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UNA VILLA NEI PRESSI DI NEW YORK 5 page

«E adesso muoviti, se puoi».

«Gatta, gatta rabbiosa!» riuscì a esclamare Karl, tutto sconvolto per l'ira e la vergogna che provava. «Sei proprio matta, gatta rabbiosa!».

«Bada a come parli», gli rispose, lasciandogli scivolare una mano sul collo e stringendolo così forte che Karl era tutto teso a cercare di respirare, mentre lei gli passava l'altra mano sulla guancia, la toccava più volte come per prova, poi la rialzava come se stesse per dargli uno schiaffo.

«Che cosa ne diresti», diceva nel frattempo, «se per punirti del tuo comportamento con una signora ti rimandassi a casa con un bel ceffone? Forse ti sarebbe utile per la vita futura, anche se non sarebbe un bel ricordo. A dire il vero mi fai pena e sei un ragazzo passabile, e se avessi imparato la lotta giapponese, probabilmente me le avresti date. Però, però, a vederti qui steso ho una gran voglia di prenderti a schiaffi. Poi forse mi dispiacerebbe; ma se dovessi farlo, sappi fin d'ora che lo farò quasi controvoglia. Allora non mi accontenterò di darti uno schiaffo, ma te ne darò tanti, a destra e a sinistra, finché ti farò gonfiare le guance. E forse sei un uomo d'onore - sono tentata di crederlo - e dopo questi schiaffi non vorrai più vivere e ti toglierai di mezzo. Ma perché ti sei comportato così con me? Non ti piaccio forse? Non vale la pena di venire in camera mia? Attento! Stavo quasi per appiopparti uno schiaffo all'improvviso. Dunque, se oggi riesci a cavartela, cerca di comportarti meglio in seguito. Io non sono tuo zio, con cui puoi impuntarti. Inoltre voglio ancora farti capire che, se ti lascio andare senza schiaffeggiarti, non devi credere che la tua situazione attuale e l'essere realmente schiaffeggiato dal punto di vista dell'onore si equivalgano. Se tu lo credessi, preferirei schiaffeggiarti davvero. Che cosa dirà Mack, quando gli racconterò tutto questo?».

Al ricordo di Mack lasciò libero Karl, che nella sua mente confusa pensò a Mack come a un liberatore. Continuava a sentirsi quella mano sul collo, per cui si girò da una parte e rimase disteso immobile. Klara lo invitò ad alzarsi, ma Karl non rispose e non si mosse. Allora lei accese una candela da qualche parte, la stanza s'illuminò, sul soffitto apparve un disegno blu a zigzag, ma Karl continuò a restare disteso col capo appoggiato al cuscino del divano, nella stessa posizione in cui l'aveva messo Klara, senza muovere un dito. Klara girava per la stanza, la gonna le frusciava attorno alle gambe, probabilmente si era fermata per un momento accanto alla finestra.

«Ancora arrabbiato?» la sentì chiedere.

Per Karl era doloroso non poter aver pace nella stanza che il signor Pollunder gli aveva assegnato per la notte. Quella ragazza gli girava attorno, si fermava, parlava e lui non riusciva più a sopportarlo. Addormentarsi subito e poi andarsene, era il suo unico desiderio. Non voleva neppure andare a letto, solo restare lì sul divano. Aspettava con ansia che lei se ne andasse per correre alla porta, mettere il chiavistello e stendersi di nuovo sul divano. Aveva un tale bisogno di stirarsi e di sbadigliare, ma non voleva farlo davanti a Klara. E così restava disteso, gli occhi fissi verso l'alto, sentiva il proprio viso diventare sempre più immobile, e una mosca che volava intorno oscillò per un attimo dinanzi ai suoi occhi senza che lui capisse bene che cos'era.



Klara si riavvicinò e si chinò sul suo viso, e se Karl non si fosse dominato sarebbe stato costretto a guardarla.

«Ora vado», gli disse. «Forse più tardi avrai voglia di venire da me. La porta della mia stanza è la quarta a partire da questa, su questo lato del corridoio. Quindi devi passare davanti a tre porte prima di arrivare a quella giusta. Non scendo più in sala, dunque resterò nella mia stanza. Mi hai davvero stancato. Non starò certo ad aspettarti, ma se vuoi venire, vieni. Ricordati che mi hai promesso di suonare il pianoforte. Ma forse ora ti ho sfinito e non puoi più muoverti, quindi resta qui e cerca di dormire. A mio padre per il momento non parlerò della nostra lite, te lo dico solo nel caso che tu te ne preoccupi». E nonostante la sua sedicente stanchezza, in due passi era già fuori dalla stanza.

Subito Karl si mise a sedere, non ne poteva più di restare disteso. Per muoversi un po' si avvicinò alla porta e guardò fuori sul corridoio. C'era una tale oscurità! Dopo aver chiuso la porta col catenaccio, si rallegrò di essere di nuovo vicino al tavolo alla luce della candela. Decise di non restare più a lungo in quella casa, ma di scendere dal signor Pollunder per dirgli francamente come l'aveva trattato Klara - non gl'importava nulla confessare la sua sconfitta -, e questa era una buona ragione per chiedergli il permesso di tornare a casa, in automobile oppure a piedi. Qualora il signor Pollunder avesse cercato di opporsi a questo ritorno immediato, Karl l'avrebbe almeno pregato di farlo accompagnare da un servitore all'albergo più vicino. Di regola non ci si comportava certo in tal modo con ospiti cordiali, ma era ancora più insolito trattare un invitato come Klara aveva trattato lui. Riteneva persino che fosse una gentilezza non parlare per il momento della loro lite al signor Pollunder, ma era una sfacciataggine inaudita! Karl era forse stato invitato a una gara di lotta, per doversi vergognare di essere battuto da una ragazza, che probabilmente aveva passato la maggior parte della sua vita a imparare i trucchi dei lottatori? Forse aveva anche preso lezione da Mack. Andasse pure a raccontargli tutto; Mack era una persona ragionevole, Karl lo sapeva, sebbene non avesse mai avuto occasione di sperimentarlo. Ma sapeva anche che, se Mack gli avesse dato lezione, avrebbe imparato molto più in fretta di Klara; allora un giorno sarebbe ritornato lì, molto probabilmente senza un invito, per prima cosa avrebbe senz'altro esaminato il posto, perché la conoscenza precisa era stata un grosso vantaggio per Klara, e allora avrebbe preso quella ragazza e l'avrebbe sbattuta proprio su quello stesso divano.

Ora si trattava soltanto di trovare la via per tornare in sala, dove con tutta probabilità aveva lasciato il suo cappello in un luogo improprio, nella sua distrazione iniziale. Naturalmente avrebbe portato la candela, ma anche con la luce non era facile orientarsi. Ad esempio non sapeva neppure se la stanza in cui si trovava era sullo stesso piano della sala. Durante il tragitto di andata Klara l'aveva talmente incalzato che lui non aveva avuto il tempo di guardarsi intorno. Anche il signor Green e i servitori che reggevano i candelabri gli avevano dato da pensare; in breve, ora non sapeva neppure se erano saliti per una scala, per due o per nessuna. A giudicare dalla vista all'esterno, la stanza doveva trovarsi piuttosto in alto, e quindi immaginò che fossero saliti per una scala, ma già per entrare erano saliti, dunque era possibile che anche la sala si trovasse in alto. Se almeno in corridoio fosse filtrata un po' di luce da una porta o si fosse sentita una voce, anche lontana!

Il suo orologio da tasca, un regalo dello zio, segnava le undici, e Karl prese la candela e uscì sul corridoio. Lasciò la porta aperta nel caso che la sua ricerca fosse inutile, per poter almeno ritrovare la sua stanza o alla peggio la porta della stanza di Klara. Per sicurezza bloccò la porta con una sedia, perché non si chiudesse da sé. Nel corridoio Karl - naturalmente si diresse a sinistra, lontano dalla porta di Klara - fu disturbato da una corrente d'aria che soffiava verso di lui, non molto forte, ma sempre sufficiente a spegnere la candela, dimodoché fu costretto a proteggere la fiamma con la mano e inoltre a fermarsi spesso, per lasciar ravvivare la fiamma che si indeboliva. Procedeva lentamente, e il tragitto gli sembrava lungo il doppio. Karl aveva già oltrepassato un grande tratto di pareti completamente privo di porte senza riuscire a immaginare che cosa potesse esserci dietro. Poi trovò di nuovo una serie di porte, cercò di aprirne più d'una ma erano tutte chiuse, evidentemente le stanze erano disabitate. Era un incredibile spreco di spazio, e Karl pensò ai quartieri orientali di New York che lo zio aveva promesso di mostrargli, dove si diceva che in una piccola stanza abitassero più famiglie, e ogni nucleo familiare viveva in un angolo in cui s'affollavano genitori e bambini. E qui c'erano tante stanze vuote, che servivano soltanto a rimandare un suono cupo quando si bussava alla porta. Karl aveva l'impressione che il signor Pollunder fosse irretito da falsi amici e infatuato di sua figlia, e quindi era un uomo rovinato. Certo lo zio l'aveva giudicato in modo giusto, e soltanto il suo principio di non voler interferire nel giudizio di Karl sulle persone era la causa di questa visita e di queste peregrinazioni per i corridoi. La mattina seguente Karl l'avrebbe senz'altro detto allo zio, poiché questi, secondo il suo principio, avrebbe ascoltato con piacere il giudizio del nipote sul signor Pollunder. Questo principio del resto era forse l'unico tratto dello zio che Karl non condivideva, anche se poinon ne era del tutto certo.

Da un lato del corridoio la parete terminava all'improvviso, e al suo posto subentrava una gelida balaustrata di marmo. Karl depose la candela accanto a sé e si chinò con cautela oltre la balaustrata. Una vuota oscurità gli aleggiò incontro. Se quello era l'atrio dell'edificio - al lume della candela apparve una parte di soffitto a forma di volta -, perché non erano entrati da quell'atrio? E a che cosa serviva quel vasto spazio? Sembrava di trovarsi sulla galleria di una chiesa. Karl rimpianse quasi di non poter restare in quella casa fino al mattino, gli sarebbe piaciuto visitarla alla luce del giorno col signor Pollunder e farsi mostrare tutto.

Peraltro la balaustrata non era lunga, e poco dopo Karl si ritrovò in un corridoio chiuso. A una svolta improvvisa del corridoio Karl andò a sbattere con violenza contro il muro, e soltanto l'attenzione incessante con cui teneva spasmodicamente la candela impedì che questa cadesse e si spegnesse. Poiché il corridoio non finiva mai, non c'erano né finestre né una vista da nessuna parte e nulla si muoveva né in alto né in basso, Karl cominciò a pensare che si trattasse sempre dello stesso corridoio, e sperò almeno di poter ritrovare la porta aperta della sua stanza, ma non vedeva né questa né la balaustrata. Finora si era trattenuto dal chiamare ad alta voce, perché non voleva far chiasso in casa d'altri a un'ora così tarda, ma poi pensò che in quella casa non illuminata era anche giustificabile, e si preparava già a mandare un richiamo verso entrambe le parti del corridoio, quando vide una piccola luce che si avvicinava dalla direzione in cui era venuto. Soltanto allora si accorse di quant'era lungo quel corridoio diritto; la casa era una vera fortezza, non una villa. Vedendo quella luce di soccorso Karl provò una tal gioia che dimenticò ogni prudenza e le corse incontro, ma già dopo i primi passi la sua candela si spense. Tuttavia non vi fece caso, perché non ne aveva più bisogno: un vecchio servitore veniva verso di lui con una lanterna, e gli avrebbe certo indicato la via giusta.

«Chi è lei?» chiese il servitore, e avvicinò la lanterna al viso di Karl, illuminando così anche il proprio. Il suo viso appariva un po' rigido per via di una grande barba bianca, che all'altezza del petto s'inanellava in riccioli setosi. «Dev'essere un servitore fedele, dato che gli permettono di portare una barba simile», pensò Karl, e continuava a fissare quella barba senza sentirsi imbarazzato per il fatto di essere osservato a sua volta. Peraltro rispose subito che era l'ospite del signor Pollunder, che era uscito dalla sua stanza per andare in sala da pranzo e non riusciva a trovarla.

«Ah, ecco», rispose il servitore, «qui non abbiamo ancora la luce elettrica».

«Lo so», disse Karl.

«Non vuole accendere la candela alla mia lampada?» chiese il servitore.

«Grazie», rispose Karl accendendola.

«C'è troppa corrente qui nei corridoi», disse il servitore, «la candela si spegne facilmente, per questo ho una lanterna».

«Sì, una lanterna è molto più pratica», replicò Karl.

«Inoltre tutta la cera le è sgocciolata addosso», disse il servitore, illuminando l'abito di Karl.

«Mio Dio, non me n'ero accorto!» esclamò Karl con molto dispiacere, perché indossava un abito nero che secondo lo zio era il suo migliore. Anche la lotta con Klara non aveva certo giovato al suo abito, pensò fra sé. Il servitore fu tanto cortese da pulirgli il vestito, per quanto poteva al momento; Karl continuava a girarsi davanti a lui per indicargli le varie macchie, che il servitore toglieva con premura.

«Come mai c'è tanta corrente qui?» chiese Karl, quando ripresero il cammino.

«Ci sono ancora molte cose da sistemare», disse il servitore, «in realtà il restauro è già cominciato, ma procede con molta lentezza. Ora poi anche i lavoratori edili sono in sciopero, come forse sa. Con una costruzione del genere ci sono molti problemi. Sono state fatte due grosse aperture che nessuno richiude, e per tutta la casa c'è corrente. Se non mi fossi tappato le orecchie col cotone, non potrei resistere».

«Devo parlare a voce più alta?» chiese Karl.

«No, lei ha una voce chiara», disse il servitore, «ma per tornare a quest'edificio, soprattutto qui vicino alla cappella, che in seguito sarà senz'altro isolata dal resto della casa, la corrente è insopportabile».

«Quindi la balaustrata che si oltrepassa in questo corridoio porta a una cappella?».

«Sì».

«L'avevo immaginato», disse Karl.

«È molto interessante», replicò il servitore, «se non lo fosse stata, il signor Mack non avrebbe certo acquistato la casa».

«Il signor Mack?» chiese Karl. «Pensavo che la casa appartenesse al signor Pollunder».

«Certo», rispose il servitore, «ma è stato il signor Mack a decidere per l'acquisto. Non conosce il signor Mack?».

«Oh, sì», disse Karl. «Ma che rapporto c'è tra lui e il signor Pollunder?».

«È il fidanzato della signorina», rispose il servitore.

«Questo non lo sapevo», disse Karl, fermandosi.

«La sorprende molto?» chiese il servitore.

«Voglio soltanto chiarirmi le idee. Quando s'ignorano questi rapporti, si possono commettere i più grossi errori», rispose Karl.

«Mi sorprende soltanto che non l'abbiano messa al corrente», disse il servitore.

«Sì, davvero», replicò confuso Karl.

«Probabilmente pensavano che lei lo sapesse», disse il servitore, «dopo tutto non è una novità. Ecco, ci siamo», e aprì una porta dietro alla quale apparve una scala che scendeva direttamente fino alla porta posteriore della sala da pranzo, tutta illuminata come all'arrivo.

Prima che Karl entrasse nella sala da pranzo, da cui provenivano le voci del signor Pollunder e del signor Green, proprio come due ore prima, il servitore disse: «Se vuole, l'aspetterò qui e poi la ricondurrò in camera sua. È sempre difficile orientarsi la prima sera».

«Non tornerò più in camera mia», rispose Karl, senza capire perché quest'annuncio lo rattristava.

«Non sarà poi così grave», disse il servitore con un sorriso di lieve superiorità, e gli dette un colpetto sul braccio. Probabilmente dalle sue parole aveva creduto di capire che Karl intendesse restare tutta la notte in sala da pranzo, a chiacchierare e a bere con i due signori. Ma per il momento Karl non voleva fare confessioni, e inoltre pensava che quel servitore, che gli piaceva più di tutti gli altri della casa, avrebbe potuto in seguito indicargli la strada per tornare a New York, e quindi rispose: «Certo, è molto gentile da parte sua volermi aspettare e gliene sono grato. Comunque tornerò fuori tra un momento a dirle che cosa intendo fare. Credo proprio di avere ancora bisogno di lei».

«Bene», disse il servitore, posò a terra la lanterna e si sedette su un piedistallo basso, che era rimasto vuoto probabilmente per via dei lavori di restauro. «Allora aspetterò qui. Può lasciarmi anche la candela», aggiunse, vedendo che Karl si accingeva a entrare in sala con la candela accesa.

«Sono proprio distratto», disse Karl, e porse la candela al servitore, che si limitò a fare un cenno col capo, senza che si potesse capire se l'aveva fatto con intenzione o se dipendeva dal fatto che stava accarezzandosi la barba.

Karl aprì la porta, che senza colpa alcuna da parte sua produsse un forte stridore, poiché era fatta di un'unica lastra di vetro che quasi si curvava se qualcuno apriva la porta rapidamente tenendola soltanto per la maniglia. Karl lasciò subito la maniglia spaventato, dato che avrebbe proprio voluto entrare in silenzio. Senza più voltarsi sentì dietro di sé il servitore, che evidentemente era sceso dal suo piedistallo, richiudere la porta con cautela e senza il minimo rumore.

«Mi scuso per il disturbo», disse rivolto ai due signori che lo fissavano con le loro grosse facce stupite. Nel frattempo si guardò attorno per la sala sperando di vedere subito il suo cappello, ma non lo vide da nessuna parte, il tavolo da pranzo era stato sparecchiato, e purtroppo il cappello poteva anche essere stato portato in cucina.

«Dove ha lasciato Klara?» chiese il signor Pollunder, che peraltro non sembrava disturbato dall'interruzione, perché cambiò subito posizione, girando tutta la sua poltrona verso Karl. Il signor Green invece si comportò come se la cosa non lo riguardasse, prese dalla tasca un portafoglio mostruoso nel suo genere per grandezza e spessore e finse di cercare qualcosa di particolare nei vari scomparti, ma mentre cercava leggeva anche le altre carte che via via gli capitavano in mano.

«Vorrei rivolgerle una richiesta che la prego di non fraintendere», disse Karl, avviandosi rapidamente verso il signor Pollunder, e per essergli più vicino appoggiò la mano sul bracciolo della poltrona.

«Di che genere?» chiese il signor Pollunder, e guardò Karl con uno sguardo franco, senza riserve. «Naturalmente è già esaudita». E cinse Karl col braccio tirandoselo vicino tra le ginocchia. Karl lo lasciò fare, sebbene si sentisse comunque troppo adulto per essere trattato in quel modo. Tuttavia ora gli diventava difficile formulare la sua richiesta.

«E allora, le piace stare da noi?» chiese il signor Pollunder. «Non sembra anche a lei che in campagna ci si senta quasi liberati, quando si viene dalla città? In generale», e lanciò un'inequivocabile occhiata di lato al signor Green, che però era in parte coperto da Karl, «in generale provo sempre questa sensazione, tutte le sere».

Karl pensò: «Parla come se non conoscesse affatto questa grande casa con tutti i suoi corridoi, la cappella, le stanze vuote, il buio che c'è ovunque».

«Dunque», disse il signor Pollunder, «la sua richiesta!», e scosse amichevolmente Karl, che se ne stava lì muto.

«La prego», disse Karl - e per quanto abbassasse la voce, tutte le sue parole furono udite anche dal signor Green che sedeva lì accanto, mentre Karl avrebbe preferito nascondergli quella richiesta, che poteva anche suonare come un'offesa per Pollunder -,«la prego, mi lasci ritornare a casa adesso, questa notte».

E poiché aveva detto la cosa più difficile, tutto il resto gli uscì fuori ancor più rapidamente, e senza il minimo bisogno di mentire disse anche cose che prima in effetti non gli erano venute in mente. «Vorrei soprattutto andare a casa. Tornerò volentieri, perché mi trovo bene dove c'è lei, signor Pollunder. Solo oggi non posso restare. Lei sa che lo zio non mi ha dato volentieri il permesso di fare questa visita. Avrà senz'altro avuto i suoi buoni motivi come per tutto ciò che fa, e io mi sono preso la libertà di strappargli letteralmente il permesso contro la sua convinzione. Ho davvero abusato del suo affetto per me. Ora non contano i motivi che può aver avuto per opporsi a questa visita, so soltanto che in questi motivi non c'era niente che potesse offendere lei, signor Pollunder, che è in assoluto il migliore amico di mio zio. Nessun altro può essere minimamente paragonabile a lei, come amico di mio zio. E questa è anche l'unica giustificazione per la mia disobbedienza, ma non è sufficiente. Forse lei non ha un'idea precisa del mio rapporto con lo zio, quindi le citerò soltanto i fatti più evidenti perché possa capire. Fino a che non ho terminato lo studio dell'inglese e non ho sufficiente esperienza di pratica commerciale, sono totalmente affidato alla generosità di mio zio, di cui naturalmente posso fruire in quanto sono un parente stretto. Non deve credere che al momento io sia in grado di guadagnarmi il pane in modo onesto - e Dio mi guardi dal farlo in altro modo. Purtroppo la mia educazione è stata troppo impratica da questo punto di vista. Ho frequentato, da scolaro mediocre, quattro classi di un ginnasio europeo, e per poter guadagnare questo è meno di niente, perché i piani di studio dei nostri ginnasi sono molto arretrati. Lei riderebbe, se le raccontassi quello che ho imparato. Se si continua a studiare, se si finisce il ginnasio e si va all'università, probabilmente tutto poi si compensa, e alla fine si è in possesso di una cultura ordinata con cui si può intraprendere qualcosa e che dà a una pesona la fermezza necessaria per guadagnare. Ma io purtroppo sono stato costretto a interrompere bruscamente questa serie di studi così connessi tra loro; a volte mi sembra di non sapere proprio niente, e in fondo anche tutto quello che potrei sapere per gli americani sarebbe sempre troppo poco. Di recente il mio paese ha cominciato a riformare i ginnasi, per cui si studiano anche lingue moderne e forse anche scienze commerciali, ma quando io sono uscito dalle elementari tutto questo non esisteva ancora. A dire il vero mio padre voleva farmi dare lezioni d'inglese, ma in primo luogo allora non potevo immaginare la disgrazia che mi sarebbe capitata e come mi sarebbe servito l'inglese, e in secondo luogo per il ginnasio dovevo studiare molto, dimodoché avevo poco tempo per occuparmi d'altro. Le sto raccontando queste cose per farle capire quanto dipendo da mio zio e di conseguenza anche quanto gli sono obbligato. Ammetterà senz'altro che in queste condizioni non posso permettermi di fare la minima cosa contro la sua volontà, anche se si tratta di una semplice supposizione. E quindi, per rimediare sia pure in parte all'errore che ho commesso nei suoi confronti, devo tornare subito a casa».

Il signor Pollunder aveva ascoltato con attenzione il lungo discorso di Karl; spesso, in particolare quando era nominato lo zio, aveva stretto a sé Karl, anche se impercettibilmente, e talvolta aveva gettato un'occhiata seria e quasi impaziente verso il signor Green, che continuava a trafficare con il suo portafoglio. Ma Karl, che mentre parlava aveva chiarito a se stesso la sua posizione nei confronti dello zio, era diventato sempre più inquieto e istintivamente aveva cercato di liberarsi dal braccio di Pollunder. Tutto lì lo opprimeva; e la via per arrivare dallo zio, attraverso la porta a vetri, giù per la scala, lungo il viale, per le strade di campagna e i sobborghi fino alla grande arteria che portava alla casa dello zio, gli sembrava un tutto unico, libero e senza ostacoli come se fosse lì apposta per lui e lo chiamasse a gran voce. La bontà del signor Pollunder e il contegno detestabile del signor Green si confondevano, e lui non voleva altro se non il permesso di lasciare quella stanza piena di fumo. In realtà si sentiva distante dal signor Pollunder e pronto a lottare contro il signor Green, e nel contempo come minacciato da un vago timore che gli offuscava la vista.

Fece un passo indietro, trovandosi quindi a uguale distanza dal signor Pollunder e dal signor Green.

«Non voleva dirgli qualcosa?» chiese il signor Pollunder al signor Green, prendendogli la mano come per pregarlo.

«Non saprei che cosa dirgli», rispose il signor Green, che finalmente aveva tolto dalla tasca una lettera e l'aveva posata sul tavolo dinanzi a sé.

«È molto lodevole che voglia tornare da suo zio, e per quanto si può umanamente prevedere c'è da credere che, se tornasse, gli farebbe anche molto piacere. Però la sua disobbedienza potrebbe anche aver irritato troppo lo zio, e in tal caso sarebbe meglio che restasse qui. È davvero difficile dire qualcosa di definitivo: siamo entrambi amici dello zio e non sarebbe facile distinguere tra la mia amicizia e quella del signor Pollunder, ma non possiamo leggere nella mente dello zio, meno che mai con tutti i chilometri che ci separano da New York».

«Per favore, signor Green», disse Karl, avvicinandosi a lui con uno sforzo. «Dalle sue parole capisco che anche lei ritiene sia meglio che ritorni subito».

«Non ho affatto detto questo», replicò il signor Green, e s'immerse nella contemplazione della lettera, sui cui bordi continuava a far passare due dita. Era come se volesse far capire che aveva risposto alla domanda del signor Pollunder, mentre con Karl non aveva proprio niente a che fare.

Nel frattempo il signor Pollunder si era avvicinato a Karl e a poco a poco l'aveva allontanato dal signor Green portandolo verso una delle grandi finestre.

«Caro signor Rossmann», gli disse all'orecchio, e per prepararsi al discorso si passò il fazzoletto sul viso, soffiandosi anche il naso, «non crederà che voglia trattenerla qui contro la sua volontà. È fuori questione. Però non posso metterle a disposizione l'automobile, perché è lontana da qui, in un'autorimessa pubblica, dato che non ho ancora avuto tempo d'installarne una in casa, dove tutto è in via di formazione. Anche l'autista non dorme qui, ma nelle vicinanze della autorimessa, non so neppure io dove. Poi non è affatto tenuto a stare in casa a quest'ora, è tenuto soltanto a venire qui la mattina a tempo debito. Ma tutto questo non sarebbe d'ostacolo a un suo ritorno immediato, perché, se proprio lo desidera, posso accompagnarla subito alla stazione più vicina della ferrovia urbana, la quale però è così lontana che per arrivare a casa ci metterebbe quasi lo stesso tempo che partendo con me domattina in automobile, dato che la partenza è alle sette».

«Allora, signor Pollunder, preferirei usare la ferrovia urbana», disse Karl. «Non ci avevo affatto pensato. Lei stesso dice che con la ferrovia urbana arriverei prima che con l'automobile, pur partendo presto».

«Ma è una differenza minima».

«Non importa, non importa, signor Pollunder», disse Karl, «ricordando la sua gentilezza verrò sempre volentieri a trovarla, ammesso naturalmente che lei m'inviti ancora dopo il mio comportamento di questa sera, e in seguito potrò anche spiegarle meglio perché per me oggi è così importante vedere mio zio prima, anche per pochi minuti». E come se avesse già ottenuto il permesso di andarsene, aggiunse: «Ma non posso assolutamente permettere che lei mi accompagni. Non è affatto necessario. Fuori c'è un servitore che mi accompagnerà volentieri fino alla stazione. Ora devo soltanto cercare il mio cappello». E pronunciando queste ultime parole già attraversava la stanza per fare un ultimo, frettoloso tentativo di trovare il suo cappello.

«Forse posso venirle in aiuto con un berretto», disse il signor Green togliendosi un berretto di tasca. «Può anche darsi che le vada bene».

Karl si fermò sconcertato e disse: «Ma non voglio portarle via il suo berretto. Posso andare benissimo a capo scoperto. Non ho bisogno di nulla».

«Non è il mio berretto. Lo prenda pure!».

«Allora la ringrazio», disse Karl prendendolo per non perdere tempo. Lo indossò e si mise a ridere perché gli stava alla perfezione, poi lo riprese in mano e l'osservò, non riuscendo tuttavia a trovare i particolari che cercava; era un berretto completamente nuovo. «Mi va proprio bene», disse.

«Dunque va bene!» esclamò il signor Green, battendo la mano sul tavolo.

Karl si stava già avviando alla porta per raggiungere il servitore, quando il signor Green si alzò, si stirò come uno che ha fatto un pasto abbondante e un buon riposo, si batté il petto con vigore, e in tono a metà tra il consiglio e l'ordine disse: «Prima di andarsene deve salutare la signorina Klara».


Date: 2015-12-18; view: 588


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