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Una riunione inaspettata 4 page

«Sembrano buone lame» disse lo stregone, estraendole a mezzo e fissandole con curiosità. «Non sono state fatte da un Uomo Nero, né da un fabbro tra gli Uomini, né da queste parti né di recente; ma quando potremo leggere le rune incise su di esse, ne sapremo di più sul loro conto.»

«Usciamo da questa puzza terribile!» disse Fili. Così portarono fuori le pentole con le monete e il cibo che sembrava intatto e buono da mangiare, oltre a un barile di birra chiara che era ancora pieno. Avevano un bisogno assoluto di far colazione, ed essendo affamatissimi non arricciarono il naso davanti a quel che si erano procurati nella dispensa degli Uomini Neri. Le loro provviste personali erano molto scarse. Adesso avevano pane e formaggio, birra in abbondanza e pancetta da friggere sulle braci.

Dopodiché dormirono, perché la notte era stata movimentata; e non fecero altro fino al pomeriggio. Poi andarono a prendere i loro pony e portarono via le pentole con l'oro, e le seppellirono molto segretamente non lontano dal sentiero vicino al fiume, facendoci sopra moltissimi incantesimi, caso mai avessero modo di tornare a riprenderle. Quando questo fu fatto, rimontarono tutti in sella e ripresero ad avanzare caracollando sul sentiero verso Oriente.

«Dove eri andato, se non sono indiscreto?» disse Thorin a Gandalf mentre cavalcavano.

«A guardare avanti» egli disse.

«E che cosa ti ha portato indietro all'ultimo minuto?»

«L'aver guardato indietro» egli disse.

«Chiarissimo!» disse Thorin. «Ma non potresti essere più esplicito?»

«Andai avanti a perlustrare la nostra strada. Presto diventerà pericolosa e difficile. Inoltre ero ansioso di rifornire la nostra piccola scorta di provviste. Comunque non ero andato molto lontano, quando incontrai un paio di amici miei di Gran Burrone.»

«Dov'è?» domandò Bilbo.

«Non interrompere!» disse Gandalf. «Ci arriverete tra pochi giorni, se siamo fortunati, e scoprirete tutto al riguardo. Come dicevo, incontrai due amici appartenenti al popolo di Elrond. Se ne andavano di corsa per paura degli Uomini Neri. Furono loro a dirmi che tre di essi erano scesi dalle montagne e si erano sistemati nei boschi non lontano dalla strada: avevano suscitato un tale terrore che la contrada si era spopolata e tendevano agguati agli stranieri.»

«Ebbi immediatamente la sensazione che era necessario che ritornassi da voi. Guardando indietro vidi un fuoco in lontananza e mi ci diressi. Così adesso sapete tutto. Per piacere, state più attenti la prossima volta, o non raggiungeremo mai la nostra meta!»

«Grazie!» disse Thorin.

 


CAPITOLO III

Un breve riposo

 

Quel giorno non cantarono né raccontarono storie, anche se il tempo era migliorato; e neanche l'indomani, né il giorno successivo. Avevano cominciato ad avvertire che, da tutti i lati, il pericolo non era lontano. Si accampavano sotto le stelle, e i loro pony avevano da mangiare più di loro: infatti c'era erba in abbondanza, ma non c'era molto nelle loro bisacce, considerato anche quello che si erano procurati dagli Uomini Neri. Un mattino guadarono un fiume in un punto ampio e poco profondo, risonante contro le rocce fra schizzi di spuma. La riva opposta era scoscesa e sdrucciolevole. Quando vi arrivarono in cima, conducendo a mano i pony, videro che le grandi montagne erano ormai vicinissime. Subito pensarono che ormai ci volesse solo un giorno di viaggio per giungere ai piedi di quella più vicina. Scura e desolata essa appariva, benché ci fossero macchie di sole sui suoi fianchi bruni, e dietro alle sue spalle scintillassero le punte delle vette nevose.



«È questa la Montagna?» domandò Bilbo con voce solenne, guardandola con occhi sbarrati. Non aveva mai visto una cosa tanto grande in vita sua.

«Certo che no!» disse Balin. «Questo è solo l'inizio delle Montagne Nebbiose e bisogna che in qualche modo passiamo al di là, al di sopra o al di sotto di esse, prima di poter giungere nelle Terre Selvagge che stanno dietro. E c'è un bel po' di strada anche dall'altra parte, fino alla Montagna Solitaria a Est, dove Smog giace sul nostro tesoro.»

«Oh!» disse Bilbo, e proprio in quel momento si sentì più stanco di quanto ricordasse d'essere mai stato prima. Pensò una volta di più alla sua comoda poltrona davanti al caminetto nel suo soggiorno preferito della sua caverna hobbit, e alla cuccuma che fischiava. E non fu l'ultima volta!

 

* * *

 

Adesso Gandalf era passato in testa. «Non dobbiamo smarrire la strada o siamo fritti» disse. «Abbiamo bisogno di cibo, tanto per cominciare, e di riposarci in un posto abbastanza sicuro; inoltre è assolutamente necessario affrontare le Montagne Nebbiose sul sentiero giusto, altrimenti ci si perde e bisogna tornare indietro e ricominciare tutto da capo (ammesso che si riesca a tornare indietro).»

Gli domandarono dove si stesse dirigendo ed egli rispose: «Siete arrivati proprio al confine delle Terre Selvagge, come forse alcuni di voi sanno già. Nascosta da qualche parte davanti a noi c'è la bella valle di Gran Burrone, dove Elrond vive nell'Ultima Casa Accogliente. Gli ho inviato un messaggio tramite i miei amici e siamo attesi.»

Questo sonava molto bello e consolante, ma ancora non erano arrivati fin là, e trovare l'Ultima Casa Accogliente a Ovest delle Montagne non era così semplice come sembrava. Pareva che non ci fosse albero, valle o collina a interrompere il terreno di fronte a loro, solo un vasto pendio che saliva lentamente sempre più in su fino a incontrare i piedi della montagna più vicina, un ampio terreno color erica, e roccia sgretolata, con macchie e radure d'erba e musco che indicavano dove poteva esserci acqua.

Passò il mattino, giunse il pomeriggio; ma in tutto quel deserto silenzioso non c'era traccia di alcuna dimora. La loro ansia cresceva, perché ora si rendevano conto che la casa poteva essere nascosta quasi dovunque tra loro e le Montagne. Giunsero a valli inattese, strette, dai fianchi ripidi, che si aprivano improvvisamente ai loro piedi, e guardarono giù, meravigliati di vedere alberi sotto di loro e corsi d'acqua sul fondo. C'erano canaloni che si potevano attraversare quasi con un salto, ma molto profondi e con molte cascate. C'erano precipizi scuri e che non si potevano attraversare né saltando né calandocisi dentro. C'erano acquitrini; luoghi verdi e piacevoli da guardare, con fiori che crescevano vividi e alti; ma un pony che vi camminasse con una soma sulla schiena non ne sarebbe mai più uscito fuori.

Veramente dal guado alle Montagne si stendeva un territorio molto più vasto di quanto si sarebbe mai potuto immaginare. Bilbo era stupefatto. L'unico sentiero era segnato da pietre bianche, alcune piccole e altre seminascoste dall'erica e dal musco. Seguire la pista era, tutto sommato, una faccenda assai lenta, benché fossero guidati da Gandalf che sembrava orizzontarsi molto bene.

La testa e la barba dello stregone si chinavano ora da una parte ora dall'altra, mentre cercava le pietre, ed essi seguivano le sue indicazioni; ma quando il giorno cominciò a declinare non sembrava che si fossero avvicinati di molto alla fine della loro ricerca. L'ora del tè era trascorsa da tempo, e sembrava che anche per l'ora di cena sarebbe stato, tra poco, lo stesso. C'erano falene che svolazzavano tutt'intorno, e la luce si fece sempre più fioca, perché la luna non si era ancora levata. Il pony di Bilbo cominciò a inciampare sopra radici e pietre. Arrivarono sull'orlo di un ripido dirupo così all'improvviso che il cavallo di Gandalf quasi scivolò giù per il pendio.

«Finalmente ci siamo!» gridò, e gli altri gli si affollarono intorno e si sporsero a guardare. In basso, lontano, videro una valle. Potevano udire la voce dell'acqua che scorreva frettolosa in un letto roccioso sul fondo; nell'aria c'era il profumo degli alberi; e c'era una luce sul lato della valle al di là del fiume.

Bilbo non dimenticò mai il modo in cui sdrucciolarono e scivolarono all'imbrunire giù per il ripido sentiero a zig-zag entro la valle segreta di Gran Burrone. L'aria diventava più calda via via che scendevano, e l'odore dei pini lo insonnolì, sicché ogni tanto la testa gli cadeva sul petto, e lui quasi scivolava giù dalla sella, o batteva il naso sul collo del cavallo. Il loro morale si risollevava man mano che scendevano in basso. Ora gli alberi erano faggi e querce, e c'era un senso di serenità nel crepuscolo. L'ultimo verde era quasi svanito dall'erba, quando infine giunsero a una radura non lontana dalle sponde del ruscello.

'Mmmm! Sento odore di Elfi!' pensò Bilbo, e guardò le stelle sopra di lui. Brillavano vivide e azzurre. Proprio allora esplose tra gli alberi una canzone simile a una risata:

 

Cosa fate, dove andate?

Questi pony, via, ferrate!

Scende il fiume con cascate!

Trallallerollerollà

nella valle, proprio qua!

 

Che cercate, a che mirate?

Le fascine son bruciate,

le focacce ben tostate!

Trallallerollerollà

questa valle è una beltà

ahaha!

 

Dove andate, dove andate

con le barbe scarmigliate?

Come mai, vi domandate,

come mai vi ritrovate

Signor Baggins, Balin, Dwalin

nella valle

questa estate?

ahaha!

 

Qui restate o ve ne andate?

Spersi i pony, cosa fate?

Muore il dì, non progettate

di partir: sono mattate!

Tanto bello è se restate

e attenti ci ascoltate,

fino all'ore più inoltrate,

a cantare le ballate!

ahaha!

 

Così ridevano e cantavano tra le fronde degli alberi; so bene che voi le giudicherete graziose sciocchezze. Non che gliene importerebbe; semplicemente, riderebbero ancora di più. Erano Elfi, beninteso. Presto Bilbo poté dar loro qualche rapida occhiata mentre il buio si infittiva. Amava gli Elfi, anche se li incontrava raramente; ma allo stesso tempo ne aveva un po' paura. I Nani poi non vanno molto d'accordo con loro: anche Nani abbastanza perbene come Thorin e i suoi amici pensano che essi siano dei pazzi (e pensare una cosa simile è proprio una pazzia), o ne sono irritati. Il fatto è che alcuni Elfi si burlano e ridono di loro, soprattutto della loro barba.

«Bene, bene!» disse una voce. «Guarda un po'! Bilbo lo Hobbit a cavallo di un pony, nientemeno! Che spettacolo!»

«Davvero sorprendente, meraviglioso!»

Poi si imbarcarono in un'altra canzone ridicola quanto quella che ho riportata per intero. Alla fine uno, un giovane alto, venne fuori dagli alberi e si inchinò di fronte a Gandalf e a Thorin.

«Benvenuti nella valle!» disse.

«Grazie!» disse Thorin un po' bruscamente; Gandalf invece era già sceso di sella e chiacchierava allegramente con gli Elfi stando in mezzo a loro.

«Siete un po' fuori strada,» disse l'Elfo «cioè a dire, se vi state dirigendo all'unico sentiero che attraversa il ruscello e porta alla casa dall'altra parte. Vi mostreremo la via giusta, ma fareste meglio ad andare a piedi fino a che non avrete attraversato il ponte. Volete fermarvi un po' a cantare con noi, o volete continuare subito? Di là stanno preparando la cena» disse. «Posso sentire l'odore della legna che arde nella cucina.»

Stanco com'era, a Bilbo sarebbe piaciuto fermarsi un poco. Il canto degli Elfi, a giugno, sotto le stelle, è una cosa che non va persa, almeno se si tiene a queste cose. Inoltre gli sarebbe piaciuto scambiare qualche parola in privato con queste persone che sembravano conoscere il suo nome e sapere tutto su di lui, anche se non le aveva mai viste prima. Pensava che la loro opinione sulla sua avventura poteva essere interessante. Gli Elfi sanno un sacco di cose e sono meravigliosi per quanto riguarda le notizie: vengono a sapere che cosa succede tra le genti del paese con la velocità con cui scorre l'acqua, o più rapidamente ancora.

Ma per il momento i Nani erano tutti in favore dell'idea di cenare al più presto possibile, e non vollero fermarsi. Si incamminarono tutti, conducendo i pony a mano, finché non furono guidati su un buon sentiero e, finalmente, proprio alla sponda del fiume. Esso scorreva veloce e rumoroso, come fanno i rivi montani nelle sere d'estate, quando il sole ha sfolgorato tutto il giorno sulle alte nevi lontane. C'era solo uno stretto ponte di pietra senza parapetto, così stretto che un pony poteva appena passarci sopra; e sopra di esso dovettero passare, lentamente e con attenzione, l'uno dopo l'altro, ciascuno conducendo il suo pony per le briglie. Gli Elfi avevano portato sulla riva delle lanterne luminose, e cantarono un'allegra canzone mentre la compagnia attraversava.

«Non immergere la barba nella schiuma, padre!» gridarono a Thorin, che stava chino quasi carponi. «È già lunga abbastanza anche senza innaffiarla!»

«Attenti che Bilbo non si mangi tutti i dolci!» trillarono. «È già troppo grasso per riuscire a passare attraverso il buco della serratura!»

«Ssst! Zitti, Buona Gente! e buona notte!» disse Gandalf, che era l'ultimo. «Le valli hanno orecchie e certi Elfi cianciano un po' troppo allegramente. Buona notte!»

E così finalmente arrivarono tutti all'Ultima Casa Accogliente, e trovarono le porte spalancate.

Certo è una cosa strana, ma sta di fatto che a parlare delle cose belle e dei giorni lieti si fa in fretta, e non è che interessi molto ascoltare; invece da cose disagevoli, palpitanti o addirittura spaventose si può fare una buona storia, o comunque un lungo racconto. Rimasero per un bel po' in quella casa confortevole, almeno quattordici giorni, e trovarono duro andarsene. Bilbo sarebbe stato contentissimo di fermarsi lì in sempiterno, anche supponendo che un desiderio esaudito per magia lo avesse riportato senza guai diritto alla sua caverna hobbit. Eppure, di quel soggiorno c'è poco da raccontare.

 

 

Il padrone di casa era un amico degli Elfi, una di quelle persone i cui padri compaiono nelle strane storie anteriori all'inizio della Storia, nelle guerre tra gli Orchi malefici, gli Elfi e i primi Uomini del Nord. Nei giorni in cui si svolge la nostra storia c'erano ancora persone che avevano per antenati sia gli Elfi sia gli Eroi del Nord, e Elrond, il padrone di casa, era il loro capo.

Era nobile e bello in viso come un sire elfico, forte come un guerriero, saggio come uno stregone, venerabile come un re dei Nani, e gentile come la primavera. Compare in molte storie, ma la sua parte in quella della grande avventura di Bilbo è piccola, anche se importante, come vedrete se mai ne arriviamo alla fine. La sua casa era perfetta, che vi piacesse il cibo, o il sonno, o il lavoro, o i racconti, o il canto, o che preferiste soltanto star seduti a pensare, o anche se amaste una piacevole combinazione di tutte queste cose. In quella valle il male non era mai penetrato.

Vorrei avere il tempo di raccontarvi almeno qualcuna delle storie, o riportare una o due delle canzoni che udirono in quella casa. Tutti quanti, perfino i pony, si rinfrancarono e si rinforzarono in quei pochi giorni che vi trascorsero. Fu presa cura dei loro abiti come delle loro ammaccature, del loro umore e delle loro speranze. Le loro bisacce furono riempite di cibo e di provviste leggere da portare, ma tanto sostanziose da permetter loro di passare al di là dei passi montani. I loro piani furono migliorati da eccellenti consigli.

Così si arrivò a Ferragosto, ed essi dovevano rimettersi in cammino proprio la mattina di Ferragosto, al sorger del sole.

Elrond sapeva tutto su qualsiasi tipo di runa. Quel giorno guardò le spade che essi avevano portato via dal covo degli Uomini Neri e disse: «Questa non è fattura di Uomini Neri. Sono spade antiche, spade antichissime, appartenenti agli Elfi Alti dell'Ovest, alla mia famiglia. Furono forgiate a Gondolin per le guerre contro gli Orchi. Devono provenire dal tesoro di un drago o dal bottino degli Orchi; infatti draghi e Orchi distrussero quella città tanto tempo fa. A questa, Thorin, le rune danno il nome di Orcrist, che vuol dire Fendiorchi nell'antico linguaggio di Gondolin: era una lama famosa. Questa, Gandalf, era Glamdring, la Battinemici, che un tempo era cinta dal re di Gondolin. Conservatele con cura!.»

«Chissà da dove se le erano procurate gli Uomini Neri...» disse Thorin, guardando la sua spada con un nuovo interesse.

«Non saprei,» disse Elrond «ma si può immaginare che i vostri Uomini Neri avessero depredato altri predoni, o che avessero messo le mani sui resti di antiche ruberie in qualche rifugio sulle montagne. Ho sentito dire che ci sono ancora tesori d'altri tempi, che sono stati dimenticati e che debbono ancora essere ritrovati nelle caverne abbandonate delle miniere di Moria, dopo la guerra tra i Nani e gli Orchi.»

Thorin ponderò queste parole. «Terrò questa spada in grande onore» disse. «Possa presto tornare a fendere Orchi!»

«Un desiderio che probabilmente sarà soddisfatto abbastanza presto, sulle montagne!» disse Elrond. «Ma adesso mostratemi la vostra mappa!»

La prese e la fissò a lungo, e scosse la testa; infatti, se non approvava interamente i Nani e il loro amore per l'oro, odiava i draghi e la loro crudele malvagità, e lo rattristava ricordare la rovina delle città di Dale e le sue allegre campane, e le rive bruciate del luminoso Fiume Fluente. La luna brillava in una larga falce d'argento. Egli sollevò la mappa e la luce bianca splendette attraverso di essa. «Che cos'è questo?» disse. «Ci sono delle lettere lunari, qui accanto alle rune visibili, che dicono 'la porta è alta un metro e mezzo e ci si può passare in tre per volta'.»

«Cosa sono le lettere lunari?» domandò lo Hobbit, pieno d'eccitazione. Amava le mappe, come vi ho già detto; e amava anche le rune e le lettere dell'alfabeto e la bella calligrafia, anche se quando scriveva faceva delle sottilissime zampe di gallina.

«Le lettere lunari sono rune, ma non le si può vedere», disse Elrond «non quando le si guarda direttamente. Si può vederle soltanto quando la luna brilla dietro di esse, ma ciò che conta di più, anzi il punto fondamentale, è che la luna deve trovarsi nella stessa fase e nella stessa stagione di quando le lettere furono scritte. Furono i Nani a inventarle e le scrissero con penne d'argento, come potrebbero dirti i tuoi amici. Devono essere state scritte in una notte di Ferragosto, quand'era luna crescente, molto tempo fa.»

«Che cosa dicono?» domandarono contemporaneamente Gandalf e Thorin, forse un po' scossi dal fatto che qualcun altro, sia pure Elrond, avesse dovuto scoprirle per primo, benché veramente non ce ne fosse stata la possibilità prima d'allora, e non ce ne sarebbe stata più un'altra per chissà quanto tempo.

«'Sta' vicino alla pietra grigia quando picchia il tordo» lesse Elrond «e l'ultima luce del sole che tramonta nel Giorno di Durin splenderà sul buco della serratura.'»

«Durin, Durin!» disse Thorin. «Era il padre dei padri della più antica razza di Nani, i Lunghebarbe, e mio capostipite: io ne sono l'erede.»

«Allora, che cos'è il giorno di Durin?» domandò Elrond.

«Il Capodanno dell'Anno Nuovo dei Nani» disse Thorin «è, come tutti dovrebbero sapere, il primo giorno dell'ultima luna d'Autunno alle soglie dell'inverno. Lo chiamano ancora Giorno di Durin ed è quando l'ultima luna d'autunno e il sole stanno insieme nel cielo. Ma questo non ci aiuterà molto, temo, perché oggi è al di là delle nostre capacità indovinare quando ci sarà di nuovo un momento simile.»

«Questo è ancora da vedere» disse Gandalf. «C'è scritto qualcos'altro?»

«Niente che possa essere visto con questa luna» disse Elrond, e restituì la mappa a Thorin. Poi scesero al rivo per vedere gli Elfi che danzavano e cantavano, celebrando la notte di Ferragosto.

La mattina del giorno dopo era bella e fresca come in un sogno: azzurro il cielo senza una nuvola, e il sole danzava sull'acqua. Partirono accompagnati da canzoni d'addio e di buona fortuna, col cuore pronto per nuove avventure e conoscendo la strada che dovevano seguire sulle Montagne Nebbiose fino alla terra al di là di esse.

 


CAPITOLO IV

Su e giù

 

C'erano molti sentieri che portavano su per quelle montagne, e molti passi sopra di esse. Ma la maggior parte dei sentieri si rivelavano inganni e illusioni che non portavano in nessun posto o a una brutta fine; e la maggior parte dei passi era infestata da cose malvagie e da pericoli mortali. I Nani e lo Hobbit, aiutati dai saggi consigli di Elrond, e dalla sapiente memoria di Gandalf, presero la strada giusta per il passo giusto.

Lunghi giorni dopo che erano usciti dalla valle e avevano lasciato l'Ultima Casa Accogliente molte miglia dietro di sé, essi stavano ancora salendo, salendo, e salendo. Era un sentiero difficile e pericoloso, un cammino tortuoso, solitario e lungo. Voltandosi, potevano ora vedere le terre che avevano lasciato, distese dietro di loro molto più in basso. Bilbo sapeva che lontano lontano, a Occidente, dove tutto era azzurro e sbiadito, c'era il suo paese, dove le cose erano sicure e tranquille, e la sua piccola caverna hobbit. Rabbrividì. Il freddo stava diventando sempre più intenso lassù e il vento soffiava fischiando tra le rocce. A tratti, grossi macigni precipitavano giù dai fianchi della montagna, staccati dal sole di mezzogiorno che scioglieva la neve, e passavano in mezzo a loro (una bella fortuna!), o sopra la loro testa (una bella preoccupazione!). Le notti erano disagevoli e gelide, ed essi non osavano cantare o parlare a voce troppo alta, poiché l'eco era strana e pareva che il silenzio non volesse essere rotto, tranne che dal rumore dell'acqua, dal gemito del vento e dallo sgretolarsi delle rocce.

'Là sotto è estate,' pensò Bilbo 'e si falcia il fieno e si va a fare i picnic. Faranno la mietitura e raccoglieranno le more prima ancora che noi cominciamo a scendere giù dall'altra parte, se continuiamo di questo passo'. Anche gli altri erano assorti in pensieri ugualmente cupi, benché quando avevano salutato Elrond al culmine delle speranze di un mattino di mezz'estate, avessero parlato gaiamente di superare le montagne e di attraversare rapidamente le terre al di là di esse. Avevano creduto di arrivare alla porta segreta sulla Montagna Solitaria forse proprio in quella prossima luna nuova d'Autunno «e forse sarà il Giorno di Durin», avevano detto.

Solamente Gandalf aveva scosso la testa e non aveva detto niente. I Nani non erano più passati per quella strada da molti anni, ma Gandalf sì, e sapeva quanto il male e il pericolo fossero aumentati e avessero allignato nelle Terre Selvagge, da quando i draghi avevano cacciato gli Uomini, e gli Orchi si erano diffusi di nascosto a tutti, dopo la battaglia delle Miniere di Moria. Perfino i piani ben fatti di uno stregone saggio come Gandalf e di un buon amico come Elrond qualche volta falliscono, quando si vive un'avventura pericolosa sul Confine delle Terre Selvagge; e Gandalf era uno stregone saggio abbastanza per saperlo.

 

* * *

 

Sapeva che sarebbe potuto accadere qualcosa di inaspettato e non osava nemmeno sperare che avrebbero attraversato senza terribili vicissitudini quelle montagne grandi e alte con vette solitarie, e quelle valli dove non governava nessun re. E qualcosa accadde, infatti. Tutto andò bene fino a che un giorno furono assaliti da un temporale con fulmini e tuoni, o piuttosto da una guerra tra fulmini e tuoni. Sapete quanto possa essere spaventosa una tempesta veramente violenta in pianura o nella vallata di un fiume; specie certe volte, quando due grossi temporali si scontrano o cozzano. Ma tuoni e fulmini sono ancora più terribili sulle montagne, di notte, quando le bufere si levano da Est e Ovest e si fanno guerra. I fulmini si infrangono sulle vette e le rocce tremano, e grossi macigni si spaccano e fendono l'aria, rotolando e precipitando in ogni grotta e in ogni cavità; e il buio è percorso da rumori minacciosi e da luci improvvise.

Bilbo non aveva mai visto né immaginato niente di simile. Si trovavano in alto su una strettoia, e da un lato un precipizio pauroso scompariva in una valle oscura. Si erano riparati lì per la notte, sotto una roccia sporgente, ed egli giaceva sotto una coperta e tremava dalla testa ai piedi. Quando fece capolino, alla luce dei lampi vide che dall'altra parte della valle i Giganti di pietra erano usciti all'aperto e giocavano a scagliarsi l'un l'altro dei grossi macigni, afferrandoli e scaraventandoli nell'oscurità, dove si fracassavano tra gli alberi giù in basso, o si frantumavano in piccoli pezzi con un'esplosione. Poi vennero vento e pioggia, e il vento sbatté pioggia e grandine in ogni direzione, così che una roccia sporgente non riparava proprio per niente. Ben presto furono tutti fradici e i pony stavano con la testa abbassata e la coda fra le gambe, e alcuni nitrivano per la paura. Potevano udire i Giganti che sghignazzavano e urlavano su tutti i fianchi delle montagne.

«Qui non va bene per niente!» disse Thorin. «Se il vento non ci porta via, la pioggia non ci sommerge o il lampo non ci fulmina, saremo presi da qualche Gigante che ci tirerà per aria con un calcio come fossimo palloni.»

«Allora, se conosci un posto migliore, portaci lì!» disse Gandalf, che era d'umore assai scontroso e ben lontano anche lui dal sentirsi tranquillo a proposito dei Giganti.

La conclusione della loro disputa fu che mandarono Fili e Kili a cercare un rifugio migliore. Essi avevano una vista acutissima e poiché erano più giovani di circa cinquant'anni degli altri Nani, di solito era a loro che veniva affidato questo tipo di incarico (dato che, come ognuno poteva vedere, era perfettamente inutile mandare Bilbo). Se volete trovare qualcosa, non c'è niente di meglio che cercare, così almeno disse Thorin ai due giovani Nani. Certo, di solito qualcosa si trova, se si cerca, ma non sempre si tratta proprio della cosa che si voleva. Così accadde in quella circostanza.

Presto Fili e Kili tornarono indietro strisciando, afferrandosi alle rocce controvento. «Abbiamo trovato una grotta asciutta» dissero «non lontano, girato l'angolo lì vicino: potrebbero entrarci i pony e tutto il resto.»

«L'avete esplorata coscienziosamente disse lo stregone, il quale sapeva che in alta montagna le grotte raramente sono disabitate.

«Sì, sì!» dissero, sebbene ciascuno sapesse di non esserci rimasto molto a lungo; e infatti erano tornati troppo presto.

Questo, ovviamente, è il pericolo che si corre con le grotte; non si sa mai quanto siano profonde, a volte, o dove possa portare un passaggio interno, o che cosa vi aspetti là dentro. Ma in quel momento le notizie di Fili e Kili sembrarono abbastanza buone. Così si alzarono tutti e si prepararono a traslocare. Il vento fischiava e il temporale rumoreggiava ancora, ed ebbero il loro daffare a rimettersi in cammino con i pony. Tuttavia non era molto lontano, e in breve giunsero a una grossa roccia ben salda in mezzo al sentiero. Se si passava dietro di essa, si trovava un arco basso, aperto nel fianco della montagna. C'era appena posto per farci passare con un po' di fatica i pony, dopo aver tolto loro il carico e le selle. Mentre passavano sotto l'arco, era bello udire il vento e la pioggia al di fuori, invece che tutt'intorno a loro, e sentirsi al sicuro dai Giganti e dalle loro rocce. Ma lo stregone non voleva correre rischi. Accese il suo bastone magico (come aveva fatto nella sala da pranzo di Bilbo quel giorno che ora sembrava tanto lontano, vi ricordate?) e alla sua luce esplorarono la grotta da un'estremità all'altra.


Date: 2015-12-17; view: 1094


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