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UNA VILLA NEI PRESSI DI NEW YORK 1 page

IL FUOCHISTA

Quando il sedicenne Karl Rossmann, mandato in America dai suoi poveri genitori perché una cameriera l'aveva sedotto e aveva avuto un figlio da lui, entrò con la nave a velocità ridotta nel porto di New York, vide la Statua della Libertà, che già stava contemplando da tempo, come immersa in una luce d'un tratto più intensa. Il braccio con la spada sembrava essersi appena alzato, e attorno alla sua figura spiravano liberi i venti.

«Com'è alta!» disse fra sé, e poiché non si decideva ad andarsene, a poco a poco fu spinto fino al parapetto della nave dalla massa sempre crescente dei facchini che lo oltrepassavano.

Un giovane, che aveva conosciuto di sfuggita durante il viaggio, disse passando: «Allora, non ha ancora voglia di scendere a terra?». «Ma sono pronto», disse Karl sorridendogli, e con baldanza e perché era un ragazzo robusto, si caricò la valigia in spalla. Ma quando seguì con lo sguardo il suo conoscente che si allontanava con gli altri roteando il bastone, si accorse sgomento di aver dimenticato l'ombrello giù nella nave. Pregò subito il conoscente, che non sembrava molto entusiasta, di voler gentilmente attendere un momento vicino alla sua valigia, valutò la posizione per orientarsi al ritorno e se ne andò di corsa. Sotto, con suo rincrescimento, trovò sbarrato per la prima volta un passaggio che gli avrebbe di molto abbreviato la strada, probabilmente a causa dello sbarco dei passeggeri, e dovette cercare a fatica la via per scale che non finivano mai, lungo corridoi pieni di curve, attraverso una cabina vuota con una scrivania abbandonata, sinché infine, dato che aveva percorso quel tragitto soltanto una o due volte e sempre in compagnia di qualcuno, si accorse di essersi smarrito del tutto. Disorientato, poiché non aveva incontrato anima viva e udiva sempre soltanto lo scalpiccio di migliaia di piedi sopra di sé e da lontano, come un anelito, gli arrivava l'ultima eco delle macchine ormai ferme, senza riflettere cominciò a bussare a una porticina vicino alla quale si era fermato nel suo vagabondare.

«È aperto», gridò qualcuno dall'interno, e con un vero sospiro di sollievo Karl aprì la porta. «Perché bussa come un pazzo?» chiese un uomo gigantesco, alzando appena gli occhi su Karl. Da un abbaino in alto una luce fosca, quasi si fosse consumata da tempo su nella nave, pioveva nella misera cabina, nella quale, come in un deposito, erano stipati un letto, un armadio, una sedia e l'uomo. «Mi sono smarrito», disse Karl, «durante il viaggio non me n'ero mai accorto, ma è una nave spaventosamente grande». «Sì, in questo ha ragione», disse l'uomo con un certo orgoglio, senza smettere di trafficare attorno alla serratura di una piccola valigia, su cui premeva entrambe le mani restando in ascolto per cogliere il momento dello scatto. «Ma entri!» continuò poi. «Non vorrà star lì fuori!». «Non disturbo?» chiese Karl. «E perché dovrebbe disturbare?». «Lei è tedesco?» cercò di rassicurarsi Karl, avendo sentito parlare dei pericoli che in America minacciano i nuovi arrivati, soprattutto da parte degli irlandesi. «Lo sono, lo sono», rispose l'altro. Karl esitava ancora. Allora l'uomo afferrò d'un tratto la maniglia della porta, e chiudendola in fretta, spinse dentro anche Karl. «Non posso sopportare che mi guardino dentro dal corridoio», disse l'uomo, che trafficava di nuovo con la sua valigia, «tutti passano di qui e guardano dentro, è intollerabile!». «Ma non c'è nessuno nel corridoio» disse Karl, che stava lì a disagio schiacciato contro i montanti del letto. «Già, adesso», replicò l'uomo. Però stiamo parlando di adesso, pensò Karl, è difficile discutere con costui! «Si stenda sul letto, così avrà più posto», disse l'uomo. Karl scivolò nel letto alla meglio e al primo vano tentativo di saltarvi dentro rise forte. Ma non appena fu nel letto, gridò: «Dio mio, ho completamente dimenticato la mia valigia!». «E dov'è?». «Su in coperta, un conoscente la sorveglia. Come si chiama, poi?». E dalla tasca segreta che sua madre gli aveva cucito per il viaggio nella fodera della giacca, prese un biglietto da visita. «Butterbaum, Fraz Butterbaum». «Le serve molto la valigia?» «Naturalmente». «E allora perché l'ha affidata a un estraneo?». «Avevo dimenticato il mio ombrello e sono corso a prenderlo, ma non volevo tirarmi dietro la valigia. E per giunta mi sono anche smarrito». «È solo? Senza compagnia?». «Sì, solo». «Forse dovrei stare con quest'uomo», passò per la testa a Karl, «dove potrei trovare un amico migliore?». «E adesso ha perso anche la valigia. Per non parlare poi dell'ombrello». E l'uomo si sedette sulla sedia, come se ora il problema di Karl avesse acquisito un certo interesse per lui. «Ma io credo che la valigia non sia ancora persa». «Chi crede è felice», disse l'uomo, grattandosi con forza i capelli scuri, corti e folti, «sulla nave con i porti cambiano anche le usanze. Ad Amburgo il suo Butterbaum forse avrebbe sorvegliato la valigia, qui molto probabilmente non c'è più traccia di nessuno dei due». «Allora devo salire subito a dare un'occhiata», disse Karl tentando di uscire dalla cuccetta. «Resti lì», disse l'uomo e premendogli una mano sul petto, in modo persino scortese, lo respinse sul letto. «Ma perché?» chiese irritato Karl. «Perché non ha senso», disse l'uomo, «tra un attimo vado anch'io, quindi andremo insieme. O la valigia è stata rubata, e allora non c'è niente da fare, o quel tipo l'ha abbandonata, e allora la troveremo più facilmente quando la nave si sarà svuotata. E così pure il suo ombrello». «Conosce bene la nave?» chiese Karl diffidente, e l'idea, peraltro convincente, di poter trovare più facilmente le sue cose sulla nave vuota gli sembrò sospetta. «Certo, sono fuochista», disse l'uomo. «È fuochista!», esclamò contento Karl, come se questa notizia superasse tutte le aspettative, e puntando il gomito, guardò l'uomo con maggiore attenzione. «Proprio davanti alla cabina in cui dormivo con lo slovacco c'era un finestrino che dava sulla sala macchine». «Sì, è là che lavoravo», disse il fuochista. «Mi ha sempre interessato molto la tecnica», disse Karl, seguendo un certo ragionamento, «e certo sarei diventato igegnere se non fossi dovuto partire per l'America». «E perché è dovuto partire?». «Ah, così», disse Karl, e con un gesto della mano liquidò tutta la storia. Intanto guardò sorridendo il fuochista, come a pregarlo di aver pazienza per ciò che non aveva confessato. «Ci sarà pure un motivo», disse il fuochista, e non era chiaro se con questo voleva sollecitare o rifiutare il racconto del motivo. «Adesso anch'io potrei diventare fuochista», disse Karl, «adesso ai miei genitori non importa niente di quello che farò». «Il mio posto si libera», disse il fuochista, e nella piena coscienza della sua libertà infilò le mani nelle tasche e allungò sul letto le gambe ricoperte di pantaloni spiegazzati grigio ferro, fatti di un materiale simile al cuoio. Karl dovette addossarsi ancor più contro la parete. «Abbandona la nave?». «Certo, partiamo oggi». «E perché? Non le piace il lavoro?». «Si tratta delle circostanze, non è sempre decisivo che a uno piaccia o no. Del resto ha ragione, non è che mi piaccia. Probabilmente lei non pensa sul serio di diventare fuochista, ma è proprio in questi casi che si può diventarlo più facilmente. Quindi io glielo sconsiglio nel modo più assoluto. Se lei in Europa voleva studiare, perché non studiare qui? Le università americane sono incomparabilmente migliori di quelle europee». «Certo, è possibile», disse Karl, «però non ho quasi denaro per studiare. A dire il vero ho letto di qualcuno che di giorno lavorava in un negozio e di notte studiava, finché è diventato dottore e credo anche sindaco, ma per questo occorre una grande perseveranza, no? Io temo di non averla. Inoltre non sono mai stato granché come scolaro, e in realtà lasciare la scuola non mi è stato difficile. E forse qui le scuole sono ancora più severe. L'inglese non lo so quasi per niente. Poi credo che qui siano molto prevenuti contro gli stranieri». «L'ha già notato anche lei? Beh, allora va bene. Allora lei è il mio uomo. Consideri, in fondo siamo su una nave tedesca che fa parte della linea Amburgo-America, e perché non siamo slo tedeschi qui? Perché il capomacchinista è un rumeno? Si chiama Schubal. Da non credersi. E questo farabutto tartassa noi tedeschi su una nave tedesca! Non creda» - gli mancò l'aria e si sventolò con la mano -,«che mi lagni per il piacere di lagnarmi. So che lei non ha alcun potere e che è soltanto un povero ragazzo. Ma è troppo duro!». E picchiò più volte il pugno sul tavolo senza staccare gli occhi dal pugno mentre picchiava. «Ho pur prestato servizio su tante navi», e snocciolò venti nomi uno dopo l'altro come se fossero una sola parola, Karl si confuse del tutto, «e mi sono distinto, sono stato lodato, ero un lavoratore gradito ai miei capitani, per qualche anno sono stato persino sullo stesso mercantile a vela», e si alzò, come se questo fosse il vertice della sua vita, «e qui su questa nave, su questo cassone, dove tutto va da sé, dove non è richiesta nessuna abilità, qui non valgo niente, qui do sempre fastidio a Schubal, sono un fannullone, merito di esser buttato fuori e ricevo lo stipendio come se fosse un favore. Lo capisce lei? Io no». «Questo non deve tollerarlo», disse Karl agitato. Aveva quasi dimenticato di trovarsi sul suolo insicuro di una nave, presso la costa di un continente sconosciuto, tanto si sentiva a suo agio sul letto del fuochista. «È già stato dal capitano? Ha già cercato di ottenere giustizia da lui?». «Ah, se ne vada, se ne vada via. Non voglio averla qui. Lei non ascolta quello che dico, e mi dà consigli. Come potrei andare dal capitano!». E il fuochista, stanco, si rimise a sedere e si prese il viso tra le mani.



«Non saprei dargli un consiglio migliore», si disse Karl. E pensò che avrebbe fatto meglio ad andare a prendere la sua valigia anziché star lì a dare consigli che venivano soltanto giudicati sciocchi. Quando il padre gli aveva consegnato la valigia per il futuro, gli aveva chiesto scherzando: «Per quanto tempo l'avrai?» e ora forse la fida valigia era perduta sul serio. L'unico conforto ormai era che il padre non avrebbe potuto venire a conoscenza della sua situazione attuale, neanche se avesse indagato. La società di navigazione poteva dire soltanto che lui era arrivato con la nave fino a New York. Ma a Karl dispiaceva di non aver quasi usato la roba della valigia, mentre ad esempio da tempo avrebbe avuto bisogno di cambiare la camicia. Quindi aveva risparmiato la biancheria nel luogo sbagliato; e adesso, proprio all'inizio della sua carriera, quando sarebbe stato necessario comparire con abiti puliti, avrebbe dovuto mostrarsi con la camicia sporca. Per il resto la perdita della valigia non sarebbe stata tanto grave, perché l'abito che indossava era persino migliore di quello nella valigia, che in realtà era soltanto un abito per l'emergenza, rattoppato dalla madre poco prima della sua partenza. Ora ricordò anche che nella valigia c'era ancora un pezzo di salame veronese, che la madre gli aveva aggiunto come dono extra, del quale tuttavia aveva potuto mangiare solo una minima parte, perché durante il viaggio non aveva mai avuto appetito e la zuppa distribuita sull'interponte gli era stata più che sufficiente. Ma ora avrebbe voluto avere a portata di mano il salame per farne dono al fuochista. Poiché gente simile si conquista facilmente con una piccolezza, Karl l'aveva appreso da suo padre, che distribuendo qualche sigaro conquistava tutti gli impiegati di grado inferiore con cui aveva a che fare per lavoro. Ora a Karl non restava che il suo denaro da regalare, e per il momento non voleva toccarlo, dato che forse aveva già perso la valigia. I suoi pensieri vi ritornarono, e ora in verità non riusciva a capire perhé durante il viaggio avesse sorvegliato quella valigia con tanta attenzione da aver quasi perso il sonno, mentre ora se l'era lasciata portar via così facilmente. Ricordò le cinque notti durante le quali aveva sospettato in continuazione un piccolo slovacco che dormiva alla sua sinistra, due posti più in là, di aver preso di mira la sua valigia. Questo slovacco aveva soltanto aspettato che Karl, colto da debolezza, si appisolasse un momento per poter spingere verso di sé la valigia con un lungo bastone con cui durante il giorno giocava sempre o si esercitava. Di giorno questo slovacco sembrava del tutto innocente, ma non appena si faceva notte, a intervalli si alzava dal suo giaciglio e guardava con tristezza verso la valigia di Karl. Karl l'aveva visto bene, perché c'era sempre qualcuno che, con l'inquietudine dell'emigrante, accendeva un lumino, malgrado fosse vietato dal regolamento della nave, e cercava di decifrare opuscoli incomprensibili delle agenzie d'emigrazione. Se questo lume era vicino, Karl poteva anche sonnecchiare un poco, ma se era lontano o se c'era buio, allora doveva tenere gli occhi aperti. Questo sforzo l'aveva proprio sfinito, e ora forse era stato del tutto inutile. Quel Butterbaum, se mai avesse potuto ritrovarlo da qualche parte!

In quel momento fuori, da lontano, nel silenzio fin'allora totale, risuonarono colpetti brevi, come un rumore di passi infantili, poi si avvicinarono e il rumore si fece più forte, e infine si riconobbe una marcia tranquilla di uomini. Evidentemente camminavano in fila, com'era naturale nell'angusto corridoio, e si udiva un tintinnio come di armi. Karl, che era già stato sul punto di abbandonarsi nella cuccetta a un sonno libero da tutte le preoccupazioni per la valigia e lo slovacco, trasalì e dette una spinta al fuochista per metterlo in guardia, perché sembrava proprio che i primi del corteo fossero arrivati davanti alla porta. «Questa è l'orchestra della nave», disse il fuochista, «hanno suonato in coperta e adesso vanno a fare i bagagli. Ora è tutto finito e possiamo andare. Venga». Prese per mano Karl, all'ultimo istante tolse dalla parete sopra il letto un'immagine incorniciata della Madonna, la ficcò nella tasca interna della giacca, afferrò la sua valigia e lasciò in fretta la cabina con Karl.

«Adesso andrò in ufficio e dirò il mio parere a quei signori. Non c'è più neanche un passeggero, non occorre farsi riguardi». Il fuochista ripeté queste parole varie volte, e mentre camminava, con un calcio di lato cercò di schiacciare un ratto che gli aveva incrociato la strada, ma riuscì soltanto a spingerlo più in fretta nel buco in cui il ratto si era rifugiato in tempo. In genere il fuochista era lento nei suoi movimenti, perché le sue gambe, anche se lunghe, erano troppo pesanti.

Attraversarono una parte della cucina dove alcune ragazze con i grembiuli sporchi - li sporcavano di proposito - lavavano le stoviglie in grandi tinozze. Il fuochista chiamò una certa Line, le mise il braccio intorno al fianco e la condusse con sé per un tratto, mentre lei si stringeva con civetteria contro il suo braccio. «Adesso ci pagano, vuoi venire con me?» chiese. «Perché dovrei affaticarmi, portami qui i soldi», rispose lei, gli sfuggì da sotto il braccio e si allontanò di corsa. «Dove hai pescato questo bel ragazzo?» gridò ancora, ma senza aspettare risposta. Si udirono le risate di tutte le ragazze che avevano interrotto il lavoro.

Ma loro continuarono a camminare e arrivarono a una porta sopra la quale c'era un frontoncino sorretto da piccole cariatidi dorate. Per essere l'arredamento di una nave sembrava proprio sontuoso. Karl si accorse di non essere mai andato da quella parte, che probabilmente durante il viaggio era stata riservata ai passeggeri di prima e di seconda classe, mentre adesso, prima della grande pulizia, avevano tolto le porte di separazione. Infatti avevano anche già incontrato uomini con la scopa in spalla che avevano salutato il fuochista. Karl si stupì di tutto quel traffico, perché nel suo interponte non aveva mai avuto modo di notarlo. Lungo i corridoi passavano anche i fili dell'impianto elettrico, e si sentiva ininterrotto il suono di una campanella.

Il fuochista bussò con rispetto alla porta, e quando gridarono «Avanti!» invitò Karl con un cenno della mano a entrare senza timore. E Karl entrò, ma rimase fermo sulla soglia. Dalle tre finestre della cabina vide le onde del mare, e mentre contemplava il loro gaio movimento gli batteva il cuore, come se non avesse visto il mare di continuo per cinque lunghi giorni. Grandi navi incrociavano le loro rotte e cedevano al moto ondoso solo per quanto il loro peso lo consentiva. Se si socchiudevano gli occhi, sembrava che già solo il peso facesse barcollare le navi. Sugli alberi erano issate bandiere piccole ma lunghe, che, sia pur tese dalla traversata, continuavano a sventolare qua e là. Probabilmente da qualche nave da guerra risuonarono salve di saluto, e le canne dei cannoni di una di queste navi che passava non molto distante, con il loro rivestimento d'acciaio dai riflessi scintillanti, erano come accarezzate dalla traversata tranquilla, liscia e tuttavia non del tutto orizzontale. Le navi e le imbarcazioni più piccole si potevano vedere solo in lontananza, almeno dalla porta, mentre scivolavano in massa negli spazi tra le grosse navi. Ma dietro a tutto questo c'era New York, e guardava Karl con le centomila finestre dei suoi grattacieli. Sì, quella cabina dava l'esatta sensazione del luogo circostante.

A un tavolo rotondo sedevano tre signori, uno un ufficiale con l'uniforme azzurra della marina, gli altri due funzionari del comando portuale, con le uniformi americane nere. Sul tavolo c'erano pile di documenti vari che l'ufficiale scorreva con la penna in mano per poi porgerli agli altri due, che ora leggevano, ora prendevano appunti, ora riponevano i documenti nelle loro cartelle, mentre di tanto in tanto uno dei due, che faceva quasi ininterrottamente un piccolo rumore con i denti, dettava qualcosa che il suo collega metteva a protocollo.

A una scrivania vicino alla finestra, con le spalle rivolte verso la porta, era seduto un uomo di bassa statura che trafficava con alcuni registri allineati davanti a lui su un robusto scaffale all'altezza della sua testa. Lì accanto c'era una cassa aperta e, almeno a prima vista, vuota.

La seconda finestra era libera e aveva la vista migliore. Accanto alla terza c'erano due signori immersi in una conversazione a mezza voce. Uno era appoggiato al davanzale, indossava anche lui l'uniforme della marina e giocherellava con l'impugnatura della spada. Quello che parlava con lui era rivolto verso la finestra e di tanto in tanto, quando si muoveva, lasciava vedere parte delle decorazioni sul petto dell'altro. Era in abiti civili e aveva un bastoncino di bambù che sporgeva come una spada, poiché teneva entrambe le mani sui fianchi.

Karl non ebbe il tempo di osservare tutto, perché subito un inserviente si avvicinò a loro e chiese al fuochista che cosa voleva, facendogli intendere con un'occhiata che quello non era il suo posto. Il fuochista, a voce bassa così come era stato interrogato, rispose che voleva parlare col capocassiere. L'inserviente per parte sua respinse questa richiesta con un cenno della mano, tuttavia, facendo un ampio giro attorno al tavolo rotondo, si avvicinò in punta di piedi all'uomo con i registri. Costui - come si vide con chiarezza - restò addirittura impietrito all'udire le parole dell'inserviente, ma infine si girò verso l'uomo che desiderava parlargli e si mise a gesticolare in segno di netto rifiuto verso di lui, e per essere ancor più sicuro, anche verso l'inserviente. Quindi l'inserviente ritornò dal fuochista e gli disse, in un tono come se gli confidasse qualcosa: «Esca subito dalla cabina!».

A questa risposta il fuochista abbassò gli occhi su Karl, come se questi fosse il suo cuore a cui poteva dire in silenzio la sua pena. Senza stare a riflettere, Karl lasciò il suo posto, corse attraverso la cabina così da sfiorare quasi la poltroncina dell'ufficiale, l'inserviente gli corse dietro a testa bassa con le braccia pronte ad afferrarlo, come se stesse dando la caccia a un insetto, ma Karl fu il primo a raggiungere il tavolo del capocassiere e vi si aggrappò, nel caso che l'inserviente tentasse di trascinarlo via.

Naturalmente la cabina si animò subito. L'ufficiale vicino al tavolo era balzato in piedi, i funzionari del comando portuale stavano a guardare tranquilli ma attenti, i due signori vicino alla finestra si erano avvicinati contemporaneamente, l'inserviente, che riteneva fosse fuori posto star lì quando signori tanto importanti mostravano già d'interessarsi, si fece indietro. Il fuochista accanto alla porta attendeva emozionato il momento d'intervenire. Infine il capocassiere fece un'ampia rotazione a destra nella sua poltroncina.

Karl frugò nella sua tasca segreta, senza preoccuparsi di mostrarla a tutta quella gente, e tirò fuori il passaporto, che posò aperto sul tavolo a titolo di presentazione. Il capocassiere non sembrò dare molta importanza a quel passaporto perché lo spinse di lato con due dita, dopo di che Karl, come se quella formalità fosse stata espletata in modo soddisfacente, ripose di nuovo il passaporto.

«Mi permetto di affermare», cominciò poi, «che a mio avviso il fuochista ha subìto un torto. Qui c'è un certo Schubal che l'ha preso di mira. Il fuochista ha già prestato servizio con piena soddisfazione su molte navi, delle quali può fare l'elenco, è solerte, svolge bene il suo lavoro e non si vede perché proprio su questa nave, dove il servizio non è gravoso come ad esempio sui mercantili a vela, non dovrebbe fare il suo dovere. Può quindi trattarsi solo di una calunnia, che gl'impedisce di farsi strada e lo priva di quel riconoscimento che altrimenti non gli mancherebbe di certo. Ho parlato di questa faccenda solo in generale, i suoi reclami specifici li esporrà lui stesso». Con questo discorso Karl si era rivolto a tutti i presenti, perché in effetti tutti erano stati ad ascoltare e sembrava molto più probabile trovare un uomo giusto tra tutti insieme piuttosto che cercarlo proprio nel capocassiere. Inoltre, per astuzia, Karl aveva omesso di conoscere il fuochista da così breve tempo. Del resto avrebbe parlato ancor meglio se non fosse stato distratto dalla faccia rossa del signore con il bastoncino di bambù, che dalla sua attuale posizione vedeva per la prima volta. «È tutto giusto parola per parola», disse il fuochista prima ancora che qualcuno gli avesse chiesto qualcosa, anzi, prima ancora che qualcuno avesse guardato dalla sua parte. Questa precipitazione del fuochista sarebbe stata un grande errore se il signore con le decorazioni, che, come balenò d'un tratto a Karl, era senz'altro il capitano, non avesse evidentemente già deciso di ascoltare il fuochista. Infatti tese la mano e gli gridò: «Venga qui!» con una voce così dura, che si sarebbe potuta battere col martello. Ora tutto dipendeva dal comportamento del fuochista, perché per quanto riguardava la sua causa, Karl non aveva dubbi che fosse giusta.

Fortunatamente in questa circostanza il fuochista si rivelò già molto esperto delle cose del mondo. Con una calma esemplare, pescò subito nella sua valigetta un mucchietto di certificati come pure un taccuino e con questi, come se fosse più che naturale, si diresse verso il capitano senza curarsi minimamente del cassiere e dispose la sua documentazione sul davanzale della finestra. Al capocassiere non restò altro da fare se non avvicinarsi anche lui. «Quest'uomo è un noto piantagrane», disse a mo' di spiegazione, «passa più tempo alla cassa che non nella sala macchine. Ha portato Schubal, che è un uomo tranquillo, alla disperazione totale. Stia a sentire!» e si rivolse al fuochista, «la sua invadenza passa davvero il segno. Quante volte l'hanno già buttata fuori dall'ufficio pagamenti, come si merita per le sue pretese, tutte completamente e assolutamente ingiustificate. Quante volte da lì si è precipitato alla cassa centrale! Quante volte le è già stato detto con le buone che Schubal è il suo diretto superiore, e che lei, in quanto suo sottoposto, deve trattare soltanto con lui! E ora viene persino qui quando c'è il signor capitano, non si vergogna d'infastidire anche lui, ma ha l'ardire di condurre con sé, come portavoce ammaestrato delle sue assurde accuse, questo ragazzo, che comunque vedo sulla nave per la prima volta!».

Karl fece un grosso sforzo per non balzare in avanti. Ma si era già avvicinato anche il capitano, che disse: «Ascoltiamo quest'uomo. È anche vero che da tempo Schubal diventa sempre più indipendente, con questo però non sto dicendo nulla a suo favore». Queste ultime parole erano rivolte al fuochista; era più che naturale che il capitano non potesse subito intercedere per lui, ma tutto sembrava mettersi bene. Il fuochista cominciò le sue spiegazioni e da principio riuscì a controllarsi, dando sempre a Schubal il titolo di «signore». Come si rallegrava Karl, vicino alla scrivania abbandonata del capocassiere, dove per la soddisfazione continuava a premere il piatto di una bilancia pesalettere! Il signor Schubal è ingiusto! Il signor Schubal favorisce gli stranieri! Il signor Schubal aveva allontanato il fuochista dalla sala macchine e gli aveva ordinato di pulire i cessi, cosa che non spettava certo al fuochista. Una volta fu messa in dubbio persino la capacità del signor Schubal, la quale sarebbe stata più apparente che reale. A questo punto Karl fissò il capitano con la massima intensità, in modo confidenziale, come se fosse un suo collega, soltanto perché non si lasciasse influenzare sfavorevolmente dal modo di esprimersi piuttosto maldestro del fuochista. Comunque da tutti quei discorsi non veniva fuori niente di preciso, e anche se il capitano continuava a guardare dinanzi a sé, deciso con ogni evidenza ad ascoltare il fuochista fino in fondo, gli altri signori divennero impazienti, e la voce del fuochista presto non risuonò più nel silenzio totale, cosa che dava adito a qualche preoccupazione. Il signore in borghese fu il primo a entrare in azione, battendo sul pavimento, anche se leggermente, il suo bastoncino di bambù. Gli altri signori naturalmente si guardarono attorno, i funzionari del comando portuale, che evidentemente avevano fretta, ripresero i documenti e cominciarono a scorrerli, sia pure in modo un po' distratto, l'ufficiale della marina si riavvicinò al tavolo, e il capocassiere, che pensava di ver partita vinta, fece un profondo sospiro d'ironia. Dalla distrazione generale che stava subentrando sembrava immune soltanto l'inserviente, che condivideva parte delle sofferenze di quel pover'uomo sottoposto ai superiori, e con gran serietà faceva cenni a Karl come se volesse fargli capire qualcosa.

Nel frattempo davanti alle finestre la vita del porto continuava, una chiatta con una montagna di botti che dovevano essere state sistemate a meraviglia perché i movimenti del mare non le facevano rotolare passò davanti alla finestra e oscurò quasi l'ambiente; piccole barche a motore che ora Karl avrebbe potuto osservare con attenzione, se avesse avuto tempo, sfrecciavano via diritte sotto i minimi movimenti delle mani di un uomo in piedi davanti al timone. Singolari corpi galleggianti emergevano di tanto in tanto dalle acque irrequiete, subito erano risommersi dalle onde e sprofondavano dinanzi allo sguardo stupefatto; scialuppe di transatlantici avanzavano spinte da marinai che remavano con accanimento ed erano gremite di passeggeri che stavano immobili in attesa, così come li avevano stipati, anche se alcuni non potevano fare a meno di girare la testa per guardare il paesaggio che cambiava di volta in volta. Un moto senza fine, un'inquietudine trasmessa dall'inquieto elemento agli uomini incerti e alle loro opere!

Tutto quindi invitava alla fretta, alla chiarezza, all'esposizione precisa: e che cosa faceva il fuochista? Parlava e parlava immerso in un bagno di sudore, da tempo non riusciva più a tenere fra le mani tremanti le carte che aveva messo sul davanzale; da tutte le direzioni possibili gli affluivano lagnanze a proposito di Schubal, ognuna delle quali a suo avviso sarebbe bastata a seppellirlo definitivamente, ma ciò che lui riusciva ad esporre al capitano era soltanto un caos ben misero nel suo insieme. Già da tempo il signore con il bastoncino di bambù fischiava sommesso guardando il soffitto, i funzionari del comando portuale trattenevano l'ufficiale al loro tavolo e non davano segno di lasciarlo libero, il capocassiere chiaramente non s'immischiava soltanto perché vedeva la calma del capitano, l'inserviente aspettava sull'attenti di momento in momento un ordine del capitano riguardante il fuochista.


Date: 2015-12-18; view: 569


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