nascondesse la porta. Avevano portato picconi e attrezzi di ogni sorta da Pontelagolungo, e all'inizio tentarono di usarli. Ma quando colpirono la pietra i manici si spezzarono ed essi ebbero un doloroso contraccolpo sulle braccia, le punte d'acciaio si ruppero o si piegarono come piombo. La loro abilità di minatori, lo vedevano bene, non serviva a niente contro l'incantesimo che teneva chiusa la porta, e in più furono atterriti dal rumore dell'eco.

Bilbo scoperse così che sedere sulla soglia poteva essere malinconico ed estenuante. Non era una soglia vera e propria, naturalmente, ma per scherzo essi avevano dato questo nome al piccolo spiazzo erboso che si estendeva tra la parete e l'apertura, ricordando le parole di Bilbo tanto tempo addietro quando si erano incontrati nella sua caverna, e lui aveva detto che potevano sedere sulla soglia finché non venisse loro in mente qualcosa. E star seduti a pensare era proprio quello che facevano, oppure andare qua e là senza scopo diventando sempre più depressi.

Il loro morale, che si era un poco rialzato alla scoperta del sentiero, ora cadde di nuovo sotto le scarpe; eppure non si dettero per vinti e non se ne andarono. Lo Hobbit non era molto più vivace dei Nani: non faceva nulla tranne che star seduto anche lui con la schiena contro la liscia parete rocciosa a fissare lontano verso Ovest, oltre l'apertura sopra la rupe, le vaste terre che si stendevano fino alla nera muraglia di Bosco Atro e gli spazi al di là di essa, in cui talvolta credeva di poter cogliere brevemente l'immagine delle Montagne Nebbiose piccole e lontane. Se i Nani gli domandavano cosa stesse facendo rispondeva: «Dicevate che il mio compito sarebbe stato quello di sedere sulla soglia a pensare, - figurarsi entrare! -, dunque sto seduto e penso». Temo però che non pensasse molto al suo compito, bensì a quello che c'era in lontananza, oltre quella distanza azzurra, la quieta Terra Occidentale, la Collina e la sua caverna hobbit sotto di essa.

Una larga pietra grigia giaceva al centro del prato ed egli la fissava torvo, osservando le grosse chiocciole che si arrampicavano sopra. Pareva che amassero quel piccolo spiazzo segreto, con le sue mura di fredda roccia, e ce n'erano molte di grosse dimensioni che strisciavano lente e vischiose sulle sue pareti.

 

* * *

 

«Domani comincia l'ultima settimana d'autunno» disse un giorno Thorin.

«E dopo l'autunno viene l'inverno» disse Bifur.

«E l'anno nuovo dopo quello vecchio,» disse Dwalin «e la barba ci crescerà fino a spenzolare da qui, in cima alla rupe, fin giù nella valle prima che succeda qualcosa. Che cosa sta facendo per noi il nostro scassinatore? Giacché possiede un anello invisibile, e ormai dovrebbe sapersene servire egregiamente, comincio a pensare che potrebbe anche passare per la Porta Principale e vedere un po' che cosa succede!»

Bilbo lo udì - i Nani erano sulle rocce proprio sopra lo spiazzo dov'egli stava seduto - e 'buon Dio!' pensò 'è questo che si sono messi a pensare, eh? Tocca sempre a me poveretto toglierli dai guai, almeno da quando se n'è andato lo stregone. Che cosa posso fare? Avrei dovuto capire che alla fine sarebbe successo qualcosa di orribile. Non credo che potrei sopportare di rivedere l'infelice vallata di Dale; non parliamo poi della Porta con tutti quei vapori!'.

Quella notte si sentì molto infelice e non dormì quasi per niente. Il giorno dopo i Nani se ne andarono tutti in giro in varie direzioni; alcuni facevano fare del moto ai pony giù in basso, altri erravano sul fianco della Montagna. Bilbo rimase a sedere tutto il giorno nello spiazzo erboso fissando la porta, o l'Occidente attraverso la stretta apertura. Aveva la strana sensazione di essere in attesa di qualcosa. 'Forse lo stregone tornerà all'improvviso' pensò.

Se sollevava la testa poteva scorgere vagamente la foresta remota. Quando il sole declinò a Occidente ci fu un bagliore giallo sopra il verde tetto lontano, come se la luce sfiorasse le estreme pallide foglie. Presto egli vide la palla arancione del sole calare al livello dei suoi occhi. Andò verso l'apertura e lì, appena sopra l'orizzonte, c'era un sottile quarto di luna pallido e vago.

Proprio in quel momento sentì, netto dietro di sé, il rumore di qualcosa che veniva schiacciato. Sulla pietra grigia in mezzo all'erba c'era un tordo enorme, nero quasi come il carbone, col petto giallo chiaro picchiettato di macchioline nere. Crac! Aveva preso una chiocciola e stava sbattendola sulla pietra. Crac! Crac!

Improvvisamente Bilbo capì. Dimenticando ogni pericolo balzò sulla cornice e chiamò i Nani a gran voce, urlando e agitando le braccia. Quelli che stavano più vicini arrivarono di corsa ruzzolando sulle rocce, precipitandosi verso di lui sul crinale il più velocemente possibile, domandandosi che cosa mai fosse successo; gli altri urlarono che li issassero con le corde (eccetto Bombur, naturalmente, che dormiva).

Bilbo spiegò in poche parole la sua idea. Tutti fecero silenzio: lo Hobbit ritto accanto alla pietra grigia, e i Nani con la barba ondeggiante che osservavano impazienti. Il sole calò sempre più in basso, e con esso calarono le loro speranze. I Nani gemettero, ma Bilbo rimase ritto, quasi perfettamente immobile. La piccola luna si abbassò anch'essa sull'orizzonte. La sera era imminente. Poi d'improvviso, quando ogni speranza stava proprio per svanire, un rosso raggio di sole scappò come un dito attraverso uno squarcio nelle nubi. Un barbaglio di luce entrò diritto nello spiazzo attraverso l'apertura e cadde sulla liscia parete rocciosa. Il vecchio tordo, che era rimasto appollaiato in alto a guardare con gli occhietti lucenti e col capo da una parte, diede un trillo improvviso. Ci fu un forte scricchiolio. Una scheggia di roccia si staccò dalla parete e cadde. Un buco apparve improvvisamente a circa un metro dal suolo.

 

 

Velocemente, tremando per la paura che quell'estrema possibilità dovesse svanire, i Nani si precipitarono verso la roccia e la spinsero: invano.

«La chiave! La chiave!» gridò Bilbo. «Dov'è Thorin?» Thorin si precipitò avanti.

«La chiave!» urlò Bilbo. «La chiave che stava con la mappa! Sbrigati a provarla finché c'è ancora tempo!»

Allora Thorin si drizzò e si tolse dal collo la catena cui era attaccata la chiave. La infilò nel buco. Entrò benissimo e girò! Tac! Il bagliore si spense, il sole tramontò, la luna sparì, e la sera balzò su nel cielo.

Ora spinsero tutti insieme, e lentamente una parte della parete rocciosa cedette. Apparvero lunghe fessure diritte che si allargarono progressivamente. Si delineò una porta alta un metro e mezzo e larga uno, e lentamente - senza rumore - si aprì verso l'interno. Sembrò che il buio uscisse fuori come un vapore dall'apertura sul fianco della Montagna: un'oscurità profonda in cui non si poteva vedere nulla si parò davanti ai loro occhi, una bocca sbadigliante che conduceva all'interno e in profondità.

 


CAPITOLO XII


Date: 2015-12-17; view: 1104


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