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Dalla padella alla brace 4 page

L'indomani partirono prima dell'alba, anche se la loro notte era stata breve. Appena fece luce poterono vedere la foresta farsi più vicina, quasi stesse per venire incontro o li aspettasse come un muro nero e minaccioso dinanzi a loro. Il terreno cominciò a salire e allo Hobbit parve che su di loro cominciasse a calare il silenzio. Gli uccelli cantavano di meno, e non si vedeva più nessun cervo; erano spariti perfino i conigli selvatici. Verso il pomeriggio avevano raggiunto le prime propaggini di Bosco Atro, e si riposarono quasi sotto i grossi rami sporgenti degli alberi più esterni. Avevano tronchi grossi e nodosi, rami contorti, foglie scure e lunghe. L'edera cresceva su di essi e strisciava al suolo.

«Ebbene, questo è Bosco Atro!» disse Gandalf. «La foresta più grande del Mondo Settentrionale. Spero che il suo aspetto vi piaccia. Ora dovete rimandare indietro questi eccellenti pony che avete preso in prestito.»

I Nani cominciarono a brontolare che non volevano farlo, ma lo stregone disse loro che erano pazzi. «Beorn non è così lontano come vi piacerebbe credere, e comunque è meglio per voi che manteniate le vostre promesse, perché è un nemico spietato. Gli occhi del signor Baggins sono più acuti dei vostri, se non avete visto ogni notte, dopo che faceva buio, un grosso orso avanzare con noi o giacere in lontananza al chiaro di luna sorvegliando il nostro accampamento. E non era solo per farvi la guardia e per guidarvi, ma anche per tenere d'occhio i pony. Beorn può esservi amico finché volete, ma ama i suoi animali come figli. Non potete neanche immaginare di quale gentilezza si sia mostrato capace lasciandoli montare da Nani, così lontano e così velocemente, né riuscireste a immaginare che cosa vi succederebbe, se cercaste di portarli nella foresta.»

«E il cavallo, allora?» disse Thorin. «Quello non hai accennato di rimandarlo indietro.»

«Certo che no, visto che non ce lo rimando.»

«E la tua promessa, allora?»

«A questo ci penso io. Non rimando indietro il cavallo, glielo riporto!»

Allora capirono che Gandalf stava per lasciarli proprio sul limitare di Bosco Atro, e si disperarono. Qualsiasi cosa dicessero, però, non valse a farlo ritornare sulla sua decisione.

«Andiamo, andiamo, tutta questa storia l'abbiamo già affrontata quando siamo arrivati alla Carroccia» egli disse. «Discutere non serve a niente. Come vi ho detto, ho affari pressanti lontano, a Sud; e sono già in ritardo per aver perso tempo con voi. È probabile che ci incontreremo ancora prima che tutto sia finito, è però probabile anche il contrario. Questo dipende dalla vostra fortuna, dal vostro coraggio e dal vostro buon senso; e mando con voi il signor Baggins. Vi ho già detto che è più in gamba di quanto immaginiate, e ve ne accorgerete da soli tra non molto. Perciò coraggio, Bilbo, e non fare quella faccia triste. Coraggio, Thorin e Compagnia! In fondo, questa è la vostra spedizione. Pensate al tesoro che vi aspetta alla fine e dimenticatevi della foresta e del drago, almeno fino a domani mattina!»



E quando l'indomani mattina arrivò egli ripeté le stesse cose. Così ora non c'era rimasto altro da fare che riempire gli otri a una limpida sorgente che trovarono vicino all'entrata della foresta, e scaricare i pony. Distribuirono il carico il più equamente possibile, benché a Bilbo paresse che il suo fardello fosse pesante e gravoso, e non gli piacesse affatto l'idea di avanzare faticosamente per miglia e miglia con tutta quella roba sulla schiena.

«Non ti preoccupare!» disse Thorin. «Diventerà sempre più leggero, e fin troppo presto. Prevedo che tra non molto, quando il cibo comincerà a scarseggiare, desidereremo tutti avere fardelli più pesanti.»

Finalmente salutarono i pony e girarono le loro teste verso casa. Essi trottarono via gaiamente, con l'aria di essere molto contenti di voltare le code all'ombra di Bosco Atro. Mentre se ne andavano, Bilbo avrebbe potuto giurare che qualcosa di simile a un orso si staccasse dall'ombra degli alberi e dondolasse via veloce dietro di loro.

Ora anche Gandalf disse addio. Bilbo sedeva per terra sentendosi molto infelice, e desiderando con tutto il cuore di essere accanto allo stregone sul suo alto cavallo. Appena fatta colazione (una ben misera colazione!) egli si era addentrato nella foresta, e gli era parso che lì dentro tutto fosse buio, e misterioso, di mattina non meno che di notte: 'Una sensazione come di vigilanza e di attesa' disse tra sé e sé.

«Addio!» disse Gandalf a Thorin. «E addio a voi tutti, addio! Adesso la vostra strada va diritta attraverso la foresta. Non allontanatevi dalla pista! Se lo fate, c'è una possibilità su mille che la ritroviate di nuovo e usciate da Bosco Atro; e allora non credo che io, o nessun altro, possa mai rivedervi.»

«Ma dobbiamo proprio attraversarlo?» si lagnò lo Hobbit.

«Certo che sì!» disse lo stregone «se volete arrivare dall'altra parte. O lo attraversate o abbandonate la vostra ricerca. E non ti permetterò di fare marcia indietro proprio adesso, signor Baggins. Mi vergogno di te se lo pensi. Devi badare a tutti questi Nani in vece mia!» rise.

«Ma no, ma no!» disse Bilbo. «Non volevo dire questo. Volevo dire, non c'è una strada che giri intorno al bosco?»

«C'è, se vi va di fare circa duecento miglia in più andando a Nord, e il doppio andando a Sud. Ma non troverete un sentiero sicuro nemmeno in questo caso. Ricordatevi che ora siete al Confine delle Terre Selvagge e che, dovunque andiate, vi aspettano sorprese di ogni genere. Prima che possiate aggirare Bosco Atro da Nord vi troverete in mezzo alle voragini delle Montagne Grigie, che sono semplicemente rigurgitanti di Orchi, Orconi e Orcacci della peggior specie. Prima che possiate aggirarlo a Sud, vi troverete sulle terre del Negromante; e nemmeno tu, Bilbo, hai bisogno che ti racconti le storie che corrono su quel nero stregone. Non vi consiglio di andare in alcun posto vicino ai luoghi sorvegliati dalle sue torri scure! Rimanete sulla pista nella foresta, tenete alto il morale, e con un'enorme dose di fortuna, forse, un giorno, potrete uscire e vedere le Lunghe Paludi stendersi sotto di voi, e al di là di esse, alta a Oriente, la Montagna Solitaria dove vive il buon vecchio Smog, sebbene mi auguri che non stia aspettandovi.»

«Certo, stai facendo proprio di tutto per tranquillizzarci» brontolò Thorin. «Addio! Se hai davvero deciso di non venire con noi, allora è meglio che te ne vada senza perdere altro tempo in chiacchiere!»

«Arrivederci, allora, e arrivederci sul serio!» disse Gandalf, e girato il cavallo si allontanò al galoppo verso Occidente. Ma non poté resistere alla tentazione di avere l'ultima parola. Poco prima di essere troppo lontano, si girò e facendosi portavoce con le mani li chiamò. Essi udirono le sue parole arrivare a loro fioche: «Arrivederci! Fate i bravi, abbiatevi cura, e NON LASCIATE IL SENTIERO!»

Poi spronò il cavallo e presto svanì alla vista. «Arrivederci e vattene!» grugnirono i Nani, tanto più arrabbiati in quanto veramente pieni di sgomento all'idea di averlo perso. Cominciava ora la parte più pericolosa di tutto il viaggio. Ciascuno si mise in spalla il suo pesante fardello e l'otre con la propria razione d'acqua, volsero tutti la schiena alla luce che inondava le terre a Occidente, e si tuffarono nella foresta.

 


CAPITOLO VIII

Mosche e ragni

 

Camminavano in fila indiana. L'inizio del sentiero era indicato da una specie di arcata che portava in un tunnel tetro fatto di due grandi alberi che si intrecciavano, troppo vecchi ormai e strangolati dall'edera e coperti di musco, per poter reggere più di poche foglie annerite. Il sentiero era stretto e serpeggiava in mezzo ai tronchi. Ben presto la luce all'ingresso fu come un piccolo foro luminoso molto lontano, e il silenzio era così profondo che i loro passi sembravano risonare sordi sul terreno, e tutti gli alberi piegarsi sopra di loro per ascoltare.

Quando gli occhi si furono assuefatti alla penombra, poterono vedere per un certo tratto ai due lati del sentiero attraverso una specie di chiarore verde scuro. Di tanto in tanto un esile raggio di sole, che aveva la fortuna di infiltrarsi dove le foglie erano più rade, su in alto, e la fortuna ancora più grande di non venire imprigionato dai grossi rami aggrovigliati e dai virgulti opachi al di sotto, stilettava giù sottile e vivido davanti a loro. Ma questo accadeva di rado, e presto cessò del tutto.

C'erano scoiattoli neri nel bosco. Appena gli occhi acuti e penetranti di Bilbo si abituarono a vedere le cose, egli riuscì a cogliere le loro velocissime apparizioni mentre frullavano via dal sentiero e correvano a nascondersi dietro i tronchi degli alberi. C'erano anche strani rumori, grugniti, calpestii, tramestii frettolosi nel sottobosco e tra le foglie che senza fine giacevano ammucchiate e fitte sul suolo della foresta; ma da che cosa fossero prodotti quei rumori, Bilbo non riusciva a vederlo. Le cose più brutte che videro furono le ragnatele: ragnatele scure e spesse, dai fili straordinariamente robusti, spesso tese da un albero all'altro, o aggrovigliate sui rami più bassi ai lati del sentiero. Nessuna era tesa proprio attraverso il sentiero, ma era impossibile dire se esso fosse sgombro per magia o per qualche altra ragione.

Non ci volle molto perché cominciassero a odiare la foresta con tutto il cuore, così come avevano odiato i tunnel degli Orchi, tanto più che questa non sembrava offrire maggiori speranze di una qualche fine. Ma dovevano continuare ad andare avanti, anche quando cominciarono a sentirsi male per il desiderio di vedere il sole e il cielo, e ad anelare alla carezza del vento sul viso. Sotto il tetto della foresta non un fremito nell'aria, eternamente immobile, scura e afosa. Lo sentivano perfino i Nani, che pure erano abituati a vivere nei tunnel, e talvolta restavano molto a lungo senza la luce del sole; ma lo Hobbit, cui le caverne piacevano come case e non come posti per passarci le giornate estive, sentiva che stava lentamente soffocando.

Peggiori erano però le notti. Calava allora un buio nero come la pece, ma proprio come la pece; così nero che non si poteva vedere niente di niente. Bilbo provò ad agitare la mano davanti al naso, ma non poté vederla affatto. Forse però non è esatto dire che non potevano vedere niente: potevano vedere degli occhi. Dormivano tutti insieme, stretti l'uno all'altro, e facevano la guardia a turno; e Bilbo, quando era il suo turno, vedeva nell'oscurità attorno a loro dei luccichii, e talvolta un paio d'occhi gialli, o rossi o verdi che lo fissavano a breve distanza, poi lentamente svanivano, e lentamente tornavano a scintillare in qualche altro posto. E talvolta brillavano, rivolti in giù, proprio dai rami che lo sovrastavano; e questa era la cosa più terribile. Ma gli occhi che gli piacevano di meno erano un tipo di occhi orribili dal bulbo pallido. 'Occhi di insetto,' pensò 'non occhi di animali, solo che sono di gran lunga troppo grandi.'

Benché non facesse ancora freddo, cercarono di tenere accesi dei fuochi di guardia la notte, ma presto vi rinunciarono. Sembrava che attirassero centinaia e centinaia di occhi tutto intorno a loro, sebbene gli esseri, qualsiasi cosa fossero, badassero a non esporre i loro corpi alla luce tremolante delle fiamme. Ma quel che era peggio, attiravano migliaia di falene grigio-scure e nere, alcune grandi quasi come una mano, che sbattevano le ali e frullavano intorno alle loro orecchie. Essi non riuscivano a sopportarle, e nemmeno i grossi pipistrelli, neri come un cappello a cilindro; sicché rinunciarono ai fuochi, e la notte dormicchiavano seduti in quell'oscurità misteriosa ed enorme.

Tutto questo andò avanti per un periodo che allo Hobbit pareva non finisse mai; e aveva sempre fame, perché erano molto cauti con le provviste. Anche così, col passare dei giorni, e la foresta che pareva sempre identica, cominciarono a stare in ansia. Il cibo non sarebbe durato per sempre, ed era anzi già paurosamente diminuito. Cercarono di tirare agli scoiattoli, e persero molte frecce prima di riuscire a portarne uno giù sul sentiero. Ma quando lo arrostirono, risultò orrendo al palato, e smisero di cacciarli.

Avevano anche sete, perché nessuno aveva troppa acqua, e per tutto quel tempo non avevano visto né una fonte né un ruscello. Si trovavano in questo stato quando un giorno trovarono il loro sentiero interrotto da un corso d'acqua. Scorreva veloce e turbinoso, ma non era molto largo; era nero, o tale appariva nella penombra. Fu una buona cosa che Beorn li avesse messi in guardia contro di esso, altrimenti ne avrebbero bevuto l'acqua qualunque fosse il suo colore, e avrebbero riempito dalla riva qualche otre ormai vuoto. Stando così le cose, pensarono solo a come attraversarlo senza bagnarsi. Un tempo c'era stato un ponte di legno, ma ora, marcito, era caduto lasciando solo i puntelli rotti vicino alle sponde.

Bilbo inginocchiato sulla riva e scrutando avanti gridò: «C'è una barca attraccata all'altra riva! Ma perché non poteva stare da questa parte!»

«Quanto credi che sia lontana?» domandò Thorin, poiché ormai sapevano che tra di loro Bilbo era quello che aveva gli occhi più acuti.

«Non è lontana per niente. Direi non più di dieci metri.»

«Dieci metri! Avrei pensato che fossero almeno trenta, ma i miei occhi non vedono più bene come un centinaio di anni fa. Tuttavia dieci metri sono come un miglio. Non possiamo attraversare con un salto, né possiamo osare di passare a guado o a nuoto.»

«Qualcuno di voi sa lanciare una corda?»

«E a che serve? La barca sarà senz'altro legata, anche se riusciamo ad agganciarla, cosa di cui dubito.»

«Non credo che sia legata,» disse Bilbo «anche se ovviamente non posso esserne sicuro con questa luce; ma mi pare che sia solo tirata a riva, che proprio lì, dove il sentiero scende in acqua, è bassa.»

«Dori è il più forte, ma Fili è il più giovane e ha ancora la vista buona» disse Thorin. «Vieni qui, Fili, e guarda se riesci a vedere la barca di cui parla il signor Baggins.»

A Fili parve di sì; così quando l'ebbe fissata a lungo per farsi un'idea della direzione, gli altri gli portarono una corda. Ne avevano molte con loro, e all'estremità di quella più lunga assicurarono uno dei grossi uncini di ferro che avevano usato per fissare i fardelli alle cinghie girate attorno alle loro spalle. Fili la prese, la bilanciò per un momento, poi la lanciò attraverso il ruscello.

E cadde in acqua tra mille spruzzi! «Troppo corto!» disse Bilbo che scrutava davanti a sé. «Un altro mezzo metro e l'avresti calata sulla barca. Prova ancora. Non credo che l'incantesimo sia tanto forte da farti del male, se ti limiti a toccare un pezzetto di corda bagnata.»

Fili prese in mano l'uncino dopo averlo ritirato a sé, non senza una certa esitazione. Questa volta lo lanciò con maggior forza.

«Piano!» disse Bilbo. «Adesso l'hai lanciata diritta nel bosco. Tirala indietro piano piano.» Fili tirò indietro la corda lentamente, e dopo un po' Bilbo disse: «Attento! Sta proprio sopra la barca; speriamo che l'uncino faccia presa.»

Così fu. La corda si tese, e Fili tirò invano. Kili venne in suo aiuto, e poi Oin e Gloin. Continuarono a dare strattoni, e improvvisamente ricaddero tutti sulla schiena. Bilbo stava in guardia, però; afferrò la corda e con un pezzo di bastone respinse la barchetta nera che arrivava velocissima attraverso il rivo. «Aiuto!» gridò, e Balin fece appena in tempo a fermare la barca prima che se ne andasse via con la corrente.

«A quanto pare era legata» disse, guardando gli ormeggi spezzati che ne penzolavano ancora. «Avete tirato proprio bene, ragazzi; e meno male che la nostra corda era la più robusta.»

«Chi attraversa per primo?» domandò Bilbo.

«Io,» disse Thorin «e tu verrai con me, insieme con Fili e Balin. La barca non ne regge più di tanti per volta. Dopo di noi, Kili, Oin, Gloin e Dori; poi Ori e Nori, Bifur e Bofur; e per ultimi Dwalin e Bombur.»

«Sono sempre ultimo, e non mi piace affatto» disse Bombur. «Oggi tocca a qualcun altro.»

«Non dovresti essere così grasso. Visto che lo sei, farai parte dell'ultimo carico, che è anche il più leggero. Non cominciare a brontolare contro gli ordini, o ti capiterà qualcosa di brutto.»

«Non ci sono remi. Come farete a riportare la barca all'altra riva?» domandò lo Hobbit.

«Datemi un altro tratto di corda, e un altro uncino» disse Fili, e quando tutto fu pronto, lo lanciò avanti nel buio più in alto che poté. Poiché non ricadde, doveva essersi impigliato tra i rami. «Montate, adesso,» disse Fili «e uno di voi tiri questa corda che ora è assicurata a un albero dall'altra parte. Uno degli altri deve prendere con sé l'uncino che abbiamo usato la prima volta, e quando saremo al sicuro sull'altra sponda lo può fissare alla barca e voialtri a terra la potete tirare indietro.»

In questo modo furono presto tutti al sicuro sull'altra riva del fiume incantato. Dwalin aveva appena messo piede a terra con la corda arrotolata intorno al braccio, e Bombur (ancora borbottando) si apprestava a seguirlo, quand'ecco capitò qualcosa di brutto. Ci fu un sordo rumore di zoccoli nell'aria, sopra il sentiero davanti a loro. Dalla penombra uscì improvvisamente la sagoma volante di un cervo. Caricò i Nani facendoli rotolare per terra poi si raccolse per saltare. Saltò molto in alto, e con quell'unico balzo possente superò il fiume. Ma non raggiunse incolume l'altra riva: Thorin era stato l'unico a mantenere l'equilibrio e la prontezza di spirito. Appena era sbarcato aveva teso l'arco e aveva incoccato una freccia nel caso che qualche guardiano della barca uscisse dal suo nascondiglio. Mentre la bestia saltava, la colpì con un tiro rapido e sicuro. Arrivando sulla riva opposta essa inciampò. Le tenebre la inghiottirono, ma essi udirono il rumore degli zoccoli frangersi velocemente e poi tacere.

Prima che potessero esprimere la loro ammirazione per il tiro, però, un tremendo grido di allarme di Bilbo scacciò dalla loro mente qualsiasi pensiero di caccia al cervo. «Bombur è caduto in acqua! Bombur sta affogando!» Era fin troppo vero. Bombur aveva solo un piede a terra quando il cervo era piombato su di lui per poi passare al di là nel suo gran balzo. Era inciampato, spingendo via la barca dalla riva, e poi era ruzzolato nell'acqua scura, e le mani si erano aggrappate invano alle radici fangose della sponda, mentre la barca lentamente si staccava e spariva.

Potevano ancora vedere il suo cappuccio a fior d'acqua quando corsero verso di lui. Gli gettarono velocemente una corda con un uncino. La sua mano l'afferrò, e lo tirarono a riva. Era fradicio dalla testa ai piedi, ovviamente, ma questo era il meno. Quando lo distesero al suolo era già profondamente addormentato, e una mano stringeva la corda con tanta forza che non riuscirono a strappargliela via; e profondamente addormentato rimase qualsiasi cosa essi facessero.

Stavano ancora tutti sopra di lui, maledicendo la loro sfortuna e la sua goffaggine, e lamentandosi della perdita della barca che rendeva loro impossibile tornare indietro a cercare il cervo, quando si accorsero di un fioco soffiare di corni nel bosco e di un rumore come di cani che abbaiassero in lontananza. Fecero tutti silenzio; e mentre stavano seduti pareva loro di udire lo strepito di una grande caccia che si svolgeva a nord del sentiero, anche se non ne videro alcun segno.

Sedettero lì a lungo, senza osare di fare un singolo movimento. Bombur continuava a dormire con un sorriso beato sulla faccia grassa, come se non si curasse più di tutti i guai che li travagliavano. Improvvisamente, sul sentiero di fronte a loro apparvero dei cervi bianchi, una cerva e dei cerbiatti dal mantello tanto candido quanto quello del cervo era stato scuro. Essi brillavano nelle tenebre. Prima che Thorin potesse lanciare un grido, tre Nani erano balzati in piedi e avevano scoccato le frecce del loro arco. Nessuna sembrò colpire nel segno. I cervi si voltarono indietro e svanirono tra gli alberi, silenziosi come erano venuti, e i Nani scoccarono invano le loro frecce dietro di essi.

 

 

«Fermi! Fermi!» urlò Thorin; ma era troppo tardi, i Nani in preda all'eccitazione avevano sprecato le loro ultime frecce e ora gli archi che Beorn aveva dato loro erano inutili.

Ben triste fu la brigata quella notte, e la tristezza di tutti si fece più profonda durante i giorni seguenti. Avevano attraversato il rivo incantato; ma, al di là, il sentiero pareva girovagare esattamente come prima, e non riuscivano a notare alcun cambiamento nella foresta. Eppure se ne avessero saputo di più, e se si fossero soffermati a considerare il significato della caccia e di quei cervi bianchi che erano apparsi sul loro cammino, avrebbero capito che finalmente stavano avvicinandosi al confine orientale del bosco, e, se non si fossero scoraggiati, sarebbero presto arrivati in zone dove gli alberi crescevano più radi, e dove la luce del sole tornava a brillare.

 

 

Ma non lo sapevano, ed erano gravati dal corpo pesante di Bombur, che dovevano portare con loro come meglio potevano, affrontando il pesante dovere a turni di quattro mentre gli altri si dividevano i loro fardelli. Se questi non fossero diventati tutti fin troppo leggeri negli ultimi giorni, non ce l'avrebbero mai fatta; ma un Bombur beatamente addormentato e sorridente era una misera alternativa a bisacce piene di cibo, anche se pesanti. In pochi giorni arrivarono al momento di non avere praticamente più nulla da mangiare o da bere. Non riuscivano a vedere niente di commestibile che crescesse nel bosco, solo funghi velenosi ed erbe dalle foglie anemiche e dall'odore sgradevole.

Dopo circa quattro giorni di marcia dal rivo incantato arrivarono in un posto dove gli alberi erano per lo più faggi. All'inizio furono propensi a rallegrarsi del cambiamento, poiché qui non c'era sottobosco e l'ombra non era tanto fonda. Ai lati del sentiero filtrava una tenue luce verdastra. Ma la luce mostrava loro soltanto infinite linee di tronchi grigi e diritti come le colonne di qualche vasta sala al crepuscolo. C'era un alito d'aria e un rumore di vento, ma aveva un suono triste; poche foglie vennero giù frusciando a ricordare che fuori stava arrivando l'autunno. I loro passi calpestavano le foglie morte di altri innumerevoli autunni che il vento aveva accumulato sui bordi del sentiero strappandole al tappeto rosso cupo della foresta.

Bombur dormiva sempre, ed essi diventavano sempre più stanchi. A tratti udivano risonare risate inquietanti. A volte sentivano anche dei canti, in lontananza. Il riso era un riso di voci gentili, molto diverse da quelle degli Orchi, e i canti erano belli, ma sembravano irreali e strani, ed essi non ne erano confortati, ma piuttosto incalzati a lasciare quei luoghi con tutta la forza che ancora possedevano.

«Ma non finisce mai questa maledetta foresta?» disse Thorin. «Qualcuno deve arrampicarsi su un albero per vedere se riesce a sporgere la testa fuori dal tetto per dare un'occhiata attorno. L'unico modo è scegliere l'albero più alto che sovrasta il sentiero.»

Naturalmente, qualcuno voleva dire Bilbo. Lo scelsero perché l'arrampicatore doveva sporgere la testa al di sopra delle foglie più alte, e pertanto doveva essere tanto leggero che i rami più alti e sottili potessero reggerlo. Il povero signor Baggins non aveva mai fatto molta pratica nell'arrampicarsi sugli alberi, ma essi lo issarono sui rami più bassi di un'enorme quercia che si ergeva proprio in mezzo al sentiero e dovette salire alla bell'e meglio. Si fece strada attraverso l'intrico dei rami ricevendo diversi colpi negli occhi; fu insudiciato e sporcato di verde dalla vecchia scorza dei rami più grossi; più di una volta scivolò e si afferrò appena in tempo; e finalmente dopo un'aspra lotta in un punto difficile dove pareva che non ci fossero affatto dei rami adatti allo scopo, arrivò quasi in cima. Per tutto il tempo non smise di domandarsi se ci fossero dei ragni sull'albero, e come avrebbe fatto a ridiscendere se non cadendo.

Alla fine la sua testa sbucò fuori dal tetto di foglie e a quel punto sì che trovò i ragni. Ma erano solo ragnetti di dimensioni normali, e davano la caccia alle farfalle. Gli occhi di Bilbo furono quasi accecati dalla luce. Udì i Nani gridargli qualcosa da molto più in giù, ma non poteva rispondere, solo trattenere il fiato e sbattere gli occhi. Il sole brillava radioso e passò parecchio tempo prima che Bilbo potesse sopportarne la luce. Quando poté, vide tutt'intorno a sé un mare di verde cupo, increspato qua e là dalla brezza; e dappertutto c'erano centinaia di farfalle. Ritengo che fossero del tipo «imperatrice purpurea», una farfalla che ama le cime dei querceti, ma queste non erano purpuree per niente, erano di un nero vellutato scuro scuro, senza nessun segno visibile.

Egli guardò le «imperatrici nigre» per un bel po', e godette la sensazione della brezza sui capelli e sul viso; ma a lungo andare le grida dei Nani, che ora battevano impazientemente i piedi più sotto, gli rammentarono la vera natura del suo compito. Andava male. Per quanto aguzzasse gli occhi, non riusciva a vedere in nessuna direzione la fine degli alberi e delle foglie. Il suo cuore, che si era allargato alla vista del sole e alla carezza del vento, si strinse di nuovo; non c'era più cibo cui ritornare, là sotto.

In realtà, come vi ho detto, non erano molto lontani dal limitare della foresta; e se Bilbo avesse avuto il buon senso di accorgersene, l'albero su cui si era arrampicato, per quanto alto in sé, era quasi al fondo di un ampio avvallamento così che dalla sua cima pareva che tutt'intorno gli alberi si rigonfiassero come ai bordi di una grossa zuppiera, ed egli non poteva certo aspettarsi di vedere da lì per quanto ancora si estendesse la foresta. Eppure non se ne accorse, e scese giù al colmo della disperazione. Giunto finalmente a terra, graffiato, accaldato e infelice, non era più capace di vedere niente nella penombra sottostante. Ben presto il suo resoconto rese gli altri infelici quanto lui.

«La foresta va avanti e avanti e avanti in tutte le direzioni! Che cosa faremo? E a che serve mandare uno Hobbit?» essi gridarono, come se fosse colpa sua. Non gliene importava un fico delle farfalle e quando egli raccontò loro della bella brezza che essi non avevano potuto godere, essendo troppo pesanti per arrampicarsi a respirarla, si arrabbiarono ancora di più.

 

Quella notte mangiarono gli ultimissimi avanzi di cibo; e la mattina dopo, quando si svegliarono, la prima cosa di cui si resero conto fu di avere ancora una fame da lupi, e la seconda cosa fu che pioveva e che qua e là la pioggia cadeva pesantemente sul fondo della foresta. Questo servì solo a ricordare loro che erano anche riarsi dalla sete, senza minimamente alleviarla: non si può calmare una sete terribile stando sotto queste querce giganti ad aspettare che una goccia vi caschi per caso sulla lingua. L'unico barlume di conforto venne inaspettatamente da Bombur.

Egli si svegliò improvvisamente e si mise a sedere grattandosi la testa. Non riusciva a capire né dov'era né tanto meno perché si sentisse tanto affamato; infatti aveva dimenticato tutto quello che era successo da quando avevano cominciato il loro viaggio quel mattino di maggio, tanto tempo fa. L'ultima cosa che ricordava era la riunione a casa dello Hobbit, e gli altri ebbero grandi difficoltà a fargli credere al racconto di tutte le varie avventure che avevano avuto a partire da allora.

Quando udì che non c'era niente da mangiare, si rimise giù e pianse, poiché si sentiva molto debole e malfermo sulle gambe. «Ma perché mi sono svegliato!» strillò. «Stavo facendo un sogno così bello! Sognavo di camminare in una foresta abbastanza simile a questa, ma illuminata da torce sugli alberi, da lampade che pendevano dai rami e da fuochi che bruciavano sul terreno; e c'era una grande festa che continuava all'infinito. C'era un re dei boschi con una corona di foglie, e tutti cantavano allegramente, e non potrei elencare né descrivere le cose che c'erano da mangiare e da bere.»


Date: 2015-12-17; view: 834


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