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UNA VILLA NEI PRESSI DI NEW YORK 4 page

«Ma che preparativi!» esclamò il signor Pollunder. «Un giovanotto è sempre preparato».

«Non dico per lui», replicò lo zio rivolto al suo ospite, «ma certo dovrebbe ancora salire nella sua stanza, e lei sarebbe trattenuto».

«C'è tutto il tempo necessario», disse il signor Pollunder, «ho preventivato un ritardo e ho chiuso l'ufficio in anticipo».

«Vedi», disse lo zio, «quanto disturbo procura già sin d'ora la tua visita».

«Mi dispiace», disse Karl, «ma tornerò subito», e stava già per correre via.

«Non si affretti», disse il signor Pollunder, «non mi dà il minimo fastidio, al contrario, la sua visita è soltanto un piacere».

«Domani perderai l'ora d'equitazione, l'hai già disdetta?».

«No», disse Karl - questa visita, di cui si era rallegrato, cominciava a diventare un peso -,«perché non sapevo...».

«E malgrado questo vuoi andare?», chiese ancora lo zio.

Il signor Pollunder, da quell'uomo gentile che era, gli venne in aiuto. «Ci fermeremo alla scuola d'equitazione durante il tragitto e sistemeremo la cosa».

«Questo si può fare», disse lo zio. «Comunque Mack ti aspetterà».

«Non credo che mi aspetterà», disse Karl, «ma andrà certo a cavalcare».

«E dunque?» replicò lo zio, come se la risposta di Karl non avesse giustificato nulla.

Di nuovo il signor Pollunder disse la cosa decisiva: «Ma anche Klara» - era la figlia del signor Pollunder -«lo aspetta, e già per stasera, e avrà pur la precedenza rispetto a Mack!».

«Certamente», rispose lo zio. «Allora corri in camera tua», e batté la mano più volte, come controvoglia, contro il bracciolo della poltrona. Karl era già vicino alla porta, quando lo zio lo trattenne ancora chiedendogli: «Ma per l'ora di inglese sarai pur di ritorno domattina?».

«Ma!» esclamò il signor Pollunder, e per quanto la sua mole gli permetteva, si girò nella sua poltrona pieno di stupore. «Ma domani non può restar fuori almeno per tutto il giorno? Io lo riporterei qui dopodomani mattina».

«No, questo è impossibile», replicò lo zio. «Non posso lasciargli trascurare lo studio così. In seguito, quando la sua vita professionale sarà ben regolata, ben volentieri gli permetterò di accettare un invito così amichevole e lusinghiero, anche per un periodo più lungo».

«Che contraddizioni!» pensò Karl.

Il signor Pollunder era diventato triste. «Ma per un giorno e per una notte non vale quasi la pena».

«È quanto pensavo anch'io», disse lo zio.

«Bisogna prendere quello che viene», disse il signor Pollunder, e si rimise a ridere. «Dunque, l'aspetto», gridò a Karl, il quale, dato che lo zio non diceva più nulla, corse via.

Poco dopo, quando ritornò nell'ufficio pronto per la partenza, vi trovò soltanto il signor Pollunder, lo zio se n'era andato. Tutto felice, il signor Pollunder strinse entrambe le mani a Karl, come se volesse essere del tutto certo che Karl partiva con lui. Karl, ancora accaldato per la fretta, ricambiò la stretta di mani del signor Pollunder, contento di poter fare la gita.



«Lo zio non si è arrabbiato per la mia partenza?».

«Ma no! Non pensava sul serio tutto quello che ha detto. Gli sta molto a cuore la sua istruzione».

«Gliel'ha detto lui che non pensava sul serio quello che ha detto?».

«Oh, sì», disse il signor Pollunder dopo una certa esitazione, dimostrando in tal modo di non saper mentire.

«È strano che mi abbia concesso di farle visita così controvoglia, sebbene lei sia suo amico».

Anche il signor Pollunder, sebbene non lo confessasse apertamente, non riusciva a spiegarselo, ed entrambi, durante il tragitto in automobile nella tiepida sera, vi rifletterono ancora a lungo, pur parlando subito d'altro.

Sedevano molto vicini, e il signor Pollunder teneva la mano di Karl mentre parlava. Karl voleva sapere molte cose a proposito della signorina Klara, come se fosse impaziente per il lungo viaggio e quei racconti lo aiutassero ad arrivare prima. Sebbene di sera non fosse mai passato per le strade di New York e sul marciapiede e sulla carreggiata il frastuono imperversasse come in un turbine, cambiando direzione ad ogni momento quasi non fosse causato da uomini, ma fosse un elemento a sé stante, Karl, mentre si sforzava di capire bene le parole del signor Pollunder, non riusciva ad occuparsi d'altro che del gilè scuro del signor Pollunder, da cui pendeva tranquillamente di traverso una catena scura. Dalle strade in cui il pubblico, con l'evidente timore di far tardi, si precipitava verso i teatri di corsa e dentro a veicoli spinti alla massima velocità, attraverso quartieri periferici arrivarono nei sobborghi, dove la loro automobile veniva deviata di continuo da poliziotti a cavallo in strade laterali, perché le strade principali erano occupate dai metallurgici in sciopero che stavano dimostrando ed era permesso soltanto il traffico di macchine indispensabile agli incroci. E quando l'automobile, provenendo da oscure viuzze che rimbombavano cupamente, attraversava una di queste strade larghe come un'intera piazza, a entrambi i lati, in prospettive che nessuno riusciva a seguire sino alla fine, apparivano i marciapiedi gremiti di una folla che si muoveva a piccoli passi, il cui coro di voci era più omogeneo del suono di un'unica voce umana. Invece, nella carreggiata tenuta libera, di tanto in tanto si vedeva un poliziotto a cavallo immobile, o gente che portava bandiere, o striscioni con scritte tesi da un lato all'altro della strada, o un capo operaio circondato dai collaboratori e dal servizio d'ordinanza o una vettura del tram elettrico che non aveva avuto il tempo di partire e adesso stava lì buia e vuota, mentre il conducente e il bigliettaio sedevano sulla piattaforma. Piccoli gruppi di curiosi stavano fermi a na buona distanza dai dimostranti e non lasciavano il loro posto, sebbene ignorassero ciò che realmente avveniva. Intanto Karl si appoggiava contento al braccio del signor Pollunder che gli cingeva le spalle; la convinzione che tra breve sarebbe stato un ospite gradito in una villa illuminata, cinta da mura e custodita dai cani, gli dava una straordinaria sensazione di benessere, e anche se per via di una sonnolenza incipiente non riusciva più a capire tutto quello che diceva il signor Pollunder senza fraintendimenti o almeno senza lacune, di tanto in tanto si riprendeva e si sfregava gli occhi per vedere se il signor Pollunder aveva notato la sua sonnolenza, cosa che voleva evitare ad ogni costo.

 

UNA VILLA NEI PRESSI DI NEW YORK

 

«Siamo arrivati», disse il signor Pollunder proprio in uno dei momenti di assenza di Karl. L'automobile era ferma davanti a una villa di campagna che, come tutte le ville dei ricchi nei dintorni di New York, era molto più vasta e grande di quanto sia necessario per una sola famiglia. Dal momento che soltanto il pianterreno era illuminato, non si riusciva a stabilire l'altezza dell'edificio. Davanti si sentiva il fruscio dei castagni, tra i quali un breve viale - il cancello era già aperto - conduceva alla scala esterna della casa. Dalla stanchezza che provava quando uscì dall'automobile, Karl ebbe l'impressione che il viaggio fosse stato abbastanza lungo. Nell'oscurità del viale di castagni udì accanto a sé la voce di una ragazza che diceva: «Ecco finalmente il signor Jakob».

«Mi chiamo Rossmann», rispose Karl, stringendo la mano tesa di una ragazza di cui cominciava a distinguere i contorni.

«È soltanto il nipote di Jakob», spiegò il signor Pollunder, «e il suo nome è Karl Rossmann».

«Questo non cambia affatto la nostra gioia di averlo qui», replicò la ragazza, che non annetteva molta importanza al nome.

Tuttavia Karl, avanzando verso la casa tra il signor Pollunder e la ragazza, chiese ancora: «Lei è la signorina Klara?».

«Sì», rispose la ragazza, mentre la luce proveniente dalla casa a poco a poco lasciava intravedere il suo viso, rivolto verso di lui, «ma non volevo presentarmi qui al buio».

«Forse ci ha aspettato vicino al cancello», pensò Karl, che lungo il percorso si stava svegliando.

«Comunque stasera abbiamo un altro ospite», disse Klara.

«Non è possibile!» esclamò contrariato Pollunder.

«Il signor Green», disse Klara.

«Quando è arrivato?» chiese Karl, come colto da un presentimento.

«Un momento fa. Non avete sentito la sua automobile davanti alla vostra?».

Karl guardò il signor Pollunder cercando di indovinare il suo pensiero, ma questi teneva le mani nelle tasche dei pantaloni e camminava soltanto con passi un po' più pesanti.

«Non serve a niente abitare appena fuori New York se si è comunque disturbati. Ci trasferiremo ancora più lontano, anche se dovessi impiegare metà della notte per tornare a casa».

Si fermarono sulla scala esterna.

«Però è già molto tempo che il signor Green non viene qui», disse Klara, che sembrava assolutamente d'accordo con suo padre, ma voleva soprattutto tranquillizzarlo.

«Chissà perché è venuto proprio stasera», disse Pollunder, e le parole gli rotolarono con furia sul tumido labbro inferiore, che con la sua pesantezza si muoveva facilmente, come se fosse staccato dal resto.

«Davvero!» disse Klara.

«Forse ripartirà presto», osservò Karl, e nel contempo si stupì dell'intesa creatasi tra lui e quelle persone, che solo il giorno prima non conosceva affatto.

«Oh, no», disse Klara, «ha un grosso affare per papà e probabilmente la discussione durerà a lungo, perché scherzando mi ha già minacciato che, se voglio comportarmi da buona padrona di casa, dovrò ascoltarli fino a domattina».

«Ci mancava altro. Allora resterà anche stanotte!», esclamò Pollunder, come se non potesse esistere nulla di peggio. «Avrei proprio voglia», disse, rasserenandosi a questo nuovo pensiero, «avrei proprio voglia, signor Rossmann, di riprendere l'automobile e di riportarla da suo zio. La serata di oggi è già rovinata in partenza, e chissà se suo zio le permetterà di ritornare da noi. Ma se la riporto a casa già stasera, la prossima volta suo zio non potrà rifiutare di lasciarla tornare qui».

E stava già prendendo per mano Karl con l'intento di mettere in pratica il suo progetto. Ma Karl non si mosse, e Klara pregò il padre di lasciarlo restare, poiché, almeno per quanto riguardava loro due, la presenza del signor Green non avrebbe dato alcun disturbo, e alla fine anche Pollunder non sembrò più così convinto della sua decisione. Inoltre - e forse questo fu determinante - a un tratto si sentì il signor Green chiamare dal piano superiore delle scale verso il giardino: «Ma dove siete?».

«Venite», disse Pollunder, e descrisse una curva, cominciando a salire la scala esterna. Karl e Klara lo seguirono, osservandosi a vicenda nella luce.

«Che labbra rosse ha», si disse Karl, e pensò alle labbra del signor Pollunder e a come si erano riprodotte in bellezza nella figlia.

«Dopo cena», disse lei, «se è d'accordo, andremo subito in camera mia, così almeno ci libereremo di questo signor Green, se già papà deve occuparsi di lui. E lei mi farà la cortesia di suonarmi qualcosa al pianoforte. Papà mi ha già raccontato che lei è molto bravo, mentre io purtroppo non so affatto suonare e non tocco il pianoforte, per quanto ami molto la musica».

Karl accettò molto volentieri la proposta di Klara, anche se avrebbe preferito avere in compagnia anche il signor Pollunder. Ma davanti alla figura gigantesca di Green - Karl si era appena abituato all'altezza di Pollunder - che si delineava a poco a poco davanti a loro mentre salivano le scale, Karl perse ogni speranza che il signor Pollunder potesse in qualche modo sottrarsi a quell'uomo per la serata.

Il signor Green li accolse molto in fretta, come se dovesse ricuperare una quantità di tempo, prese sottobraccio il signor Pollunder, e spinse dinanzi a sé Karl e Klara nella sala da pranzo, la quale, soprattutto per via dei fiori sul tavolo, infilati in mezzo a strisce di foglie fresche, aveva un aspetto molto festivo e faceva deplorare doppiamente la presenza fastidiosa del signor Green. Karl, in attesa accanto al tavolo che gli altri si sedessero, si stava giusto rallegrando che la grande porta a vetri affacciata sul giardino rimanesse aperta, poiché nella stanza entrava un profumo intenso come in un pergolato, quando il signor Green si avviò sbuffando a chiudere la porta, prima chinandosi verso il paletto inferiore, quindi allungandosi verso quello superiore, e tutto ciò con un'agilità così giovanile, che il servitore accorso non trovò più nulla da fare. Le prime parole del signor Green a tavola furono espressioni di stupore per il permesso ottenuto da Karl di fare quella visita. Portandosi alla bocca un cucchiaio dopo l'altro colmo di minestra e volgendosi ora a destra verso Klara, ora a sinistra verso il signor Pollunder, spiegava il motivo del suo stupore, e cioè quanto lo zio si curasse di Karl e quanto affetto nutrisse per lui, quasi eccessivo per essere il normale affetto di uno zio.

«Non basta che si sia intrufolato qui inutilmente, ora vuole anche immischiarsi nei miei rapporti con lo zio», pensò Karl, e non riusciva a inghiottire neppure un cucchiaio della minestra dal colore dorato. Poi però, non volendo far capire quanto fosse turbato, cominciò a trangugiare la minestra in silenzio. La cena era un tormento, non finiva mai. Solo il signor Green e semmai Klara mostravano una certa vivacità, ed ebbero anche l'occasione di fare qualche risata insieme. Il signor Pollunder s'intrometteva di rado nella conversazione, solo quando il signor Green cominciava a parlare d'affari. Ma presto smise d'interloquire anche in tali occasioni e dopo un certo tempo il signor Green lo colse di sorpresa ricominciando il discorso. Tra l'altro volle sottolineare (e Karl, che stava in ascolto come se ci fosse una minaccia nell'aria, dovette essere richiamato da Klara sul fatto che aveva l'arrosto davanti a lui e che si trovava a una cena) che all'inizio non aveva avuto l'intenzione di fare quella visita inattesa. Infatti, anche se l'affare di cui dovevano ancora discutere era particolarmente urgente, avrebbero potuto sbrigare almeno le cose più importanti il giorno stesso in città, e rimandare i dettagli al giorno seguente o a più tardi. E quindi in effetti si era recato dal signor Pollunder molto prima dell'ora di chiusura dell'ufficio, ma non l'aveva trovato, dimodoché aveva dovuto telefonare a casa per avvertire che sarebbe rimasto fuori la notte ed era partito.

«Allora devo chiedere scusa», disse Karl a voce alta e prima che qualcuno avesse il tempo di rispondere, «perché è colpa mia se oggi il signor Pollunder ha lasciato l'ufficio prima, e mi dispiace molto».

Il signor Pollunder nascose quasi tutto il viso dietro al tovagliolo, mentre Klara sorrise a Karl, non però con un sorriso di partecipazione, ma quasi come se cercasse di fargli capire qualcosa.

«Non occorre scusarsi», disse il signor Green che stava giusto trinciando un piccione con tagli decisi, «al contrario, sono davvero lieto di trascorrere la serata in compagnia così gradevole, anziché cenare solo a casa, dove mi serve la mia vecchia governante, che è talmente anziana da aver difficoltà già durante il percorso dalla porta al mio tavolo, e io devo aspettarla a lungo appoggiato alla spalliera della mia sedia. Soltanto da poco ho stabilito che sia il cameriere a portare il cibo fino alla porta della sala da pranzo, ma ho capito che il tragitto dalla porta al mio tavolo spetta a lei».

«Dio mio», esclamò Klara, «che fedeltà!».

«Sì, esiste ancora fedeltà a questo mondo», disse il signor Green, introducendosi un boccone in bocca, che la sua lingua, come notò casualmente Karl, afferrò d'un balzo. Si sentì quasi sopraffatto dalla nausea e si alzò. Quasi contemporaneamente il signor Pollunder e Klara lo presero per le mani.

«Deve restare ancora», disse Klara. E quando Karl si rimise a sedere gli sussurrò: «Tra poco ci eclisseremo insieme. Abbia pazienza!».

Nel frattempo il signor Green si dedicava con calma alla cena, come se toccasse naturalmente al signor Pollunder e a Klara calmare Karl quando lui gli provocava la nausea.

La cena si trascinò con estrema lentezza per la meticolosità con cui il signor Green gustava ogni portata, anche se era sempre pronto ad accogliere ogni nuovo piatto senza dar segni di stanchezza, era proprio come se volesse rifarsi una volta per tutte della sua vecchia governante. Di tanto in tanto lodava l'arte della signorina Klara nella conduzione della casa, cosa che la lusingava visibilmente, mentre Karl era tentato di ribattere, come se la stesse criticando. Tuttavia, il signor Green non si contentava di occuparsi di lei, ma deplorò più volte, senza staccare gli occhi dal piatto, la sorprendente mancanza di appetito di Karl. Il signor Pollunder prese a difendere l'appetito di Karl, sebbene, come ospite, avrebbe dovuto sollecitarlo a mangiare. E in effetti Karl si sentiva così debole di fronte alla costrizione di cui soffrì per tutta la durata della cena, che contro il suo buon senso interpretò quella manifestazione del signor Pollunder in modo ostile. E soltanto in virtù di questo suo stato d'animo a un tratto si mise a mangiare molto e con una rapidità del tutto sconveniente, finché, stanco, lasciò di nuovo a lungo sul tavolo forchetta e coltello e rimase immobile in mezzo ai commensali, tanto che il cameriere che serviva i cibi non sapeva più come comportarsi.

«Domani stesso racconterò al senatore come ha offeso la signorina Klara con la sua mancanza d'appetito», disse il signor Green, e si contentò di esprimere la scherzosità delle sue parole maneggiando le posate in un certo modo.

«Guardi com'è triste questa ragazza», proseguì, prendendo Klara per il mento. Lei lo lasciò fare e chiuse gli occhi.

«Ragazzina!», esclamò, e si appoggiò ridendo alla spalliera della sedia con l'energia di chi si è saziato. Karl non riusciva a spiegarsi il comportamento del signor Pollunder, che restava seduto davanti al suo piatto e lo fissava come se lì dentro avvenissero le cose più importanti. Non avvicinava mai la sedia di Karl alla sua, e quando faceva tanto di parlare si rivolgeva a tutti, ma a Karl non aveva da dire nulla di particolare. Invece tollerava che Green, quel vecchio scapolo incallito di New York, mettesse le mani addosso a Klara con evidente intenzione, che offendesse Karl, ospite di Pollunder, o per lo meno lo trattasse come un bambino, rimpinzandosi e preparandosi a chissà quali imprese.

Quando la tavola fu sparecchiata - essendosi accorto dello stato d'animo generale, Green si alzò per primo e in un certo senso indusse anche gli altri ad alzarsi -, Karl si appartò vicino a una delle grandi finestre riquadrate da liste sottili di legno bianco che davano sulla terrazza e che in realtà erano porte, come notò avvicinandosi. Che cosa era rimasto dell'avversione che il signor Pollunder e sua figlia avevano provato all'inizio per Green e che allora a Karl era sembrata piuttosto incomprensibile? Ora stavano accanto a lui e gli facevano cenni d'approvazione. Il fumo proveniente dal sigaro del signor Green, un regalo di Pollunder - uno di quelli grossi di cui il padre di Karl a casa di tanto in tanto parlava come di qualcosa che probabilmente non aveva mai visto con i suoi occhi - si diffondeva per la sala e portava l'influsso di Green anche in angoli e nicchie in cui questi di persona non avrebbe mai messo piede. Per quanto Karl si tenesse a distanza, il fumo gli causava ugualmente un prurito al naso, e il comportamento del signor Green, verso il quale dal suo posto aveva gettato soltanto una rapida occhiata, gli sembrava infame. Ora non si sentiva più di escludere che lo zio avesse esitato tanto a concedergli il permesso per quella visita solo perché conosceva il carattere debole del signor Pollunder, e di conseguenza, anche se non aveva potuto prevedere con certezza che Karl avrebbe subito un'offesa durante la visita, l'aveva ritenuto pur sempre possibile. Anche quella ragazza americana non gli piaceva, sebbene non l'avesse certo immaginata molto più bella. Da quando il signor Green si era dedicato a lei, era persino rimasto sorpreso dalla bellezza che potevano assumere i tratti del suo viso, e soprattutto dallo splendore e dalla vivacità dei suoi occhi. Non aveva mai visto una gonna tanto aderente al corpo come la sua: alcune piegoline nel tessuto giallognolo, leggero e compatto, rivelavano quanto fosse teso. E tuttavia a Karl non importava nulla di lei e avrebbe rinunciato volentieri ad accompagnarlanelle sue stanze, se avesse invece potuto aprire la porta (aveva comunque già messo le mani sulla maniglia), salire in automobile oppure, qualora l'autista fosse già addormentato, dirigersi a piedi da solo verso New York. La notte chiara con la luna piena che gli sorrideva era aperta a chiunque, e a Karl sembrava assurdo poter aver paura là fuori. Immaginò - e per la prima volta in quella sala si sentì bene - la sorpresa dello zio nel vederlo arrivare la mattina, poiché a piedi non sarebbe certo arrivato prima. A dire il vero non era mai stato in camera dello zio, non sapeva neppure dove fosse, ma si sarebbe informato. Poi avrebbe bussato, e al formale «Avanti!» sarebbe entrato in camera e avrebbe sorpreso il caro zio, che fin'allora aveva sempre visto vestito e abbottonato di tutto punto, seduto sul letto in camicia da notte, con gli occhi stupiti rivolti verso la porta. Di per sé forse non era gran cosa, ma bisognava anche immaginarsi le conseguenze di questo fatto. Forse per la prima volta avrebbe fatto colazione in compagnia dello zio, lo zio a letto, lui seduto su una sedia, la colazione posata su un tavolino fra loro, forse questa colazione comune sarebbe diventata un'abitudine, forse in seguito a questa colazione, ormai quasi inevitabile, si sarebbero visti più di una volta al giorno, com'era avvenuto fin'allora, quindi avrebbero potuto anche parlarsi in modo più aperto. Dopo tutto dipendeva solo dalla mancanza di confidenza se quel giorno con lo zio era stato un po' disobbediente, o per meglio dire ostinato. E anche se ora doveva restare lì per la notte - purtroppo tutto lo faceva pensare, sebbene lo lasciassero stare vicino alla finestra a intrattenersi da solo - forse quella visita sfortunata avrebbe segnato una svolta più felice nei suoi rapporti con lo zio, e forse quella sera lo zio nella sua stanza formulava pensieri analoghi.

Più confortato, Karl si voltò. Klara era davanti a lui e diceva: «Non le piace proprio qui da noi? Non riesce a sentirsi un po' più a suo agio? Venga, farò l'ultimo tentativo».

Lo condusse attraverso la sala fino alla porta. I due signori erano seduti a un tavolo laterale davanti a bicchieri alti colmi di bevande lievemente spumeggianti che Karl non conosceva e che avrebbe avuto voglia di assaggiare. Il signor Green aveva appoggiato un gomito sul tavolo e il suo viso era molto vicino a quello del signor Pollunder; non conoscendo il signor Pollunder, si sarebbe detto che stessero discorrendo di un crimine anziché di un affare. Mentre il signor Pollunder seguì Karl con uno sguardo amichevole fino alla porta, Green - sebbene si sia naturalmente portati a guardare nella stessa direzione di chi ci è di fronte - non accennò minimamente a voltarsi verso Karl, il quale interpretò questo suo comportamento come una sorta di convinzione che ognuno di loro due, Karl per parte sua e Green altrettanto, dovesse cercare di cavarsela con le sue capacità, e che col tempo l'inevitabile rapporto sociale esistente tra loro si sarebbe concluso con la vittoria o con l'annientamento di uno dei due.

«Se pensa questo, è uno sciocco», si disse Karl. «Io da lui non voglio proprio niente, deve soltanto lasciarmi in pace».

Non appena si trovò nel corridoio, gli venne in mente che forse si era comportato in modo scortese, perché si era lasciato quasi trascinare fuori da Klara tenendo gli occhi fissi su Green. Tanto più quindi la seguì volentieri. Passando per i corridoi si stupì grandemente al vedere, ogni venti passi, un servitore immobile in lussuosa livrea che reggeva tra le mani un candelabro dal fusto massiccio.

«Il nuovo impianto elettrico finora è allacciato solo nella sala da pranzo», spiegò Klara. «Abbiamo acquistato questa casa da poco e l'abbiamo trasformata da cima a fondo, per quanto si possa trasformare una vecchia casa con la sua architettura inconsueta».

«Dunque anche in America esistono già case vecchie», disse Karl.

«Naturalmente», rispose Klara ridendo e portandolo avanti. «Ha idee ben strane sull'America».

«Non deve prendermi in giro», le rispose irritato. In fondo Karl conosceva già l'Europa e l'America, mentre lei soltanto l'America.

Passando, Klara spinse leggermente una porta con la mano tesa e disse senza fermarsi: «Lei dormirà qui».

Naturalmente Karl voleva guardare subito la stanza, ma Klara dichiarò con impazienza e quasi gridando che avrebbe avuto tutto il tempo e che prima doveva seguirla. Per un po' si tirarono su e giù per il corridoio, e alla fine Karl pensò che non doveva obbedire a Klara in tutto, si liberò ed entrò nella stanza. Vi regnava un'insolita oscurità, perché davanti alla finestra la corona di un albero ondeggiava in tutta la sua ampiezza. Si udiva un canto di uccelli. Ma nella stanza, non ancora rischiarata dalla luce della luna, non si poteva distinguere quasi nulla. Karl rimpianse di non aver portato con sé la pila che aveva ricevuto in regalo dallo zio. In quella casa una pila era indispensabile, e se ne avessero avuto qualcuna, avrebbero potuto mandare a dormire i servitori. Si sedette sul davanzale della finestra e guardò fuori tendendo l'orecchio. Un uccello disturbato dal rumore si alzò in volo insinuandosi tra le fronde del vecchio albero. Da qualche parte, nella campagna, sibilò il fischio di un treno suburbano di New York. Per il resto tutto era silenzio.

Ma non per molto, perché Klara entrò a precipizio. Visibilmente arrabbiata, gridò: «Che storia è questa?», battendosi le mani sulla gonna. Karl decise di risponderle soltanto quando fosse diventata meno scortese. Ma lei si diresse a grandi passi verso di lui e gridò: «Allora, vuol venire con me o no?», e gli dette un tale spintone sul petto, intenzionalmente o forse soltanto nell'eccitazione, che Karl sarebbe caduto dalla finestra se all'ultimo momento, scivolando dal davanzale, non fosse finito con i piedi per terra.

«Ci è mancato poco che non cadessi», disse in tono di rimprovero.

«Peccato che non sia caduto. Perché è così sgarbato? Ora la butto giù».

E lo afferrò davvero e con la forza del suo corpo temprato dallo sport lo trascinò vicino alla finestra, mentre Karl, che non se l'aspettava, dapprima non oppose resistenza. Poi però si riprese, con una brusca torsione dei fianchi si liberò e la cinse con le braccia.

«Ahi, mi fa male», disse subito lei.

Ma Karl giudicò più opportuno continuare a tenerla. Le lasciava quel tanto di libertà perché potesse camminare, ma la seguiva passo per passo senza allentare la presa. E poi era molto facile tenerla stretta con quel vestito aderente.

«Mi lasci», sussurrò Klara col viso accaldato vicino al suo, lui non riusciva quasi a vederla, tanto gli era vicina, «mi lasci, le darò una bella cosa». «Perché sospira così», pensò Karl, «non posso farle male, non la stringo neppure» e tuttavia continuò a tenerla. Ma all'improvviso, dopo un attimo di disattenzione e di quiete, sentì contro il proprio corpo che lei riprendeva forza, ed ecco, gli era sfuggita, lo afferrò con una presa molto esperta, gli bloccò le gambe muovendo i piedi secondo una tecnica di lotta a lui sconosciuta e lo spinse dinanzi a sé, respirando con grande regolarità, contro la parete. Ma lì c'era un divano, sul quale fece stendere Karl con uno spintone e gli disse, senza però chinarsi troppo verso di lui:


Date: 2015-12-18; view: 498


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