Home Random Page


CATEGORIES:

BiologyChemistryConstructionCultureEcologyEconomyElectronicsFinanceGeographyHistoryInformaticsLawMathematicsMechanicsMedicineOtherPedagogyPhilosophyPhysicsPolicyPsychologySociologySportTourism






UNA VILLA NEI PRESSI DI NEW YORK 2 page

A questo punto Karl sentì di dover intervenire. Quindi si diresse lentamente verso il gruppo e mentre camminava rifletté con la massima rapidità sul modo più opportuno di affrontare la questione. Era il momento giusto, di lì a poco quasi certamente sarebbero stati scacciati entrambi dall'ufficio. Il capitano poteva anche essere un brav'uomo e per di più proprio in quel momento, così sembrava a Karl, doveva avere un motivo particolare per dimostrare di essere un superiore giusto, ma dopotutto non era uno strumento che si può suonare all'infinito, e proprio così lo trattava il fuochista, senza dubbio per l'indignazione smisurata che erompeva dal suo intimo.

Quindi Karl disse al fuochista: «Deve esporre i fatti in modo più semplice, più chiaro, il capitano non può giudicarli così come lei glieli racconta. Pensa forse che conosca tutti i macchinisti e i mozzi per nome o addirittura per soprannome, sicché, solo a sentire uno di questi nomi, sa subito di chi si tratta? Cerchi di dare un ordine ai suoi reclami, esponga prima il più importante e via via gli altri, e forse poi non sarà neppure più necessario nominarli tutti. A me li ha sempre espressi con tanta chiarezza!». «Se in America è possibile rubare valigie, è anche possibile mentire qualche volta», pensò a sua giustificazione.

Se soltanto fosse servito a qualcosa! Non era forse già troppo tardi? All'udire la voce nota il fuochista s'interruppe subito, ma già i suoi occhi, inondati di lacrime per l'orgoglio maschile offeso, per i terribili ricordi e per la grave situazione del momento, non riuscivano neppure più a riconoscere Karl. Del resto, come poteva ora il fuochista - Karl lo capì davanti all'uomo che si era ammutolito -, come poteva ora d'un tratto cambiare il suo modo di parlare, quando gli sembrava di aver già detto tutto ciò che c'era da dire senza aver avuto il minimo riconoscimento? Nel contempo aveva l'impressione di non aver ancora detto nulla, e tuttavia ora non poteva certo più pretendere che quei signori si sorbissero tutta la storia ancora una volta. E in un momento simile ci si metteva anche Karl, il suo unico difensore, con l'intenzione di dargli buoni consigli, e invece gli dimostrava soltanto che tutto era perduto.

«Fossi intervenuto prima, anziché guardare dalla finestra!», si disse Karl, chinò la testa dinanzi al fuochista e si batté le mani sui fianchi, come a significare la fine di ogni speranza.

Ma il fuochista fraintese questo gesto, fiutò piuttosto in Karl qualche segreto rimprovero nei suoi confronti e con la buona intenzione di fargli cambiare idea, per coronare la sua impresa cominciò a litigare con Karl. Proprio allora, nel momento in cui i signori al tavolo rotondo erano oltremodo indignati per l'inutile chiasso che disturbava i loro lavori importanti, nel momento in cui il capocassiere cominciava a trovare incomprensibile la pazienza del capitano e tendeva allo sfogo immediato, nel momento in cui l'inserviente, di nuovo tutto dalla parte dei suoi superiori, fulminava il fuochista con sguardi furibondi, e in cui infine il signore con il bastoncino di bambù, al quale persino il capitano di tanto in tanto lanciava occhiate amichevoli, già del tutto indifferente nei confronti del fuochista, addirittura seccato, tirava fuori un taccuino e, preso ovviamente da ben altri problemi, andava con lo sguardo dal taccuino a Karl e viceversa.



«Ma lo so», disse Karl, che faticava a contenere il flusso di parole del fuochista rivolte contro di lui, e tuttavia malgrado il litigio gli riservava ancora un sorriso amichevole, «ha ragione, ha ragione, non ne ho mai dubitato». Per paura di ricevere dei colpi avrebbe voluto tenergli le mani che si agitavano per l'aria, o piuttosto avrebbe voluto spingerlo in un angolo per sussurrargli qualche parola tranquillizzante che nessun altro avrebbe dovuto sentire. Ma il fuochista era fuori di sé. Karl ora cominciava già persino a trarre qualche conforto dall'idea che all'occorrenza il fuochista, con la forza della sua disperazione, potesse aver ragione di tutti e sette gli uomini presenti. Comunque sulla scrivania, come notò con un'occhiata, c'era un dispositivo con una grande quantità di pulsanti elettrici, e bastava appoggiarvi una mano per far ammutinare tutta la nave, con i suoi corridoi pieni di uomini ostili.

Ad un tratto il signore così indifferente con il bastoncino di bambù si avvicinò a Karl e a voce non troppo alta, ma che sovrastava decisamente tutte le grida del fuochista, chiese: «Ma lei, come si chiama?». In quel momento, come se qualcuno dietro la porta avesse aspettato queste precise parole, si sentì bussare. L'inserviente guardò il capitano, questi annuì. Quindi l'inserviente si diresse verso la porta e l'aprì. Fuori, con indosso una vecchia giubba della guardia imperiale, c'era un uomo di media statura, che non sembrava molto adatto a lavorare alle macchine, ed era proprio... Schubal. Se Karl non l'avesse capito dagli occhi di tutti, che esprimevano una certa soddisfazione, da cui nemmeno il capitano era immune, l'avrebbe capito con spavento dal fuochista, che strinse i pugni con le braccia tese come se questa stretta fosse la cosa più importante per lui, cui era pronto a sacrificare tutto ciò che possedeva. In quel gesto c'era tutta la sua forza, anche quella che comunque lo sosteneva.

Ed eccolo dunque il nemico, felice e contento in abito di parata, con un libro contabile sotto il braccio, probabilmente i ruolini di paga e i certificati di lavoro del fuochista, e ora guardava negli occhi uno per uno ammettendo francamente che voleva anzitutto rendersi conto dello stato d'animo di ognuno. E i sette erano già tutti dalla sua parte, poiché anche se prima il capitano aveva avuto qualche obiezione nei suoi confronti o l'aveva soltanto presa a pretesto, dopo il fastidio arrecatogli dal fuochista gli sembrava che non ci fosse proprio più nulla da ridire su Schubal. Con un uomo come il fuochista non si poteva mai essere troppo severi, e se a Schubal si poteva rimproverare qualcosa, era il fatto di non essere riuscito col tempo a vincere la caparbietà del fuochista in modo che questi oggi non avesse osato presentarsi al capitano.

Forse si poteva ancora sperare che la messa a confronto tra il fuochista e Schubal non avrebbe mancato di produrre, anche davanti agli uomini, il debito effetto che avrebbe prodotto dinanzi a un tribunale superiore, poiché, anche se Schubal sapeva fingere bene, probabilmente non avrebbe potuto reggere sino alla fine. Un rapido balenare della sua cattiveria sarebbe bastato perché quei signori se ne rendessero conto, a questo avrebbe provveduto Karl. Conosceva già all'incirca l'acume, le debolezze, gli umori di ognuno di loro, e da questo punto di vista il tempo trascorso lì sinora non era perduto. Se solo il fuochista fosse stato più padrone di sé, ma sembrava del tutto incapace di lottare. Se gli avessero messo davanti Schubal, avrebbe potuto riempire di pugni quel cranio. Ma di fare qualche passo per avvicinarsi a lui, già non era più capace. Perché Karl non aveva previsto quello che era così facile prevedere, che alla fine Schubal sarebbe comparso, se non per sua iniziativa, comunque chiamato dal capitano? Perché durante il tragitto non aveva concertato un preciso piano d'attacco con il fuochista, anziché, come avevano fatto in realtà, entrare del tutto impreparati là dove avevano visto una porta? E chissà se il fuochista era ancora in grado di parlare, di dire sì e no, come sarebbe stato necessario nel contraddittorio, imminente soltanto nel migliore dei casi? Stava lì a gambe larghe, con le ginocchia tremanti, la testa un po' all'insù e l'aria che circolava nella bocca aperta come se i suoi polmoni avessero smesso di funzionare.

Comunque Karl si sentiva forte e lucido come forse non si era mai sentito a casa sua. Se i suoi genitori avessero potuto vedere come lui in un paese straniero aveva difeso il bene davanti a persone importanti, e anche se non l'aveva ancora portato alla vittoria, come si stava preparando per l'ultima battaglia! Avrebbero mutato parere a suo riguardo? L'avrebbero messo a sedere tra loro e l'avrebbero lodato? L'avrebbero guardato almeno una volta negli occhi, pieni di devozione per loro? Domande dubbie, e il momento meno adatto per porle!

«Sono venuto perché credo che il fuochista mi attribuisca certe disonestà. Una ragazza della cucina mi ha detto di averlo visto mentre si dirigeva qui. Signor capitano e voi signori, sono pronto a confutare qualsiasi accusa in base ai miei documenti, all'occorrenza in base a dichiarazioni di testimoni imparziali e non influenzati, che sono in attesa dietro la porta». Così parlò Schubal. Era senz'altro il discorso chiaro di un uomo, e dal cambiamento d'espressione degli astanti si sarebbe potuto credere che riudissero suoni umani per la prima volta dopo molto tempo. Naturalmente non notarono che anche questo bel discorso aveva punti oscuri. Perché la prima parola che gli era venuta in mente era «disonestà»? Forse si poteva accusarlo a questo riguardo, anziché a riguardo delle sue parzialità nazionali? Una ragazza della cucina aveva visto il fuochista dirigersi verso l'ufficio e Schubal aveva capito subito? Non era forse il senso di colpa ad aguzzargli l'ingegno? E aveva anche portato subito i testimoni e affermava che erano imparziali e non influenzati? Truffa, nient'altro che truffa! E quei signori lo tolleravano e lo trovavano anche un comportamento corretto? Perché aveva lasciato passare tanto tempo tra l'avviso della ragazza di cucina e il suo arrivo in ufficio? Ma per nessun altro motivo se non che il fuochista stancasse i signori al punto da far loro perdere a poco a poco la chiara capacità di giudizio, proprio quello che Schubal doveva temere. E poi, essendo senz'altro da tempo dietro la porta, non aveva forse bussato soltanto nel momento in cui, dopo la domanda marginale di quel signore, poteva sperare che il fuochista fosse ormai liquidato?

Era tutto chiaro, e in fondo anche Schubal esponeva i fatti con una certa riluttanza, ma a quei signori bisognava dimostrarlo in un altro modo, ancora più tangibile. Bisognava scuoterli. Presto quindi, Karl, sfrutta almeno il tempo, prima che entrino i testimoni a rimescolare tutto!

Ma il capitano interruppe con un cenno Schubal, che subito si spostò di fianco - poiché il suo problema sembrava rimandato per il momento - e cominciò un discorso sottovoce con l'inserviente, che gli s'era subito avvicinato, durante il quale non mancarono occhiate di lato dirette al fuochista e a Karl, come pure gesti della mano più che eloquenti. Nel frattempo sembrava che Schubal stesse provando il suo prossimo discorso.

«Non voleva chiedere qualcosa al ragazzo, signor Jakob?» chiese il capitano nel silenzio generale al signore con il bastoncino di bambù.

«Certo», rispose questi, ringraziando con un piccolo inchino per l'attenzione. E ancora una volta chiese a Karl: «Come si chiama lei?».

Karl, che credeva che fosse nell'interesse del problema più importante liquidare in fretta la domanda imprevista dell'ostinato interrogatore, rispose brevemente, senza prima esibire il passaporto, com'era sua abitudine, dato che avrebbe dovuto cercarlo: «Karl Rossmann».

«Ma», disse il signore che rispondeva al nome di Jakob, e subito fece un passo indietro sorridendo in modo quasi incredulo. Anche il capitano, il capocassiere, l'ufficiale di bordo, sì, persino l'inserviente mostrarono un incredibile stupore all'udire il nome di Karl.

Soltanto i funzionari del comando portuale e Schubal si comportarono con indifferenza.

«Ma», ripeté il signor Jakob, avvicinandosi a Karl con un'andatura lievemente rigida, «allora sono tuo zio Jakob, e tu sei il mio caro nipote. L'ho sospettato per tutto questo tempo!» disse rivolto al capitano prima di abbracciare e di baciare Karl, che lasciò avvenire tutto in silenzio.

«E lei, come si chiama?» chiese Karl, una volta lasciato libero, a dire il vero in modo molto gentile ma del tutto indifferente, e si sforzò di pensare alle conseguenze che questo fatto nuovo poteva avere per il fuochista. Per il momento nulla lasciava credere che Schubal potesse trarne vantaggio.

«Giovanotto, cerchi di rendersi conto della sua fortuna», disse il capitano, pensando che la domanda di Karl potesse ferire la dignità nella persona del signor Jakob, il quale nel frattempo si era accostato alla finestra, evidentemente per non dover mostrare agli altri il viso agitato, che asciugava anche con un fazzoletto. «È il senatore Edward Jakob, che si è fatto riconoscere da lei come suo zio. Ormai l'aspetta una brillante carriera, contro tutte le sue precedenti aspettative. Cerchi di capirlo come meglio può in questo primo momento, e si domini!».

«È vero che ho uno zio Jakob in America», disse Karl rivolto al capitano, «ma se ho capito bene, Jakob è il cognome del senatore».

«È così, infatti», disse il capitano in tono grave.

«Ebbene, mio zio Jakob, che è il fratello di mia madre, si chiama Jakob ma di nome, mentre naturalmente il suo cognome dovrebbe essere uguale a quello di mia madre, che è una Bendelmayer di nascita».

«Signori!», esclamò il senatore, che si era ripreso, riavvicinandosi a loro dal suo posto accanto alla finestra con aria lieta, in seguito alla spiegazione di Karl. Tutti, a eccezione dei funzionari portuali, scoppiarono a ridere, alcuni come fossero commossi, altri in modo inesplicabile. «Eppure non ho detto niente di tanto ridicolo», pensò Karl.

«Signori», ripeté il senatore, «contro la mia e la vostra volontà state assistendo a una piccola scena familiare, e quindi non posso esimermi dal darvi una spiegazione, poiché, come credo, soltanto il signor capitano» - questa menzione fu seguita da un reciproco inchino -«è al corrente di tutto».

«Ora però devo proprio far attenzione a ogni parola», si disse Karl, e si rallegrò quando, guardando di lato, notò che nei tratti del fuochista cominciava a ritornare la vita.

«In tutti i lunghi anni del mio soggiorno americano - certo qui la parola soggiorno non è la più adatta per il cittadino americano che io sono con tutto il cuore - in tutti questi lunghi anni, dunque, ho vissuto completamente separato dai miei parenti europei, per motivi che in primo luogo non interessano, e in secondo luogo troppo mi rattristerebbe raccontare. Temo persino il momento in cui dovrò raccontarli al mio caro nipote, perché purtroppo non si potrà evitare una franca spiegazione a proposito dei suoi genitori e dei loro parenti».

«È mio zio, non c'è dubbio», si disse Karl tendendo gli orecchi, «probabilmente si è fatto cambiare il nome».

«Il mio caro nipote dunque è stato semplicemente tolto di torno - diciamo pure la parola che esprime la situazione reale - dai suoi genitori, così come si butta fuori dalla porta un gatto quando dà fastidio. Non intendo certo giustificare ciò che ha fatto mio nipote per essere punito in tal modo, ma la sua è una di quelle colpe che si è naturalmente portati a scusare».

«Questo non mi dispiace», pensò Karl, «ma non voglio che racconti tutto. Del resto non può neppure saperlo. E come potrebbe?».

«Infatti», proseguì lo zio, e chinandosi pian piano si appoggiò al bastoncino di bambù puntato dinanzi a lui, per cui in effetti riuscì a privare la storia dell'inutile solennità che altrimenti avrebbe senz'altro avuto, «infatti è stato sedotto da una cameriera, Johanna Brummer, una persona di trentacinque anni circa. Con la parola "sedotto" non voglio in alcun modo umiliare mio nipote, ma è difficile trovare un'altra parola così appropriata».

Karl, che si era già molto avvicinato allo zio, si girò per leggere l'impressione del racconto sul viso dei presenti. Nessuno rideva, tutti ascoltavano, pazienti e seri. Dopo tutto non si ride del nipote di un senatore alla prima occasione che si presenta. Piuttosto si poteva dire che il fuochista sorrideva a Karl, anche se in modo quasi impercettibile, il che anzitutto faceva piacere come segno di una sua ripresa, e poi era scusabile, dal momento che Karl in cabina aveva cercato in tutti i modi di tenere segreta quella che ora era diventata una storia così pubblica.

«Ora questa Brummer», proseguì lo zio, «ha avuto un figlio da mio nipote, un maschio sano, che è stato battezzato con il nome di Jakob, senz'altro a ricordo della mia modesta persona, la quale, sia pur nelle menzioni del tutto marginali di mio nipote, deve aver fatto una grossa impressione alla ragazza. Per fortuna, dico. Infatti, dato che i genitori per evitare le spese del mantenimento del bambino o qualsiasi altro scandalo che ricadesse su di loro - devo sottolineare che non conosco né le leggi del paese né l'eventuale condizione dei genitori - dato dunque che loro, per evitare le spese e lo scandalo hanno spedito il figlio, il mio caro nipote, in America con un equipaggiamento irresponsabilmente insufficiente, come si vede, il ragazzo, in balìa di se stesso, senza i prodigi e i miracoli che solo in America esistono ancora, si sarebbe rovinato già subito in un vicoletto del porto di New York, se quella cameriera, in una lettera a me indirizzata, che è giunta in mano mia l'altro ieri dopo lunghe peregrinazioni, non mi avesse raccontato tutta la storia di mio nipote, aggiungendo la descrizione del personaggio e, cosa molto ragionevole, anche il nome della nave. Se avessi voluto intrattenervi, signori miei, avrei potuto leggervi qualche punto di questa lettera». A questo punto trasse di tasca due enormi fogli di carta da lettera coperti di una scrittura fitta e li fece sventolare. «Sicuramente farebbe il suo effetto, perché è scritta con una furbizia un po' semplice, anche se sempre con buone intenzioni, e con molto amore per il padre del bambino. Ma non voglio né trattenervi più di quanto sia necessario per chiarire le cose, né ferire forse fin dall'inizio i sentimenti che può ancora nutrire mio nipote, il quale per sua conoscenza può leggere la lettera, se vuole, nella quiete della sua stanza che già lo aspetta».

Karl però non provava nessun sentimento per quella ragazza. Nel confuso ricordo di un passato che impallidiva sempre più, lei era seduta in cucina accanto alla credenza sul cui piano appoggiava il gomito. Lo guardava, quando talvolta entrava in cucina a prendere un bicchier d'acqua per suo padre o a sbrigare qualche incarico per sua madre. A volte in quella posizione scomoda a fianco della credenza scriveva una lettera e traeva ispirazione dal viso di Karl. A volte si copriva gli occhi con la mano, e allora non c'era discorso che potesse sentire. A volte s'inginocchiava nella sua stanzetta angusta vicino alla cucina e pregava rivolta verso una croce di legno; e allora Karl, passando, la osservava con un certo timore dalla fessura della porta semiaperta. A volte correva per la cucina e si ritraeva ridendo come una strega quando Karl le capitava tra i piedi. A volte chiudeva la porta della cucina dopo l'ingresso di Karl e teneva la mano sulla maniglia finché lui non chiedeva di andarsene. A volte prendeva cose che lui non si sognava di volere e gliele cacciava in mano in silenzio. Ma una volta disse «Karl», e con smorfie e sospiri condusse il ragazzo, pieno di stupore per la novità inaspettata, nella sua stanzetta, chiudendo la porta. Gli si aggrappò al collo fino a soffocarlo, e mentre lo pregava di spogliarla, in realtà fu lei a spogliarlo e lo fece stendere nel suo letto, come se da quel momento non volesse cederlo più a nessuno e volesse accarezzarlo e curarsi di lui sino alla fine del mondo. «Karl, mio Karl!» gridava, come se vedendolo volesse confermare a se stessa che lo possedeva, mentre lui non riusciva a vedere niente e si sentiva a disagio tra tutte quelle lenzuola e coperte calde che lei sembrava aver ammucchiato apposta per lui. Poi, a sua volta, gli si stese accanto e cercò di farsi raccontare qualche segreto, ma lui non riuscì a raccontarle nulla e lei si arrabbiò, o forse scherzava, ascoltò il battito del suo cuore, gli offrì il suo petto per fargli ascoltare i suoi battiti senza però poter indurre arl a fare altrettanto, premette il suo ventre nudo contro il corpo di lui, frugò con la mano tra le sue gambe, in modo così disgustoso che Karl agitò la testa fuori dai cuscini, poi spinse il ventre più volte contro di lui - era come se fosse diventata una parte di lui, e forse per questo motivo lo aveva colto un terribile bisogno d'aiuto. Alla fine, dopo molte sollecitazioni a rivedersi da parte di lei, era tornato piangendo nel suo letto. Questo era stato tutto, ma lo zio sapeva farne una gran storia. E così la cuoca aveva ancora pensato a lui e aveva informato lo zio del suo arrivo. Era stato un bel gesto da parte sua, e forse un giorno l'avrebbe ricompensata.

«E ora», esclamò il senatore, «voglio sentire sinceramente da te se sono tuo zio o no».

«Sei mio zio», disse Karl baciandogli la mano e ricevendo in compenso un bacio sulla fronte. «Sono molto contento di averti incontrato, però sbagli se credi che i miei genitori parlino male di te. Ma anche a parte questo, nel tuo discorso c'era qualche errore, voglio dire, credo che in realtà non tutto sia andato così. Certo da qui non puoi giudicare i fatti con precisione, e inoltre credo che non sia molto importante se i signori sono stati informati con una certa imprecisione nei dettagli di una storia che per loro non può essere di grande interesse».

«Ben detto», replicò il senatore, poi condusse Karl davanti al capitano visibilmente partecipe e chiese: «Non ho uno splendido nipote?».

«Signor senatore», disse il capitano con un inchino tipico soltanto delle persone formate a una scuola militare, «sono felice di aver conosciuto suo nipote. Per la mia nave è un onore particolare essere stata il teatro di un simile incontro. Ma il viaggio sull'interponte è stato senz'altro molto duro, già, non si sa mai chi si trasporta. Facciamo tutto il possibile per rendere più confortevole il viaggio ai passeggeri d'interponte, molto di più ad esempio delle linee americane, ma certo non siamo ancora riusciti a far sì che questo viaggio diventi un piacere».

«Io non ne ho sofferto», disse Karl.

«Non ne ha sofferto!» ripeté il senatore con una risata.

«Temo soltanto che la mia valigia sia...» - e in quel momento ricordò tutto quello che era successo e tutto quello che ancora bisognava fare, si guardò attorno e vide che tutti i presenti, muti per l'attenzione e lo stupore, avevano ripreso i loro posti e tenevano gli occhi fissi su di lui. Soltanto i funzionari portuali, per quanto si poteva vedere dai loro visi severi, soddisfatti di sé, manifestavano il rincrescimento di essere venuti in un momento così inopportuno, e l'orologio da tasca che si erano messi davanti probabilmente per loro era più importante di tutto ciò che avveniva e che forse poteva ancora avvenire in quella stanza.

Stranamente, il primo a esprimere la sua partecipazione dopo il capitano fu il fuochista. «Mi congratulo con lei di cuore», disse, e strinse la mano a Karl, volendo esprimere con ciò anche una certa ammirazione. Quando poi fece per rivolgersi col medesimo discorso anche al senatore, questi si tirò indietro, come se il fuochista stesse oltrepassando i suoi limiti, e il fuochista desistette subito.

Ma gli altri capirono che cosa c'era da fare, e fecero subito una gran confusione attorno a Karl e al senatore. Così avvenne che Karl ricevette congratulazioni persino da Schubal, le accettò e lo ringraziò. Da ultimi, nella calma che si era ristabilita, si avvicinarono i funzionari portuali e dissero due parole in inglese, il che fece un'impressione piuttosto comica.

Per gustare ancor più la sua gioia, il senatore era in vena di ricordare a se stesso e agli altri alcuni episodi secondari, cosa che naturalmente non soltanto fu tollerata, ma anche accolta da tutti con interesse. Quindi fece notare che aveva preso nota nel suo taccuino dei tratti più evidenti di Karl, menzionati nella lettera della cuoca, per potersene servire al momento opportuno. Ora, durante la insopportabile chiacchierata del fuochista, al solo scopo di distrarsi aveva preso il taccuino e quasi per gioco aveva cercato di confrontare le osservazioni della cuoca, non proprio esatte dal punto di vista tecnico, con l'aspetto di Karl. «E così si trova il proprio nipote!» concluse in un tono come se si aspettasse altre congratulazioni.

«Che ne sarà ora del fuochista?» chiese Karl senza curarsi dell'ultimo racconto dello zio. Nella sua nuova posizione credeva anche di poter dire tutto ciò che pensava.

«Il fuochista avrà quello che si merita», disse il senatore, «e quello che sembra opportuno al capitano. Credo che del fuochista ne abbiamo più che abbastanza, e ognuno dei signori qui presenti è senz'altro d'accordo con me».

«Ma non è questo il punto, in un problema che riguarda la giustizia», disse Karl. Si trovava tra lo zio e il capitano, e credeva, forse influenzato da questa posizione, di tenere la situazione in pugno.

E tuttavia sembrava che il fuochista non avesse più speranze per sé. Teneva le mani mezzo infilate nella cintura dei pantaloni, che con i suoi movimenti scomposti ora era visibile insieme alla striscia di una camicia fantasia. Ma la cosa non lo preoccupava minimamente; aveva raccontato tutte le sue pene, ora potevano anche vedere i pochi stracci che indossava e poi l'avrebbero portato via. Immaginò che l'inserviente e Schubal, in quanto erano i due di rango inferiore, gli avrebbero usato quest'ultima gentilezza. Allora Schubal avrebbe avuto la sua pace e non sarebbe più stato indotto alla disperazione, come aveva affermato il capocassiere. Il capitano avrebbe potuto assumere soltanto rumeni, ovunque avrebbero parlato solo rumeno e forse tutto sarebbe andato meglio davvero. Nessun fuochista sarebbe andato più a cianciare alla cassa principale, avrebbero ricordato con un certo piacere solo la sua ultima chiacchierata, poiché, come aveva dichiarato espressamente il senatore, aveva dato adito al riconoscimento del nipote. Del resto in precedenza questo nipote aveva cercato spesso di essergli utile e quindi gli aveva già ricambiato più che a sufficienza il suo servizio durante il riconoscimento; ora al fuochista non veniva neppure in mente di pretendere ancora qualcosa da lui. E poi, anche se era il nipote del senatore, non era certo un capitano, e dalla bocca del capitano sarebbe uscito alla fine il giudizio negativo. Seguendo il suo pensiero, il fuochista cercava di non guardare neanche verso Karl, ma purtroppo in quella stanza di nemici non c'era altro luogo neutrale per i suoi occhi.

«Non fraintendere la situazione», disse il senatore a Karl, «può anche trattarsi di un problema di giustizia, ma al contempo è anche un problema di disciplina. Entrambi i problemi, e il secondo in particolare, sono soggetti al giudizio del capitano».

«Così stanno le cose», mormorò il fuochista. Coloro che riuscirono a sentire, sorrisero con un certo stupore.

«Inoltre abbiamo già talmente intralciato il capitano nelle sue mansioni, senz'altro più che numerose giusto all'arrivo a New York, che per noi è tempo di lasciare la nave, anche per non fare un caso di questa lite da poco tra due macchinisti con la nostra intromissione del tutto inutile. Capisco peraltro il tuo modo d'agire, caro nipote, ma proprio questo mi dà il diritto di portarti via di qui quanto prima».

«Farò subito calare una scialuppa per lei», disse il capitano, senza opporre, con stupore di Karl, neanche la minima obiezione alle parole dello zio, che senza dubbio potevano essere intese come un'autoumiliazione da parte di quest'ultimo. Il capocassiere corse a precipizio alla scrivania e telefonò l'ordine del capitano all'ufficiale di coperta.

«Il tempo stringe, d'accordo», si disse Karl, «ma non posso fare qualcosa senza offendere tutti. Non posso lasciare lo zio adesso che mi ha appena ritrovato. Il capitano è gentile, certo, ma questo è tutto. La sua gentilezza finisce quando subentra la disciplina, e lo zio ha reso pienamente il suo pensiero. Con Schubal non voglio parlare, mi dispiace persino di avegli dato la mano. E tutti gli altri qui non contano».


Date: 2015-12-18; view: 678


<== previous page | next page ==>
UNA VILLA NEI PRESSI DI NEW YORK 1 page | UNA VILLA NEI PRESSI DI NEW YORK 3 page
doclecture.net - lectures - 2014-2024 year. Copyright infringement or personal data (0.01 sec.)