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Le nubi si addensano

 

Ma torniamo a Bilbo e ai Nani. Uno di loro aveva fatto la guardia per tutta la notte, ma quando venne il mattino, essi non avevano ancora udito o avvertito alcun segno di pericolo. Gli uccelli si raggruppavano sempre più fitti: a stormi arrivavano volando da Sud; e i corvi che ancora vivevano intorno alla Montagna volteggiavano e gridavano senza posa su in alto.

«Sta accadendo qualcosa di strano» disse Thorin. «Il tempo delle migrazioni autunnali è ormai finito e questi sono degli uccelli sedentari, non migratori, infatti ci sono stormi e stormi di passeri; e laggiù, lontano lontano, ci sono molti avvoltoi come se fosse in corso una battaglia!»

D'un tratto Bilbo indicò qualcosa: «C'è di nuovo quel vecchio tordo!» esclamò. «Pare che sia scampato, quando Smog ha distrutto il fianco della Montagna, anche se non credo che le chiocciole abbiano avuto la stessa fortuna!»

Proprio così: il vecchio tordo era là, e quando Bilbo lo indicò, volò verso di loro e si appollaiò su una pietra lì vicino. Poi agitò le ali e cantò; poi reclinò il capo, quasi per mettersi in ascolto; e poi cantò di nuovo, e di nuovo rimase in ascolto.

«Credo che stia cercando di dirci qualcosa,» disse Balin «ma non riesco a comprendere il linguaggio di questi uccelli; è molto difficile e veloce. Ci capisci qualcosa tu, Baggins?»

«Non molto,» rispose Bilbo (che, per la precisione, non capiva assolutamente niente) «ma quel bravo vecchietto sembra molto eccitato.»

«Come vorrei che fosse un corvo imperiale!» disse Balin.

«Credevo che non ti piacessero! Sembrava che ti infastidissero molto, la prima volta che siamo venuti da queste parti!»

«Quelli erano solo corvi! E se è per questo erano pure tipi antipatici e molto sospetti, e per giunta maleducati. Devi aver sentito anche tu le parolacce che ci gridavano dietro. Ma i corvi imperiali sono diversi. C'era grande amicizia tra loro e il popolo di Thror; e spesso ci portavano notizie segrete, e venivano ricompensati con quegli oggetti luminosi che essi amano nascondere nelle loro dimore.»

«Vivono molti anni, e la loro memoria affonda lontano nel passato, e tramandano la loro saggezza ai loro figli. Conoscevo molti corvi imperiali delle rocce quando ero un Nanetto. Proprio questa altura è chiamata Collecorvo, perché c'era una coppia, saggia e famosa, il vecchio Carc e sua moglie, che viveva qui, sopra la guardiola. Ma penso che ormai nessun esemplare di quell'antica razza abiti ancora qui.»

Non aveva neanche finito di parlare che il vecchio tordo emise un trillo acuto e volò via all'istante.

«Noi possiamo anche non capirlo, ma sono certo che quel vecchio uccello capisce noi» disse Balin. «Teniamo gli occhi aperti, adesso, e vediamo che succede.»

Dopo non molto ci fu un frullo d'ali, ed ecco che il tordo era ritornato; e con lui veniva un altro uccello, vecchio decrepito. Stava diventando cieco, e volava a stento, e la cima della sua testa era calva. Era un anziano corvo imperiale di grandi dimensioni. Si posò a terra davanti a loro, raccolse lentamente le ali, e corse verso Thorin.



«O Thorin, figlio di Thrain, e Balin figlio di Fundin» egli gracchiò (e Bilbo poté capire quello che diceva, poiché usava la lingua corrente e non il linguaggio degli uccelli). «Io sono Roäc figlio di Carc. Carc, che un tempo voi conoscevate bene, è morto. Sono uscito dall'uovo cento e cinquantatré anni fa, ma non ho dimenticato quello che mi disse mio padre. Io sono ora il capo dei grandi corvi imperiali della Montagna. Siamo in pochi, ma ancora ci ricordiamo del re del tempo antico. La maggior parte del mio popolo è all'estero perché ci sono grandi novità a Sud - alcune sono novità apportatrici di gioia per voi, e altre non vi parranno tanto buone.»

«Ecco! Gli uccelli si affollano di nuovo verso la Montagna e verso Dale da Sud, da Est e da Ovest, perché è passata parola che Smog è morto!»

«Morto? Morto?» urlarono i Nani. «Morto? Allora tutta la nostra paura era vana - e il tesoro è nostro!» Saltarono tutti in piedi e presero a far capriole di gioia.

«Sì, morto» disse Roäc. «Il tordo, che le sue penne non cadano mai! lo ha visto morire, e possiamo credere alle sue parole. Lo ha visto cadere durante la battaglia contro gli Uomini di Esgaroth, tre notti fa allo spuntare della luna.»

Ci volle un bel po' di tempo perché Thorin potesse convincere i Nani a stare zitti e ad ascoltare le notizie del corvo imperiale. Alla fine, dopo aver raccontato tutta la storia della battaglia, esso continuò:

«Questo per quanto riguarda la gioia, Thorin Scudodiquercia. Potete ritornare alle vostre sale in tutta sicurezza: il tesoro è vostro - per il momento. Ma molti stanno accorrendo qui, a parte gli uccelli. La notizia della morte del guardiano si è già diffusa in lungo e in largo, e la leggenda della ricchezza di Thror non è certo diminuita con tutti i racconti che ne sono stati fatti in tanti anni; molti sono avidi di una fetta del bottino. Una schiera di Elfi è già in cammino, e gli avvoltoi li seguono sperando che ci sarà battaglia e massacro. Sul lago, gli Uomini mormorano che i loro dolori sono dovuti ai Nani; infatti sono senza tetto e molti sono morti; e Smog ha distrutto la loro città. Anch'essi pensano di venire indennizzati con parte del vostro tesoro, che voi siate vivi o morti.»

«Senza dubbio, spetta alla vostra saggezza decidere il da farsi; ma tredici è un piccolo avanzo del grande popolo di Durin che un tempo dimorava qui, e ora è disperso lontano. Se darete retta al mio consiglio, non vi fiderete del Governatore degli Uomini del Lago, ma piuttosto di colui che uccise il drago col suo arco. Egli è Bard, della stirpe di Dale, discendente di Girion; è un uomo rude ma veritiero. Potremmo rivedere la pace albergare tra Nani, Uomini ed Elfi dopo la lunga desolazione; ma vi costerà molto cara in denaro. Ho parlato.»

Allora Thorin scoppiò dalla collera: «Ti ringraziamo, Roäc figlio di Carc. Tu e il tuo popolo non sarete dimenticati. Ma finché siamo vivi, il nostro oro non ci verrà tolto né col furto né con la violenza. Se vuoi meritarti ancora di più i nostri ringraziamenti, portaci notizie di chiunque si avvicini. Inoltre ti pregherei, se alcuni di voi sono ancora giovani e hanno ali possenti, di mandare messaggeri ai nostri consanguinei nelle montagne settentrionali, sia a Ovest sia a Est di qui, e di metterli al corrente della nostra situazione. Ma, soprattutto, andate da mio cugino Dain nei Colli Ferrosi, poiché ha molti sudditi bene armati ed è quello che dimora più vicino a questo posto. Ordinagli di affrettarsi!»

«Non dirò se questo parere è buono o cattivo,» gracchiò Roäc «ma farò tutto il possibile». E volò via lentamente.

«Ora torniamo sulla Montagna!» gridò Thorin. «Non c'è proprio tempo da perdere!»

«E poco cibo da rodere!» esclamò Bilbo, sempre pratico per quanto riguardava queste cose. In ogni caso egli riteneva che la sua avventura, a rigor di termine, era finita con la morte del drago - sul che si sbagliava di grosso - e avrebbe dato quasi tutta la sua parte di guadagno per una composizione pacifica di queste controversie.

«Torniamo sulla Montagna!» gridarono i Nani, come se non lo avessero udito; gli toccò dunque tornare con loro.

Poiché siete già al corrente di parte dell'accaduto, vi è chiaro che i Nani avevano ancora alcuni giorni davanti a sé. Esplorarono le caverne una volta di più e trovarono, come si aspettavano, che solo la Porta Principale era rimasta aperta; tutti gli altri ingressi (eccetto, naturalmente, la piccola porta segreta) erano stati distrutti e bloccati tanto tempo addietro da Smog, e non ne rimaneva alcuna traccia. Perciò si misero a lavorare disperatamente per fortificare l'entrata principale e per costruire un nuovo sentiero che partisse da lì. Fu facile per loro reperire in grande abbondanza gli attrezzi che erano stati usati dai minatori, scavatori e costruttori del passato; e i Nani erano ancora abilissimi a fare questo tipo di lavoro.

Mentre lavoravano, i corvi imperiali li tennero costantemente al corrente delle novità. In questo modo appresero che il re degli Elfi aveva cambiato strada, dirigendosi verso il lago, e che avevano ancora tempo per rifiatare. Meglio ancora, udirono che tre dei loro pony erano scampati ed erravano allo stato brado sulle rive inferiori del Fiume Fluente, non lontano da dove avevano lasciato il resto delle loro provviste. Così mentre gli altri procedevano col lavoro, Fili e Kili furono inviati, guidati da un corvo, a ritrovare i pony e a riportare indietro tutto quel che potevano.

Passarono quattro giorni, alla fine dei quali seppero che le schiere riunite degli Uomini del Lago e degli Elfi si affrettavano verso la Montagna. Ma ora le loro speranze erano maggiori; infatti il cibo che avevano sarebbe bastato, con un po' di attenzione, per alcune settimane (per lo più rimpinzimonio naturalmente, e ne erano stufi; ma anche il rimpinzimonio è meglio che niente) e l'ingresso era ormai bloccato da un muro molto spesso e alto, formato da pietre squadrate e appoggiate semplicemente l'una sull'altra a sbarrare completamente l'apertura. Nel muro c'erano diversi fori attraverso i quali essi potevano vedere (o tirare), ma nessun ingresso. Entravano o uscivano servendosi di scale e pioli, e issavano su la roba con le corde.

Per permettere al fiume di uscire, avevano lasciato un basso archetto sotto il nuovo muro; ma vicino all'ingresso avevano talmente alterato lo stretto letto del fiume che una pozza larga e profonda si estendeva dalla parete della Montagna fino all'inizio delle cascate, superate le quali il fiume si dirigeva verso Dale. Avvicinarsi alla Porta era ora possibile, se non si voleva nuotare, solamente grazie a una stretta cornice rocciosa, a destra guardando in fuori verso la valle.

Essi avevano portato i pony solo fino ai primi gradini sopra il vecchio ponte, e lì, dopo averli scaricati, gli avevano comandato di tornare ai loro padroni, e li avevano rimandati a Sud senza cavalieri.

 

* * *

 

Venne poi una notte in cui, improvvisamente, lontano a Sud, nella città di Dale di fronte a loro, apparvero molte luci, come di fuochi e torce.

«Sono arrivati!» gridò Balin. «E il loro accampamento è grandissimo. Devono essere arrivati nella valle risalendo le rive del fiume sotto la coltre del crepuscolo.»

Quella notte i Nani dormirono poco. Il mattino era ancora pallido quando videro una compagnia che si avvicinava. Da dietro al loro muro li osservarono salire fino all'inizio della valle e iniziare lentamente la scalata. Dopo non molto poterono vedere che in mezzo a loro c'erano sia Uomini del Lago in assetto di guerra, sia arcieri elfici.

Alla fine l'avanguardia degli Elfi scalò le rocce e apparve in cima alle cascate; ed enorme fu la loro sorpresa nel vedersi davanti la pozza e la Porta bloccata da un muro di pietre squadrate di fresco.

Mentre rimanevano fermi indicando la Porta e parlando tra loro, Thorin li apostrofò. «Chi siete,» gridò a gran voce «voi che venite in assetto di guerra alle porte di Thorin figlio di Thrain, Re sotto la Montagna, e che cosa volete?»

Ma essi non risposero affatto. Alcuni tornarono subito indietro, e gli altri, dopo avere fissato per un po' la Porta e le sue difese, presto li seguirono.

Quel giorno l'accampamento fu spostato a est del fiume, proprio in mezzo ai bracci della Montagna. Le rocce echeggiavano delle voci e dei loro canti, come non avveniva da molto tempo. Si udiva anche il suono delle arpe elfiche e di dolci musiche; e quando l'eco lo portava in su verso di loro pareva che il freddo dell'aria si riscaldasse, ed essi colsero vagamente la fragranza dei fiori di bosco che sbocciano a primavera.

Allora Bilbo si sentì morire dal desiderio di fuggire dalla scura fortezza e di scendere a unirsi all'allegria e ai festeggiamenti intorno ai fuochi. Anche il cuore di alcuni dei Nani più giovani ne fu toccato, e brontolarono che le cose sarebbero potute andare diversamente, sì da poter accogliere quella gente da amici. Ma Thorin li sgridò.

Allora anche i Nani tirarono fuori le arpe e gli strumenti ricuperati dal tesoro, e si misero a far musica per addolcire il suo umore; ma il loro canto non era un canto elfico, ed era molto simile alla canzone che avevano cantato tanto tempo prima nella piccola caverna di Bilbo.

 

Giù, sotto il monte altissimo abbuiato,

il Re nella sua sala è ritornato,

il Verme del Terrore, il suo nemico,

è morto e gli altri avran lo stesso fato.

 

La lunga lancia e una spada accorta,

la freccia ratta e la robusta porta,

l'ardito cuore di chi all'oro bada

saran dei Nani l'invincibil scorta.

 

Faceano i Nani un dì magiche gesta,

battendo mazze qual campane a festa

dove dorme laggiù tetro un mistero

negli antri sotto la rocciosa cresta.

 

Trapuntavan di stelle le collane,

i serti con baglior di drago immane

e da un ritorto fil traean dall'arpe

di melodiche note voci arcane.

 

Del monte il trono ora libero abbiamo!

Odi, disperso popolo, il richiamo!

Attraverso le lande qui accorrete!

Amici vuole il Re: non lo lasciamo.

 

Vadan di là dai monti i nostri appelli.

«Ritornate nei vostri antichi ostelli!»

Alle porte c'è il Re ch'ora vi aspetta

con mani colme d'oro e di gioielli!

 

Il Re nella sua sala è ritornato,

giù sotto il monte altissimo abbuiato,

il Verme del Terrore è stato ucciso,

gli altri nemici avran lo stesso fato.

 

Questa canzone sembrò piacere a Thorin, ed egli tornò a sorridere e divenne allegro; e si mise a calcolare la distanza che li separava dai Colli Ferrosi e quanto tempo ci sarebbe voluto perché Dain potesse raggiungere la Montagna Solitaria, se fosse partito appena il messaggio lo avesse raggiunto. Ma Bilbo si sentì gelare il sangue nelle vene, ascoltando la canzone, e più ancora le parole successive: sapevano troppo di guerra.

L'indomani mattina, di buon'ora, una compagnia di soldati armati di lancia fu vista attraversare il fiume e marciare su per la valle. Portavano con loro il grande stendardo del re degli Elfi e l'azzurro stendardo del lago, e avanzarono finché non si fermarono proprio davanti al muro della Porta.

Di nuovo Thorin li apostrofò a gran voce: «Chi siete voi che venite armati per far guerra alle porte di Thorin figlio di Thrain, Re sotto la Montagna?». Questa volta gli fu risposto.

Un uomo alto si fece avanti, scuro di capelli e in volto, e gridò: «Salute a te, Thorin! Perché ti barrichi come un ladro nel suo covo? Ancora non siamo nemici, e ci rallegriamo che siate vivi, al di là di ogni nostra speranza. Siamo venuti pensando di non trovare nessuno qui; tuttavia, ora che ci siamo incontrati, abbiamo alcune questioni su cui parlamentare e metterci d'accordo.»

«Chi sei tu, e di che vorresti parlamentare?»

«Io sono Bard, e per mano mia il drago fu ucciso e il vostro tesoro salvato. Non è questa forse una questione che ti riguarda? Inoltre io sono per diritto ereditario il successore di Girion di Dale, e in mezzo al tuo tesoro c'è gran parte delle ricchezze della sua città e del suo palazzo, che Smog rubò in passato. Non è questa forse una questione di cui potremmo parlare? Inoltre, nella sua ultima battaglia Smog distrusse le dimore degli uomini di Esgaroth, e io sono ancora al servizio del loro Governatore. Vorrei parlare in vece sua e domandare se non sei sfiorato dal pensiero del dolore e della miseria del suo popolo. Ti soccorsero quando eri in pericolo, e per tutta ricompensa finora ci hai portato solo rovina, anche se indubbiamente non l'hai fatto apposta.»

 

 

Ora, queste parole erano leali e veritiere, anche se pronunciate con fiera asprezza; e Bilbo pensò che Thorin avrebbe immediatamente riconosciuto la giustizia in esse contenuta. Beninteso, egli non si aspettava che qualcuno ricordasse che era stato lui a scoprire tutto da solo il punto debole del drago; e fece molto bene a non aspettarselo, perché infatti nessuno se ne ricordò mai. Ma egli non faceva i conti né con il potere che esercita l'oro lungamente covato da un drago, né con il cuore dei Nani. Nei giorni precedenti Thorin aveva passato lunghe ore nella stanza del tesoro, e la bramosia di possederlo gravava su di lui. Sebbene egli avesse mirato essenzialmente all'Archepietra, tuttavia aveva messo gli occhi sopra molte altre cose stupende che stavano lì, sulle quali aleggiavano antichi ricordi delle fatiche e dei dolori della sua stirpe.

«Presenti la parte peggiore della tua causa per ultima, e nella posizione di maggior rilievo» rispose Thorin. «Sul tesoro del mio popolo nessuno può vantare diritti, per il fatto che Smog, il quale lo rubò a noi, ha privato anche lui della vita o della casa. Il tesoro non era di Smog, e le sue azioni malvagie non debbono quindi essere indennizzate con una parte del tesoro stesso. Il prezzo delle merci e dell'assistenza che ricevemmo dagli Uomini del Lago verrà generosamente ripagato, a tempo debito. Ma non daremo niente, neanche il valore di una pagnotta, sotto la minaccia della forza. Finché una schiera armata sta davanti alle nostre porte, noi vi consideriamo ladri e nemici. Vorrei inoltre domandare quale parte della loro eredità avreste pagato ai nostri consanguinei, se voi aveste trovato il tesoro incustodito e noi uccisi.»

«Una domanda appropriata» replicò Bard. «Ma voi non siete morti e noi non siamo banditi. Inoltre, nei ricchi la giustizia può cedere alla pietà verso i bisognosi che li hanno trattati da amici quando essi erano in miseria. E le mie altre richieste non hanno ancora avuto risposta.»

«Non parlamenterò, come ho detto, con uomini armati alla mia porta. E non parlamenterò affatto con il popolo del re elfico, di cui conservo un ricordo poco gentile. In questa discussione loro non c'entrano affatto. Vattene ora, prima che fischino le nostre frecce! E se vorrai parlarmi di nuovo, rimanda la schiera degli Elfi nei boschi, dov'è il loro posto, e poi ritorna, ma deponi le armi prima di avvicinarti alla soglia.»

«Il re degli Elfi è mio amico, e ha soccorso gli Uomini del Lago nel momento del bisogno, sebbene essi non avessero alcun diritto su di lui, tranne quelli che dà l'amicizia» rispose Bard. «Ti daremo tempo per pentirti delle tue parole. Fa' appello al tuo buon senso prima del nostro ritorno!» Poi partì, e tornò all'accampamento.

Prima che fossero trascorse molte ore, gli ambasciatori tornarono, i trombettieri si fecero avanti e sonarono uno squillo:

«In nome di Esgaroth e della foresta,» gridò uno «parliamo a Thorin Scudodiquercia figlio di Thrain, che chiama se stesso Re sotto la Montagna, e gli intimiamo di considerare seriamente le richieste che sono state avanzate, sotto pena di essere altrimenti dichiarato nostro nemico. Come minimo egli dovrà consegnare un dodicesimo del tesoro a Bard, in quanto uccisore del drago, ed erede di Girion. Con quella porzione Bard stesso contribuirà ad aiutare Esgaroth; ma se Thorin vorrà avere l'amicizia e il rispetto delle terre qui intorno, come l'avevano nel passato i suoi antenati, allora dovrà aggiungere qualcosa di suo per soccorrere gli Uomini del Lago.»

Allora Thorin tese un arco di corno e contro colui che parlava scoccò una freccia che si infilò nel suo scudo e rimase lì vibrando.

«Poiché questa è la tua risposta,» egli gridò di rimando «dichiaro la Montagna assediata. Non ve ne andrete di qui, finché non ci chiederete una tregua e un parlamento. Non prenderemo le armi contro di voi, ma vi lasciamo al vostro oro. Mangiate quello, se volete!»

Così dicendo i messaggeri partirono velocemente, e i Nani furono lasciati a meditare sulla loro situazione. Thorin si era talmente inasprito che, se anche avessero voluto, gli altri non avrebbero osato criticarlo; in realtà, sembrava che la maggior parte di loro condividesse la sua opinione: eccetto forse il vecchio grasso Bombur, e Fili e Kili. Bilbo, ovviamente, disapprovava completamente come si erano messe le cose. A quel punto ne aveva più che abbastanza della Montagna, ed essere assediato dentro di essa non era per niente di suo gusto.

'Tutto il posto puzza ancora di drago' brontolò tra sé e sé 'e mi fa venire la nausea. E il rimpinzimonio comincia proprio a starmi sullo stomaco.'

 


CAPITOLO XVI


Date: 2015-12-17; view: 764


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