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Dalla padella alla brace 3 page

«Sono in cammino per visitare la terra dei loro padri, lontano, a Oriente, al di là del Bosco Atro,» interloquì Gandalf «e siamo capitati nelle tue terre per puro caso. Stavamo per passare per il Valico Alto, che avrebbe dovuto portarci sulla strada che sta a sud del tuo territorio, quando fummo attaccati dagli Orchi malvagi, come stavo proprio per raccontarti.»

«Continua a raccontare, allora!» disse Beorn, che non era mai molto educato.

«Ci fu una tempesta terribile; i Giganti di pietra erano usciti a scagliar rocce, e in cima al passo ci rifugiammo in una grotta, lo Hobbit, io e parecchi altri compagni....»

 

 

«Parecchi? Due li chiami parecchi?»

«Be', no. Difatti ce n'erano più di due.»

«Dove sono? Uccisi, mangiati, tornati a casa?»

«Be', no. Pare che non siano venuti tutti quando ho fischiato. Per timidezza, ritengo. Vedi, abbiamo proprio paura di essere in troppi ad abusare della tua ospitalità.»

«Avanti, fischia di nuovo! A quanto pare non ho scampo: mi tocca prendere parte a una riunione, e uno o due in più non fa molta differenza» ringhiò Beorn.

Gandalf fischiò di nuovo; ma Nori e Ori erano lì quasi prima che avesse finito, perché, come ricorderete, Gandalf aveva detto loro di arrivare a coppie ogni cinque minuti.

«Salve!» disse Beorn. «Non ci avete certo messo molto a venire! dove stavate nascosti? Venite avanti, saltamartini!»

«Nori al vostro servizio, Ori al...» cominciarono, ma Beorn li interruppe.

«Grazie! Quando vorrò il vostro aiuto ve lo chiederò. Adesso sedetevi, e andiamo avanti con questa storia, o sarà ora di cena prima che sia finita.»

«Appena ci addormentammo,» continuò Gandalf «si aprì una spaccatura sul fondo della grotta, ne uscirono gli Orchi e ghermirono lo Hobbit, i Nani, e tutto il nostro squadrone di pony...»

«Squadrone di pony? Ma che eravate, un circo ambulante? O portavate una montagna di merci? Oppure sei li chiami sempre uno squadrone?»

«Oh, no! In realtà c'erano più di sei pony, poiché eravamo più di sei noi stessi, e... be', eccone altri due!»

Proprio in quel momento apparvero Balin e Dwalin e si inchinarono tanto profondamente che la loro barba spazzò il pavimento di pietra. L'omone a tutta prima si accigliò, ma essi fecero del loro meglio per essere terribilmente educati, e non smisero di curvare il capo, fare riverenze, inchinarsi e agitare il cappuccio davanti alle ginocchia (al modo che più si conviene ai Nani), finché egli spianò il cipiglio e scoppiò in una risatina chioccia, e difatti erano proprio comici.

«Squadrone era la parola giusta» egli disse. «Un bello squadrone comico. Venite avanti, mattacchioni, e quali sono i vostri nomi? Non voglio i vostri servizi per il momento, solo i vostri nomi; e poi sedetevi e smettetela di agitarvi!»

«Balin e Dwalin» essi dissero, non osando offendersi, e si afflosciarono sul pavimento con un'espressione abbastanza attonita.



«Adesso continua!» disse Beorn allo stregone.

«Dov'ero? Oh sì!... io però non fui acchiappato. Uccisi un paio di Orchi con un lampo...»

«Bene!» ringhiò Beorn. «Allora serve essere uno stregone.»

«... e m'infilai nella fenditura prima che si chiudesse. Li seguii giù nella sala centrale, che era stipata di Orchi. C'era il Grande Orco con trenta o quaranta guardie armate. Pensai tra me e me: anche se non fossero incatenati tutti assieme, che può fare una dozzina contro tutti questi nemici?»

«Una dozzina! Questa è la prima volta che sento chiamare otto una dozzina. Oppure hai altri saltamartini che non sono ancora schizzati fuori?»

«Be', sì, sembra che ce ne sia un paio di più adesso, Fili e Kili, mi pare» disse Gandalf alla comparsa di questi due che rimasero a sorridere e a inchinarsi.

«Basta così!» disse Beorn. «Sedetevi e state zitti! Adesso continua, Gandalf!»

Così Gandalf andò avanti col suo racconto, finché arrivò alla lotta nel buio, alla scoperta dell'uscita inferiore, e al loro orrore quando si accorsero che il signor Baggins era andato perso. «Ci contammo e scoprimmo che non c'era nessuno Hobbit. Eravamo rimasti solo in quattordici!»

«Quattordici! Questa è la prima volta che ho sentito dire che dieci meno uno fa quattordici! Volevi dire nove, o altrimenti non mi hai ancora detto tutti i nomi della tua brigata.»

«Be', certo non hai ancora visto Oin e Gloin. E, che il cielo mi fulmini! eccoli qua. Spero che li perdonerai per il disturbo che ti arrecano.»

«Ah, ma falli venire tutti! Forza, sbrigatevi a venire, voi due, e mettetevi a sedere! Ma senti un po', Gandalf, anche adesso siamo arrivati solo a te, dieci Nani e lo Hobbit che si era perso. Fate solo undici (più uno smarrito) e non quattordici, a meno che gli stregoni non contino in modo diverso dagli altri. Ma adesso per piacere va' avanti con la tua storia.» Beorn cercava di non darlo a vedere, ma in realtà il suo interesse era andato aumentando. Vedete, ai vecchi tempi egli aveva conosciuto proprio quella parte della montagna che Gandalf stava descrivendo. Annuì e ringhiò, quando udì della ricomparsa dello Hobbit e della loro discesa rovinosa per il ghiaione e della radura dei lupi nei boschi.

Quando Gandalf arrivò al punto in cui si erano arrampicati sugli alberi con tutti i lupi di sotto, balzò su, camminò a grandi passi e borbottò: «Come vorrei esserci stato anch'io! Altro che fuochi d'artificio gli avrei dato!.»

«Bene!» disse Gandalf, molto contento di vedere che il suo racconto stava facendo una buona impressione «io feci del mio meglio. Stavamo là coi lupi pazzi furiosi sotto di noi e la foresta che cominciava a fiammeggiare qui e là, quando gli Orchi calarono giù dalla collina e ci scoprirono. Urlarono di gioia e cantarono anche delle canzoni, divertendosi alle nostre spalle. Già quindici uccelli su abeti posati...»

«Santo cielo!» ringhiò Beorn. «Non vorrai farmi credere che gli Orchi non sanno contare. Sanno contare e come: dodici non è quindici e loro lo sanno bene.»

«Lo so anch'io. C'erano anche Bifur e Bofur. Non mi sono azzardato a presentarli prima, ma eccoli qua.»

Vennero Bifur e Bofur. «E io!» boccheggiò Bombur ansimando dietro di loro. Era grasso, e per giunta arrabbiato per essere stato lasciato indietro fino alla fine. Si rifiutò di attendere altri cinque minuti e venne subito dopo gli altri due.

«Be', adesso siete davvero quindici; e visto che gli Orchi sanno contare, suppongo che questo sia tutto ciò che c'era sugli alberi. Ora forse possiamo finire questa storia senza altre interruzioni.» Il signor Baggins vide allora quanto abile era stato Gandalf: erano state le interruzioni ad accrescere l'interesse di Beorn per il racconto, e il racconto lo aveva trattenuto dal mandare subito via i Nani come mendicanti sospetti. Non invitava mai gente a casa, se poteva farne a meno. Aveva pochissimi amici e vivevano molto lontano; e non ne invitava mai più di due per volta a casa sua. E adesso aveva quindici stranieri seduti nella veranda!

Quando lo stregone ebbe finito la sua storia, ed ebbe raccontato del salvataggio delle aquile e di come erano stati portati tutti sulla Carroccia, il sole era tramontato dietro le vette delle Montagne Nebbiose e le ombre erano lunghe nel giardino di Beorn.

«Che storia magnifica!» egli disse. «È molto tempo che non ne ho sentita una migliore. Se tutti i mendicanti ne sapessero raccontare una così bella, forse mi troverebbero più bendisposto. Naturalmente potreste esservela inventata tutta, ma vi meritate lo stesso una cena per la vostra storia. Andiamo a mangiare qualcosa!»

«Sì, grazie!» dissero tutti insieme. «Con vero piacere!»

 

* * *

 

All'interno della grande sala ora faceva proprio buio. Beorn batté le mani ed ecco che entrarono trottando quattro bei pony bianchi, e parecchi cani grigi, forti e slanciati. Beorn disse loro qualcosa in uno strano linguaggio, che pareva fatto di suoni animaleschi usati come parole. Essi uscirono di nuovo e presto tornarono portando in bocca alcune torce, che accesero sul fuoco e fissarono a certi sostegni bassi sui pilastri, al centro della sala. Quando volevano, i cani potevano rizzarsi sulle zampe posteriori e portare qualsiasi cosa con quelle anteriori. Sistemarono rapidamente accanto al fuoco assi e cavalletti, che erano appoggiati alle pareti laterali.

Poi si udì un beee-beee-beee, ed entrarono alcune pecore bianche come la neve guidate da un grosso montone, nero come il carbone. Una reggeva una tovaglia bianca con figure d'animali ricamate sul bordo; altre reggevano sulla larga schiena dei vassoi con fondine, piatti da portata, coltelli e cucchiai di legno, che i cani presero e disposero velocemente sulle tavole rustiche. Queste erano molto basse, tanto basse che perfino Bilbo poteva sedervisi comodamente. Sui lati, un pony spinse due sgabelletti con un largo fondo di vimini e piccole gambe tozze per Gandalf e Thorin, mentre a capotavola mise la grossa sedia nera di Beorn, fatta allo stesso modo (su cui egli sedeva con le gambone allungate sotto un bel tratto di tavola). Queste erano tutte le sedie che aveva a casa, e probabilmente erano così basse per la comodità degli straordinari animali che lo servivano. Su che cosa si sedettero gli altri? Non furono dimenticati. Gli altri pony entrarono facendo rotolare dei tronchetti, piallati e lucidati, e bassi abbastanza perfino per Bilbo; così presto furono tutti seduti attorno alla tavola di Beorn, e la sala non aveva visto una brigata come quella da molti anni.

Lì cenarono, o meglio banchettarono, come non avevano più fatto dopo aver lasciato l'Ultima Casa Accogliente a Oriente e aver detto addio a Elrond. La luce delle torce e del fuoco tremolava attorno a loro, e sulla tavola c'erano due candele alte e rosse fatte con la cera delle api. Per tutto il tempo in cui mangiarono, Beorn con la sua voce profonda e tonante raccontò storie delle Terre Selvagge che si estendevano ai piedi di quel versante delle montagne, e specialmente del bosco scuro e pericoloso che si stendeva continuo da Nord a Sud a un giorno di galoppo davanti a loro, sbarrando la strada verso Est, la terribile foresta di Bosco Atro.

I Nani ascoltavano e scotevano la barba, poiché sapevano che presto avrebbero dovuto avventurarsi in quella foresta e che dopo la Montagna questo era il pericolo peggiore che avrebbero dovuto affrontare prima di arrivare alla roccaforte del drago. Quando la cena finì, cominciarono a loro volta a raccontare storie, ma sembrava che Beorn diventasse sempre più assonnato e prestasse loro poca attenzione. Per lo più parlavano d'oro, d'argento e di gioielli, e di quali cose poteva creare l'arte dei fabbri, e non pareva che Beorn fosse interessato a queste cose: non c'era niente d'oro o d'argento nel suo salone, e a parte i coltelli c'era ben poco che fosse fatto di un metallo qualsiasi.

Sedevano tutt'intorno alla tavola con i loro boccali di legno pieni di idromele. Fuori calavano le tenebre della notte. Il fuoco in mezzo alla sala venne riattizzato con nuovi ciocchi e le torce vennero spente, ed essi continuarono a star seduti alla luce delle fiamme che danzavano, coi pilastri della casa che incombevano su di loro alti e scuri come alberi della foresta. Che si trattasse o no di magia, a Bilbo parve di udire un suono simile allo stormire del vento tra i rami che proveniva dalle travi, e il verso del gufo. Presto la testa cominciò a ciondolargli per il sonno e le voci sembrarono farsi più lontane, finché si svegliò con un sobbalzo.

La grande porta aveva cigolato e si era chiusa con fracasso. Beorn se n'era andato. I Nani stavano seduti a gambe incrociate sul pavimento intorno al fuoco, e proprio allora cominciarono a cantare. Alcuni versi erano pressappoco simili a questi, ma ce n'erano molti di più e il loro canto andò avanti a lungo:

 

Spazzava il vento l'arida brughiera,

ma non di foglie un fremito nel bosco:

notte e giorno la luce mai non v'era,

cose oscure movean per l'aere fosco.

 

Dai monti il vento gelido scendeva

qual mar di onde in tempestosa guerra,

dai rami al crepitar tutto gemeva

e solo foglie ricoprian la terra.

 

Infuriò il vento da Occidente a Oriente,

nel bosco attor cessò segno di vita:

sulla palude, ululo fremente,

la sua stridula voce s'era udita.

 

Cadeau, fra l'erbe sibilanti, steli;

le canne si agitavano col vento

che sugli stagni, sotto freddi cieli,

mise nubi veloci in sfacimento.

 

Passò sulla Montagna solitaria

e turbinò del drago nella tana,

mentre un fumo levavasi nell'aria

là dove l'aspra roccia era sovrana.

 

Dalla terra fuggì nell'aura bruna

verso il mare sull'acque sconfinate.

Tese vele alla raffica la luna

e il vento rese le stelle più argentate.

 

La testa di Bilbo ricominciò a ciondolare. Improvvisamente Gandalf si alzò.

«È ora di andare a dormire,» disse «noi però, non Beorn, direi. In questa sala possiamo dormire tranquilli e sicuri, ma vi avverto di non dimenticare quello che ha detto Beorn prima di lasciarci: non dovete allontanarvi di qui prima che il sole si sia levato, a vostro rischio e pericolo.»

Bilbo vide che i letti erano già stati preparati in fondo alla sala, su una specie di piattaforma rialzata tra i pilastri e l'alta parete. Per lui c'erano un materassino di paglia e qualche coperta di lana. Ci si accoccolò tutto felice, per quanto fosse estate. Il fuoco era basso ed egli si addormentò. Tuttavia si svegliò durante la notte; il fuoco si era ridotto a poche braci, i Nani e Gandalf dormivano tutti, a giudicare dal loro respiro; sul pavimento c'era una pozza di bianca luce lunare, che filtrava attraverso il buco per il fumo nel soffitto.

Ci fu un suono gutturale di fuori, e un rumore che pareva prodotto da qualche grosso animale che stropicciasse i piedi vicino alla porta. Bilbo si domandò che cosa fosse e se potesse essere Beorn trasformato per magia, e se sarebbe entrato in forma di orso e li avrebbe uccisi. Si ficcò sotto le coperte e nascose la testa, e finalmente si riaddormentò nonostante tutte le sue paure.

 

* * *

 

Era mattino inoltrato quando si svegliò. Uno dei Nani era caduto sopra di lui nel buio in cui giaceva, ed era rotolato con un colpo sordo giù dalla piattaforma, sul pavimento. Era Bofur, e se ne stava lamentando, quando Bilbo aprì gli occhi.

«Alzati, pigrone», disse «o non troverai più niente a colazione.»

Bilbo saltò su. «Colazione!» gridò. «Dov'è la colazione?»

«Per lo più nelle nostre pance,» risposero gli altri Nani che si movevano per la sala «ma quello che rimane sta fuori sulla veranda. Abbiamo cercato Beorn da quando è sorto il sole; ma di lui non c'è traccia, in nessun posto, anche se abbiamo trovato la colazione pronta appena siamo usciti.»

«Dov'è Gandalf?» domandò Bilbo, andando a mangiare qualcosa a tutta velocità.

«Oh! In giro da qualche parte!» gli risposero. Ma non ci fu segno di Gandalf per tutto il giorno, fino a sera. Proprio prima del tramonto egli entrò nella sala dove lo Hobbit e i Nani stavano cenando, una volta di più serviti dai favolosi animali di Beorn. Di Beorn non avevano più avuto notizie dirette o indirette fin dalla notte prima, e la cosa li stava mettendo in imbarazzo.

«Dov'è il nostro anfitrione, e tu dove sei stato tutto il giorno?» gridarono tutti.

«Una domanda per volta, e nessuna prima di cena! Non ho mangiato neanche un boccone da quando ho fatto colazione.»

Finalmente Gandalf spinse via piatto e boccale - aveva mangiato due enormi filoni di pane (con una montagna di burro, miele e mascarpone) e bevuto almeno un litro di idromele - e tirò fuori la pipa. «Risponderò prima alla seconda domanda» disse. «Ma che bellezza! questo sì che è un posto splendido per fare anelli di fumo.» Effettivamente per un bel po' non riuscirono a cavargli fuori nient'altro, tanto era occupato a spedire gli anelli di fumo ad attorcigliarsi intorno ai pilastri della sala, trasformandoli in tutta una varietà di forme e colori, e facendoli poi fluttuare uno dietro l'altro, verde, blu, rosso, grigio argento, giallo, bianco; grossi, piccoli, che si avvolgevano attraverso quelli grossi formando degli otto, e svanivano come uno stormo di uccelli in lontananza.

«Sono stato sulle tracce di orsi» disse alla fine. «La notte scorsa ci deve essere stata, qui fuori, una delle riunioni periodiche degli orsi. Non ci ho messo molto a capire che Beorn non poteva aver fatto da solo tutte quelle orme: ce n'erano di gran lunga troppe, e inoltre erano di varie dimensioni. Direi che c'erano orsetti, orsacchiotti, orsi e orsoni giganteschi a danzare lì fuori dal calare delle tenebre quasi fino all'alba. Venivano da quasi tutte le direzioni, eccetto che da Occidente, al di là del fiume, dalle montagne. In quella direzione c'era solo una serie di impronte, ma nessuna che ne provenisse, solo quelle che si allontanavano da qui. Le seguii fino alla Carroccia. A quel punto sparivano nel fiume, ma l'acqua dietro alla roccia era troppo profonda e la corrente troppo forte perché io potessi attraversare. Come vi ricorderete, è abbastanza facile arrivare alla Carroccia da questo lato passando per il guado, ma dall'altra parte c'è un dirupo che si erge sopra un'ansa turbinosa. Dovetti camminare per varie miglia prima di trovare un posto dove il fiume fosse abbastanza largo e basso perché potessi attraversarlo a nuoto, e poi tornare di nuovo indietro per altrettante miglia prima di ritrovare le tracce. A quel punto era troppo tardi per poterle seguire a lungo. Puntavano direttamente in direzione del bosco sul lato orientale delle Montagne Nebbiose, dove abbiamo fatto la nostra bella festicciola coi Mannari due notti fa. E ora credo di avere risposto anche alla vostra prima domanda» finì Gandalf, e rimase seduto a lungo in silenzio.

Bilbo credette di capire che cosa voleva dire lo stregone. «Che dobbiamo fare,» gridò «se porta quaggiù tutti i Mannari e tutti gli Orchi? Saremo catturati e uccisi tutti quanti! Credevo che avessi detto che non era loro amico.»

«Infatti. Non fare lo stupido! È meglio che te ne torni a letto, sei proprio addormentato!»

Lo Hobbit si sentì completamente schiacciato, e poiché pareva che non ci fosse altro da fare, andò a letto; e mentre i Nani stavano ancora cantando si addormentò, rompendosi ancora il capino a proposito di Beorn, finché fece un sogno in cui centinaia di orsi neri danzavano danze lente e pesanti tutt'intorno al cortile, al chiaro di luna. Poi si svegliò quando tutti gli altri dormivano e sentì ancora una volta lo stesso grattare, respirare rumoroso e ringhiare della notte prima.

La mattina dopo furono svegliati tutti quanti da Beorn in persona. «Così, eccovi ancora qua!» egli disse. Tirò su lo Hobbit e rise: «Senza essere stati ancora mangiati dai Mannari o dagli Orchi o da orsi malvagi, mi pare» e dette un colpetto sul panciotto del signor Baggins con pochissimo rispetto. «Il coniglietto sta ridiventando bello grasso a forza di pane e miele!» ridacchiò. «Venite a mangiare un altro po'.»

Così andarono tutti a far colazione con lui. Beorn era veramente gaio, una volta tanto; anzi, era proprio di ottimo umore e li fece ridere tutti con le sue storielle buffe; e non ebbero da domandarsi troppo a lungo dove mai fosse stato o perché fosse così gentile con loro, perché glielo disse lui stesso. Era andato oltre il fiume e poi direttamente sulle montagne, dal che potete immaginare a quale velocità potesse viaggiare, se non altro in forma di orso. Vedendo la radura dei lupi tutta bruciata aveva presto appurato che quella parte della loro storia era vera; ma aveva appurato anche qualcosa di più: infatti, aveva catturato un Mannaro e un Orco che girovagavano nei boschi. Da essi aveva avuto notizie: le pattuglie degli Orchi stavano ancora dando la caccia ai Nani, assieme ai Mannari, fieramente irati a causa del naso bruciato del capo dei lupi, e per la morte di molti dei suoi principali servitori causata dal fuoco dello stregone. Questo era quanto gli dissero quando egli ve li costrinse, ma aveva anche intuito che qualcosa di più malvagio bolliva in pentola, e che presto nelle terre all'ombra delle montagne ci sarebbe stata una grande incursione dell'intero esercito degli Orchi con i loro alleati lupi, per trovare i Nani oppure per vendicarsi sugli Uomini e sulle creature che vivevano lì e che essi pensavano li stessero proteggendo.

«Era proprio una bella storia, la vostra,» disse Beorn «ma mi piace ancora di più adesso che sono sicuro che è vera. Dovete perdonarmi se non ho creduto alla vostra parola. Se viveste vicino al limitare di Bosco Atro, non credereste alla parola di nessuno che non conosceste bene quanto vostro fratello, se non meglio. Sta di fatto che posso solo dire di essere tornato a casa di corsa, il più velocemente possibile, per accertarmi che foste al sicuro e per offrirvi di aiutarvi come posso. In futuro avrò un'opinione migliore dei Nani. Ucciso il Grande Orco, ucciso il Grande Orco!» ridacchiò fieramente tra sé e sé.

«Che cosa hai fatto dell'Orco e del Mannaro?» domandò Bilbo all'improvviso.

«Vieni a vedere!» disse Beorn, ed essi lo seguirono attorno alla casa. La testa di un Orco era infilata su un palo fuori del cancello, e dietro di esso una pelle di lupo era inchiodata a un albero. Beorn era un nemico feroce, ma ora era loro amico, e Gandalf ritenne saggio raccontargli l'intera storia e la ragione del loro viaggio, così da potersi avvantaggiare di tutto l'aiuto che egli era in grado di offrire.

Questo fu quanto Beorn promise di fare: per il loro viaggio verso la foresta avrebbe dato un pony a ciascuno, e un cavallo a Gandalf, e li avrebbe caricati tutti di cibo sufficiente per molte settimane, se amministrato con cura, e imballato così da poter essere trasportato il più facilmente possibile - noci, farina, vasi di frutta secca, pentole rosse di coccio piene di miele, e gallette che sarebbero durate a lungo, piccole quantità delle quali sarebbero bastate a sostenerli per lunghi tratti di strada. La ricetta di queste gallette era uno dei suoi segreti; ma c'era dentro miele - come nella maggior parte del suo cibo - ed erano buone da mangiare, anche se facevano venire sete. Non avrebbero avuto bisogno di trasportare acqua, egli disse, da questa parte della foresta, poiché c'erano rivi e sorgenti lungo il cammino. «Ma la vostra strada attraverso Bosco Atro è scura, pericolosa e difficile» disse. «Non è facile trovarvi né acqua né cibo. Non è ancora la stagione delle noci - anche se in verità potrà essere arrivata e passata prima che arriviate dall'altra parte del bosco - e le noci sono più o meno le sole cose buone da mangiare che crescono là dentro: tutto il resto è selvaggio, oscuro, strano, feroce. Vi fornirò di otri per portare l'acqua, e vi darò archi e frecce. Ma dubito molto che qualsiasi cosa troviate dentro Bosco Atro sia tanto salubre da essere potabile o commestibile. So che c'è un corso d'acqua lì, nero e turbinoso, che attraversa il sentiero. Non dovete né berci né bagnarvici; ho sentito dire, infatti, che le sue acque sono magiche e danno sonnolenza e oblio. E nell'ombra indistinta di quel posto non credo che possiate colpire niente, salubre o non salubre, senza allontanarvi dal sentiero. E questo NON DOVETE FARLO, per nessun motivo.»

«Questi sono tutti i consigli che posso darvi. Oltre il limitare della foresta non posso aiutarvi molto, dovrete contare sulla vostra fortuna, sul vostro coraggio e sul cibo che vi do. Alle soglie della foresta debbo chiedervi di rimandarmi il cavallo e i pony. Ma vi auguro ogni bene, e la mia casa è sempre aperta per voi, se mai ripassate da queste parti.»

 

* * *

 

 

Naturalmente, lo ringraziarono con molti inchini e sventolamenti di cappuccio, e con molti «al vostro servizio, o Signore delle vaste sale di legno!» Ma il loro morale era molto meno alto dopo le sue gravi parole, ed essi sentirono tutti che l'impresa era di gran lunga più pericolosa di quanto avessero pensato, col drago che li aspettava alla fine del viaggio, anche ammesso che superassero i pericoli lungo la strada.

Tutta quella mattina furono indaffarati nei preparativi. Poco dopo mezzogiorno mangiarono con Beorn per l'ultima volta, e dopo pranzo montarono sulle cavalcature che egli aveva loro prestato e salutandolo con molti addii uscirono dal cancello a buona andatura.

Appena lasciarono le alte siepi a est delle sue terre cintate, volsero a Nord e poi piegarono a Nord-Est. Seguendo i suoi consigli non si diressero più verso la strada principale che portava alla foresta passando a sud del suo territorio. Se avessero passato il valico prescelto in origine, il sentiero li avrebbe condotti a un rivolo che scendeva dalle montagne per affluire nel Grande Fiume diverse miglia a sud della Carroccia. In quel punto c'era un guado profondo che avrebbero potuto passare se avessero avuto ancora i pony, e sull'altra riva una pista portava ai margini del bosco e all'inizio della vecchia strada della foresta. Ma Beorn li aveva avvertiti che ora quella via veniva spesso usata dagli Orchi, e del resto la strada, come aveva sentito dire, era ricoperta di erbacce e caduta in disuso all'estremità orientale, e portava a luoghi invalicabili dove da lungo tempo si erano persi i sentieri. Lo sbocco orientale, comunque, era sempre stato molto ' a Sud rispetto alla Montagna Solitaria, cosicché quando fossero arrivati dall'altra parte della foresta avrebbero dovuto percorrere un lungo e difficile cammino verso Nord. Da questa parte della foresta, invece, a nord della Carroccia, il margine di Bosco Atro si avvicinava alle sponde del Grande Fiume, e benché le Montagne non fossero da quella parte molto distanti, Beorn li consigliò di dirigersi lì; infatti, a un certo punto, raggiungibile a cavallo in pochi giorni, si apriva un sentiero poco conosciuto che attraverso Bosco Atro portava quasi direttamente ai piedi della Montagna Solitaria.

«Gli Orchi» aveva detto Beorn «non oseranno né attraversare il Grande Fiume per un centinaio di miglia a nord della Carroccia, né avvicinarsi a casa mia: è ben protetta di notte! Ma è meglio che cavalchiate in fretta; se infatti faranno la loro incursione, attraverseranno il fiume a Sud e perlustreranno tutto il margine della foresta così da tagliarvi fuori, e i Mannari corrono più rapidamente dei pony. In ogni caso siete più al sicuro andando a Nord, anche se sembra che ritorniate più vicino alla loro roccaforte; questo infatti è ciò che meno si aspettano, e saranno loro a dover cavalcare più a lungo per prendervi. Via, adesso, più in fretta che potete!»

Questa è la ragione per cui cavalcarono in silenzio, galoppando dovunque il terreno fosse erboso e soffice, con le montagne scure alla loro sinistra, e in lontananza la linea del fiume coi suoi alberi che si avvicinava sempre di più. Il sole si era appena volto a Occidente, quando erano partiti, e fino a sera indugiò dorato sulla campagna intorno a loro. Era difficile pensare agli Orchi che li inseguivano alle spalle, e quando ebbero messo molte miglia tra loro e la casa di Beorn cominciarono a parlare e a cantare di nuovo, e a dimenticare lo scuro sentiero della foresta che si estendeva davanti a loro. Ma a sera, quando scese il crepuscolo e le vette delle montagne fiammeggiarono torve e minacciose nella luce del tramonto, si accamparono e misero delle sentinelle, e la maggior parte di loro dormì male facendo sogni in cui risuonavano gli ululati dei lupi che davano loro la caccia e le grida degli Orchi.

Al mattino seguente l'alba fu di nuovo vivida e bella. Intorno a loro si era alzata una nebbiolina quasi autunnale e l'aria era fresca e pungente; presto però il sole si levò rosso, a Oriente, e le nebbie svanirono, e mentre le ombre erano ancora lunghe, essi ripresero il cammino. Cavalcarono così per altri due giorni, e per tutto il tempo non videro nulla tranne erba, fiori, uccelli, alberi sparsi qua e là, e di tanto in tanto branchi di cervi rossicci che brucavano o, a mezzogiorno, giacevano all'ombra. Qualche volta Bilbo vedeva le corna dei maschi spuntare fuori dall'erba alta, e a tutta prima pensava che fossero rami secchi. Quella terza sera erano così ansiosi di mettercela tutta (infatti Beorn aveva detto che avrebbero dovuto raggiungere il sentiero della foresta il quarto giorno di buon'ora) che continuarono a cavalcare anche dopo il crepuscolo e nella notte sotto la luna. Mentre la luce svaniva, Bilbo credette di vedere in lontananza, a volte sulla destra e a volte sulla sinistra, la sagoma indistinta di un grosso orso che avanzava furtivamente nella stessa direzione. Ma se osava accennarne a Gandalf, lo stregone diceva soltanto: «Ssst! Non badarci!.»


Date: 2015-12-17; view: 797


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