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Era questa la nostra casa?

 

Nel frattempo i Nani sedevano nelle tenebre, e un silenzio di tomba cadde intorno a loro. Mangiarono poco e parlarono poco. Non potevano calcolare il trascorrere del tempo; e raramente osavano muoversi, poiché persino i loro bisbigli echeggiavano amplificati nel tunnel. Se sonnecchiavano, buio e silenzio li accoglievano al risveglio. Alla fine, dopo quelli che parvero giorni e giorni di attesa, quando cominciavano ormai a sentirsi tutti insonnoliti e quasi soffocati per la mancanza d'aria, non ne poterono più. Avrebbero accolto quasi volentieri rumori che provenissero dal fondo del tunnel e annunziassero il ritorno del drago. Nel silenzio essi temevano una delle sue astute diavolerie, ma non potevano starsene lì seduti per sempre.

Thorin parlò. «Tentiamo con la porta!» disse. «Devo sentirmi al più presto il vento sulla faccia, se no muoio. Credo che preferirei essere fatto a pezzi da Smog all'aperto piuttosto che soffocare qui dentro!» Così parecchi Nani si alzarono e a tentoni tornarono dove c'era stata la porta. Ma si resero conto ben presto che l'estremità superiore del tunnel era stata distrutta e bloccata da frantumi di roccia. Né la chiave né la magia cui un tempo essa ubbidiva avrebbero potuto mai più riaprire quella porta.

«Siamo in trappola!» gemettero. «Questa è la fine. Moriremo tutti qui.»

Ma oscuramente, proprio quando i Nani erano al culmine della disperazione, Bilbo sentì il cuore farglisi stranamente più leggero, come se gli fosse stato tolto un grosso peso da sotto il panciotto.

«Su, su!» disse. «'Finché c'è vita c'è speranza', come diceva mio padre, e 'la terza volta è quella buona'. Io tornerò di nuovo laggiù, in fondo al tunnel. Ci sono già andato due volte, quando sapevo che c'era un drago, così rischierò una terza visita ora che non ne sono più sicuro. Comunque, l'unica via d'uscita è laggiù. E credo che questa volta sia meglio che veniate tutti con me.»

Per la disperazione essi acconsentirono, e Thorin fu il primo a farsi avanti al fianco di Bilbo.

«Adesso, mi raccomando, state attenti!» sussurrò lo Hobbit «e sforzatevi più che potete di non far rumore! Può darsi che non ci sia nessuno Smog, ma può anche darsi che ci sia. Non corriamo rischi inutili!»

Scesero sempre più giù. I Nani, naturalmente, non potevano gareggiare con lo Hobbit nell'avanzare veramente di soppiatto, e fecero un sacco di sbuffi e stropiccii che l'eco ingrandiva in modo allarmante; ma anche se di tanto in tanto Bilbo si fermava pieno di paura ad ascoltare, non un suono si levò da sotto. Vicino al fondo, per quanto poteva giudicare, Bilbo si infilò l'anello e andò avanti. Ma non ne aveva bisogno: il buio era completo, ed erano tutti invisibili, anello o non anello. In realtà era così buio che lo Hobbit arrivò all'apertura inaspettatamente, poggiò le mani sull'aria, inciampò in avanti e rotolò lungo disteso nella sala!



Lì giacque a pancia in giù sul pavimento e non osò alzarsi o, quasi, respirare. Ma niente si mosse.

Non c'era un filo di luce - tranne, come gli sembrò quando alla fine alzò la testa, un pallido barlume bianco, sopra di lui e lontano nell'oscurità. Ma esso non era affatto una scintilla di fuoco di drago, sebbene il tanfo del mostro fosse pesante in quel luogo, e Bilbo si sentisse in bocca il sapore dei fumi dragheschi.

Alle lunghe il signor Baggins non ne poté più. «Va' in malora, Smog, brutto mostro!» proruppe con voce stridula. «Piantala di giocare a nascondino! Fammi luce e poi mangiami, se riesci a prendermi!»

Fiocamente l'eco si ripercosse intorno alla sala invisibile, ma non ci fu risposta.

Bilbo si alzò, e scoprì che non sapeva in quale direzione girarsi.

«Vorrei proprio sapere a che razza di gioco Smog sta giocando» disse. «Però direi senz'altro che è fuori casa, oggi (o stanotte, o quello che è). Se Oin e Gloin non hanno perso i loro acciarini, forse possiamo fare un po' di luce e dare un'occhiata in giro prima che la fortuna cambi. Luce!» gridò «chi può farmi luce?»

 

* * *

 

I Nani, ovviamente, furono allarmatissimi quando Bilbo cadde con un tonfo giù dal gradino dentro la sala, e rimasero seduti e tutti rannicchiati dov'egli li aveva lasciati, alla fine del tunnel.

«Ssst! ssst!» essi sibilarono, quando udirono la sua voce; e sebbene questo aiutasse lo Hobbit a scoprire dov'erano, ci volle un bel po' prima che egli ottenesse qualcosa da loro. Ma alla fine, quando Bilbo si mise addirittura a pestare i piedi sul pavimento e a gridare «luce!» a squarciagola, Thorin dette il permesso, e Oin e Gloin furono spediti indietro a prendere i loro fardelli all'inizio del tunnel.

Dopo un po' un bagliore tremolante indicò loro che stavano ritornando, Oin con in mano una torcetta di pino accesa, e Gloin, con un pacco di altre torce sotto il braccio. Bilbo trottò velocemente verso la porta e prese la torcia; ma ancora non riuscì a persuadere i Nani ad accendere le altre o a venire a raggiungerlo. Come Thorin spiegò con gran cura, il signor Baggins era ancora ufficialmente il loro esperto scassinatore e investigatore. Se voleva correre il rischio di accendere una luce, questo era affar suo. Loro avrebbero aspettato nel tunnel il suo rapporto. Perciò si sedettero pazientemente accanto alla porta a osservare.

Videro la piccola sagoma scura dello Hobbit muoversi sul pavimento tenendo levato il lumicino. Di tanto in tanto, mentre era ancora abbastanza vicino, essi coglievano un bagliore e un tintinnio quand'egli inciampava in qualche oggetto d'oro. La luce divenne più piccola man mano che egli si allontanava errando per la vasta sala; poi cominciò ad alzarsi danzando nell'aria. Bilbo stava arrampicandosi sul grande mucchio del tesoro. Presto raggiunse la cima e avanzò ancora. Poi lo videro fermarsi e abbassarsi per un attimo; ma non ne sapevano la ragione.

La ragione era l'Archepietra, il Cuore della Montagna. Così arguì Bilbo dalla descrizione di Thorin; e in verità non potevano esserci due gemme come quella, nemmeno in un tesoro così meraviglioso, nemmeno in tutto il mondo. Mentre si arrampicava, lo stesso bianco splendore aveva brillato davanti a lui e attirato i suoi passi in quella direzione. Lentamente era aumentato fino a diventare un piccolo globo di luce pallida. Ora che vi era vicino, Bilbo lo vedeva sfumare in superficie nei bagliori guizzanti di mille colori, riflessi e frantumati, della luce incerta della sua torcia. Alla fine egli abbassò lo sguardo per guardarla, e trattenne il fiato. La grossa gemma sfolgorava ai suoi piedi di luce propria e tuttavia, tagliata e polita dai Nani, che l'avevano estratta dal Cuore della Montagna tanto tempo prima, assorbiva tutta la luce che vi cadeva sopra e la trasformava in migliaia di scintille di bianco fulgore screziato di riflessi iridescenti.

Improvvisamente il braccio di Bilbo si protese verso di essa attirato dal suo incanto. La sua piccola mano non riusciva a contenerla, perché era una gemma grossa e pesante; ma egli la raccolse, chiuse gli occhi e la mise nella più profonda delle sue tasche.

'Adesso sì che sono uno scassinatore!' pensò. 'Ma suppongo che dovrò informarne i Nani - una volta o l'altra. Dopo tutto hanno detto che potevo prendere e scegliere la mia parte; e penso che sceglierei questa, lasciando loro tutto il resto!' Ciononostante aveva la sgradevole sensazione che il prendere e lo scegliere non avessero incluso questa meravigliosa gemma, e che in seguito ne sarebbero sicuramente nati dei guai.

Ora riprese ad avanzare. Scese dall'altra parte del grosso mucchio, e il bagliore della sua torcia svanì dalla vista dei Nani che lo guardavano. Presto però lo rividero lontano lontano. Bilbo stava attraversando la sala.

Avanzò finché non raggiunse le grandi porte all'estremità più lontana e lì un soffio d'aria lo rinfrescò, ma spense quasi la sua luce. Egli fece timidamente capolino dall'altra parte, ed ebbe la fuggevole visione di larghi passaggi e di scale grandiose che salivano su nelle tenebre. E nemmeno lì c'era segno o suono di Smog. Stava per girarsi e tornare indietro, quando una forma nera si avventò su di lui e gli sfiorò il viso. Egli proruppe in un grido stridulo e si mise a correre, inciampò all'indietro e cadde. La torcia cadde a testa in giù e si spense!

«Era solo un pipistrello, suppongo e spero!» disse Bilbo sconsolatamente. «Ma ora che devo fare? Dov'è l'Est, il Sud, il Nord o l'Ovest?»

«Thorin! Balin, Oin! Gloin! Fili! Kili!» egli gridò più forte che poté - e la sua voce era solo un esile suono in quella tenebrosa vastità. «Si è spenta la luce! Qualcuno venga qui ad aiutarmi!» Per il momento il coraggio gli era venuto a mancare del tutto.

I Nani udirono appena le sue fievoli grida lontane, anzi la sola parola che poterono afferrare fu: «Aiuto!.»

«Adesso che diamine mai può esser successo?» disse Thorin. «Certamente non si tratta del drago, altrimenti non continuerebbe a gridare.»

Aspettarono un momento o due, e ancora non si avvertivano rumori di drago, in effetti non c'era proprio nessun rumore tranne la voce lontana di Bilbo. «Su, su, uno di voi prenda un altro paio di torce!» ordinò Thorin. «A quanto pare ci tocca andare ad aiutare il nostro scassinatore.»

«Era quasi ora che fossimo noi ad aiutarlo, mi sembra,» disse Balin «e io sono prontissimo ad andare. Comunque, immagino che per il momento non ci sia pericolo.»

Gloin accese molte torce, e strisciarono tutti fuori, in fila indiana, e avanzarono lungo il muro il più in fretta possibile, e subito incontrarono Bilbo in persona che tornava verso di loro. Aveva presto ripreso padronanza delle sue facoltà mentali, appena aveva visto il bagliore delle loro luci.

«Solo un pipistrello e una brutta caduta, nient'altro!» egli disse rispondendo alle loro domande. Sebbene fossero molto sollevati, si mostrarono un po' seccati di essere stati spaventati per niente; ma non so che cosa avrebbero detto, se in quel momento avesse parlato loro dell'Archepietra. Una semplice occhiata lanciata di sfuggita al tesoro mentre avanzavano aveva riacceso tutta la brama dei loro cuori naneschi; e quando il cuore di un Nano, anche il più rispettabile, è risvegliato da oro e gioielli, diventa improvvisamente ardito e può diventare feroce.

In realtà i Nani non avevano più bisogno di alcun incitamento. Tutti erano ansiosi di esplorare la sala, ora che ne avevano l'opportunità, ed erano pronti a credere che, per il momento, Smog fosse fuori casa. Ognuno afferrò una torcia accesa; e mentre guardavano intensamente, prima da una parte e poi dall'altra, dimenticarono la paura e perfino la prudenza. Parlarono ad alta voce, si chiamarono l'un l'altro gridando, mentre sollevavano vecchi tesori dal mucchio o dalla parete e li protendevano alla luce, accarezzandoli e palpandoli.

Fili e Kili erano quasi di buon umore, e trovando che molte arpe d'oro dalle corde d'argento erano ancora appese lì, le presero e le sfiorarono: ed essendo magiche (e inoltre non essendo mai state toccate dal drago, che aveva poco interesse per la musica) erano ancora accordate. La sala oscura si riempì di una melodia che aveva taciuto a lungo. Ma la maggior parte dei Nani erano più pratici: raccolsero gemme e se ne riempirono le tasche, facendosi scivolare tra le dita, con un singhiozzo, quello che non potevano trasportare. Thorin non era da meno degli altri; ma egli andava cercando da una parte e dall'altra qualcosa che non riusciva a trovare. Era l'Archepietra; ma ancora non ne parlò a nessuno.

Ora i Nani staccarono dalle pareti armature e armi e le indossarono. Thorin aveva un aspetto veramente regale, rivestito di una cotta di maglia dorata, con un'ascia dal manico d'argento infilata in una cintura incrostata di pietre scarlatte.

«Signor Baggins!» egli gridò. «Ecco un primo pagamento della tua ricompensa! Togliti quella vecchia cotta e mettiti questa!»

 

 

Così dicendo mise addosso a Bilbo una piccola cotta di maglia, forgiata per qualche giovane principe degli Elfi tanto tempo addietro. Era di quell'argento duro come l'acciaio che gli Elfi chiamano mithril, ed era accompagnata da una cintura di perle e cristalli. Un elmo leggero di cuoio decorato, rinforzato al di sotto da cerchi d'acciaio, e con l'orlo tutto trapunto di gemme bianche, fu posto sulla testa dello Hobbit.

'Mi sento magnifico,' egli pensò 'anche se devo avere un aspetto abbastanza assurdo, immagino. Chi sa come riderebbero di me, a casa, sulla Collina! Eppure vorrei che ci fosse uno specchio a portata di mano!'

Nel complesso, però, il signor Baggins mantenne la mente lucida, e il suo animo non fu soggiogato dalla malia del tesoro come quello dei Nani. Molto prima che costoro si stancassero di esaminare i tesori, egli se ne stufò e si sedette sul pavimento; cominciò a domandarsi nervosamente quale sarebbe stata la fine di tutto. 'Darei un bel po' di questi calici preziosi' pensò 'per un sorso ristoratore dai boccali di legno di Beorn!'

«Thorin!» gridò forte. «E adesso che si fa? Ci siamo armati, ma in passato a che sono mai servite le armi contro Smog il Terribile? Questo tesoro non è stato ancora riconquistato. Non siamo più in cerca di oro, ormai, ma di una via d'uscita; e abbiamo sfidato la fortuna abbastanza a lungo!»

«Dici il vero!» rispose Thorin tornando in sé. «Andiamo! Vi farò da guida. Neanche tra mille anni potrei dimenticare le strade di questo palazzo.» Poi chiamò tutti gli altri e si raggrupparono; e tenendo le torce alte sopra la testa passarono attraverso le porte aperte, non senza voltarsi a lanciare molte occhiate di desiderio.

Coi loro vecchi mantelli avevano ricoperto le armature scintillanti, e gli elmi lucenti coi loro cappucci stropicciati, e camminavano in fila indiana dietro Thorin, una fila di piccole luci nel buio che si arrestavano spesso, per ascoltare se qualche rumore palesasse il ritorno del drago. Benché tutti gli antichi ornamenti fossero da lungo tempo andati in rovina o distrutti, e benché tutto fosse stato insudiciato e danneggiato dalle entrate e uscite del mostro, Thorin conosceva ogni passaggio e ogni curva. Salirono per lunghe scale, girarono e scesero per larghe vie riecheggianti, e girarono di nuovo e risalirono scale e scale. I gradini erano lisci, larghi e ben tagliati nella viva roccia; e salirono sempre più su, senza incontrare segno alcuno di esseri viventi, solo ombre furtive che si dileguavano all'appressarsi delle loro torce vacillanti per le correnti d'aria.

Tutti quei gradini però non erano stati fatti per gambe di Hobbit, e Bilbo cominciava a sentirsi esausto da non farcela più, quando d'improvviso il tetto balzò in alto, molto più su della portata delle loro torce, e un bianco bagliore si vide filtrare attraverso una qualche apertura su in alto, e l'aria aveva un odore più dolce. Davanti a loro una luce soffusa penetrava attraverso le grandi porte, inclinate sui cardini e mezzo bruciate.

«Questa è la grande sala di Thror,» disse Thorin «la sala dei banchetti e del consiglio. Adesso la Porta Principale non è molto lontana.»

Attraversarono la sala in rovina. C'erano tavole putrefatte; sedie e panche giacevano rovesciate, bruciate e in sfacelo. Teschi e ossa erano sparsi sul pavimento in mezzo a caraffe, scodelle, corni per bere tutti spezzati, e polvere. Quando passarono attraverso un numero ancora maggiore di porte all'altra estremità, un rumore d'acqua percosse le loro orecchie e la luce grigia si fece improvvisamente più chiara.

«Ecco la sorgente del Fiume Fluente» disse Thorin. «Da qui esso corre verso la Porta. Seguiamolo!»

Lì, da una scura apertura nel muro di roccia, usciva un rivo ribollente, che scorreva turbinoso in uno stretto canale, profondo e tagliato a picco dalla destrezza di antiche mani. Su uno dei suoi fianchi era stata aperta una strada pavimentata di pietra, abbastanza larga perché molte persone vi potessero avanzare fianco a fianco. Su di essa corsero veloci, e al di là di una curva larga e ampia - ecco! Davanti a loro c'era la chiara luce del giorno. Di fronte si ergeva un alto arco, che mostrava ancora i frammenti di antichi bassorilievi, sebbene fosse logoro, spezzato e annerito. Un vago sole inviava la sua pallida luce tra i contrafforti della Montagna, e raggi d'oro cadevano sul lastrico della soglia.

Un frullo di pipistrelli spaventati nel sonno dalle loro torce fumose passò turbinoso sopra di loro; mentre balzavano avanti i loro piedi scivolarono sulle pietre rese lisce e levigate dal passaggio del drago. Davanti a loro l'acqua cadeva rumorosamente al di fuori e spumeggiava verso la valle. Gettarono a terra le loro pallide torce, e rimasero a guardare fuori con gli occhi sbarrati. Erano arrivati alla Porta Principale, e guardavano verso Dale.

«Bene!» disse Bilbo. «Non mi sarei mai aspettato di poter guardare fuori da questa porta. E non mi sarei mai aspettato di essere così contento di rivedere il sole, e di sentire il vento sul mio viso. Ma, oh! Che vento freddo!»

Lo era proprio. Un'aspra brezza orientale soffiava minacciando il sopravvenire dell'inverno. Essa sibilava sopra e intorno ai contrafforti della Montagna dentro la valle, e gemeva in mezzo alle rocce. Dopo tutto il tempo passato nelle profondità delle caverne abitate dal drago, essi rabbrividirono al sole.

 

 

Improvvisamente Bilbo si rese conto che non era solo stanco, ma anche affamato come un lupo. «Sembra che sia mattina inoltrata,» disse «immagino quindi che sia più o meno ora di colazione - se c'è qualcosa da mangiare per colazione. Ma ho anche la sensazione che la soglia della porta di casa di Smog non sia il posto ideale per mangiare. Su, andiamo da qualche parte dove possiamo stare seduti in pace per un po'.»

«Giustissimo!» disse Balin. «E io penso di sapere dove dovremmo andare: dovremmo dirigerci al vecchio posto di guardia all'angolo Sud-Ovest della Montagna.»

«Quanto dista?» domandò lo Hobbit.

«Cinque ore di marcia, direi. Non sarà facile arrivarci. Sembra che la strada dalla Porta lungo la riva sinistra del fiume sia tutta in rovina. Ma guarda laggiù! Il fiume disegna improvvisamente un meandro intorno a Dale, a Est, di fronte alle rovine della città. In quel punto una volta c'era un ponte, il quale si collegava a ripide scale che risalivano la riva destra; poi c'era una strada verso Collecorvo. Lì c'è (o c'era) un sentiero che lasciava la strada e risaliva fino al posto di guardia. Una salita faticosa, per di più, anche se i vecchi gradini sono ancora lì.»

«Povero me!» brontolò lo Hobbit. «Non si finisce più di camminare e di arrampicarsi, e a pancia vuota per di più! Mi domando quante colazioni, o altri pasti, abbiamo saltato dentro quel sordido buco senza orologi e senza tempo...»

Per l'esattezza erano trascorsi due notti e il giorno in mezzo (e non completamente senza cibo) dal momento in cui il drago aveva abbattuto la porta magica, ma Bilbo aveva perso un po' il conto e, per quanto ne sapeva lui, poteva trattarsi di una notte o di una settimana.

«Su, su!» disse Thorin ridendo: stava riprendendo animo e si faceva suonare le pietre preziose nelle tasche. «Non chiamare sordido buco il mio palazzo! Aspetta finché sarà stato ripulito e riordinato!»

«Questo accadrà solo quando Smog sarà morto» disse tetro Bilbo. «E intanto dov'è? Darei una buona colazione per saperlo. Spero che non sia in cima alla Montagna a guardare quaggiù!»

L'idea disturbò moltissimo i Nani, e rapidamente decisero che Bilbo e Balin avevano ragione.

«Dobbiamo allontanarci da qui» disse Dori. «Ho la sensazione che i suoi occhi siano incollati sulla mia nuca.»

«È un posto freddo e solitario» disse Bombur. «Forse c'è da bere, ma non vedo traccia di cibo. Un drago dovrebbe essere costantemente affamato in posti simili.»

«Vieni! Vieni!» gridarono gli altri. «Seguiamo il sentiero di Balin!»

 

* * *

 

A destra, sotto la parete di pietra, non c'era nessun sentiero, perciò andarono faticosamente in mezzo alle pietre sulla sinistra del fiume, e il vuoto e la desolazione presto spensero l'entusiasmo di Thorin. Scoprirono che il ponte di cui Balin aveva parlato era caduto da molto tempo, e le sue pietre affioravano ora sul fiume basso e rumoroso; ma guadarono l'acqua senza grande difficoltà, trovarono gli antichi scalini, e risalirono l'alto argine. Dopo avere camminato per un po' si imbatterono nella vecchia strada, e dopo non molto arrivarono a una forra profondamente incassata tra le rocce; lì riposarono per un po' e fecero colazione mangiando quello che avevano, essenzialmente rimpinzimonio e acqua. (Se volete sapere cos'è il rimpinzimonio, posso solo dire che la ricetta non la so; ma sa un po' di biscotto, si conserva indefinitamente e, seppur sostanzioso, certamente non è allettante; in realtà è un cibo poco interessante, se non come esercizio masticatorio. Veniva infatti fatto dagli Uomini del Lago per i lunghi viaggi.)

Dopo di che si rimisero in marcia; ora la strada piegava a Ovest e lasciava il fiume, e la grande gobba dello sperone montano che puntava a Sud si faceva sempre più vicina. Finalmente raggiunsero il sentiero della collina; si arrampicava in su con forte pendenza, ed essi arrancarono lentamente l'uno dopo l'altro, finché, nel tardo pomeriggio, arrivarono in cima alla cresta e videro il sole invernale tramontare verso Occidente.

Qui trovarono un largo spiazzo privo di pareti su tre lati, ma riparato a Nord da una parete rocciosa su cui c'era un'apertura che sembrava una porta. Da quella porta si godeva un'ampia vista verso Est, Sud, e Ovest.

«In passato» disse Balin «tenevamo qui delle sentinelle, e quella porta lì dietro conduce a una camera scavata nella roccia che fu approntata a guardiola. C'erano molti posti come questo intorno alla Montagna. Ma al tempo della nostra prosperità non pareva che ci fosse molto bisogno di fare la guardia, e forse le sentinelle se la prendevano comoda, altrimenti saremmo stati avvertiti prima dell'arrivo del drago, e le cose sarebbero potute essere diverse. Comunque, ora possiamo stare nascosti e riparati per un po' e possiamo vedere molto senza essere visti.»

«Non è un gran che, se siamo stati visti mentre venivamo qui» disse Dori, che stava sempre guardando in su verso la vetta della Montagna, come se si aspettasse di vedere Smog appollaiato là sopra come un uccello su un campanile.

«Dobbiamo correre il rischio» disse Thorin. «Non possiamo andare più avanti, oggi.»

«Precisamente!» esclamò Bilbo, e si gettò al suolo.

Nella stanza scavata nella roccia ci sarebbe stato posto per cento; e più avanti, più riparata dal freddo esterno, ce n'era una più piccola, del tutto deserta; pareva che neanche gli animali selvatici l'avessero usata durante tutto il tempo del dominio di Smog. Posarono lì i loro fagotti; e alcuni si buttarono immediatamente al suolo per dormire un po', ma gli altri si sedettero accanto alla porta più esterna a discutere i loro piani. E durante tutta la loro conversazione tornavano sempre su un punto: dov'era Smog? Guardarono a Ovest, ma non videro niente, guardarono a Sud, e neanche lì c'era segno del drago, bensì un enorme affollamento di uccelli. Lo fissarono domandandosi che cosa volesse dire; ma non erano molto più vicini alla soluzione quando spuntarono le prime stelle fredde.

 


CAPITOLO XIV

Fuoco e acqua

 

Se ora volete, come i Nani, avere notizie di Smog, dovete ritornare indietro alla sera in cui egli distrusse la porta e volò via pieno di collera, due giorni prima.

Gli Uomini di Pontelagolungo, un tempo chiamata Esgaroth, erano per lo più in casa, quella sera, perché il vento veniva dal nero Oriente ed era freddo; alcuni di loro, però, passeggiavano sulle banchine, e osservavano, come amavano molto fare, le stelle che si riflettevano sulla superficie liscia del lago, mentre sbocciavano in cielo.

Dalla loro città la Montagna Solitaria, seminascosta dalle basse colline all'estremità del lago, appariva attraverso una valle in fondo alla quale scendeva da Nord il Fiume Fluente. Solo la sua alta vetta si poteva vedere quando il cielo era limpido, ed essi la guardavano raramente, perché era malaugurante e fosca perfino alla luce del mattino. Ora era sparita del tutto, inghiottita dal buio.

Improvvisamente riapparve per un attimo alla vista; un brevissimo bagliore la sfiorò e svanì.

«Guarda!» disse uno. «Di nuovo le luci! La notte scorsa le sentinelle le hanno viste apparire e sparire da mezzanotte fino all'alba. Lassù sta succedendo qualcosa.»

«Forse il Re sotto la Montagna sta forgiando oro» disse un altro. «Da molto ormai è andato a Nord, ed è tempo che le canzoni si dimostrino di nuovo vere.»

«Quale re?» disse un altro con voce rude. «È più probabile che sia il fuoco predatore del drago, l'unico re sotto la Montagna che abbiamo mai conosciuto.»

«Non fai altro che predire malanni!» dissero gli altri. «Qualsiasi cosa, dalle alluvioni all'avvelenamento del pesce. Pensa a qualcosa d'allegro!»

Ma d'un tratto apparve una grande luce in un punto basso delle colline, e l'estremità settentrionale del lago si fece tutta dorata. «Il Re sotto la Montagna!» urlarono. «La sua ricchezza è come il Sole, il suo argento come una fontana, i suoi fiumi sono d'oro! Il fiume sta portando giù l'oro dalla Montagna!» gridarono, e dappertutto si spalancarono le finestre e ci si affrettò a correre.

Ancora una volta ci furono un'eccitazione e un entusiasmo incredibili. Ma il tizio dalla voce rude corse in fretta e furia dal Governatore. «Sta arrivando il drago o io sono pazzo!» egli gridò. «Tagliate i ponti! All'armi! All'armi!»

Allora le trombe sonarono l'allarme, ed echeggiarono lungo le rive rocciose. L'allegria cessò e la gioia si mutò in terrore. Ma il drago non li trovò del tutto impreparati.

Dopo non molto, tanto forte era la sua velocità, poterono vederlo precipitarsi su di loro come una palla di fuoco, che diventò sempre più grande e sempre più vivida, e neanche il più pazzo mise in dubbio che le profezie erano state alquanto inesatte. Tuttavia avevano ancora un po' di tempo. Ogni recipiente in città fu riempito d'acqua, ogni guerriero si armò, i dardi e le frecce furono preparati, e il ponte che li univa alla terraferma fu abbattuto e distrutto, prima che il ruggito terribile di Smog che si avvicinava diventasse più forte, e il lago si increspasse, rosso come il fuoco, sotto il battito orrendo delle sue ali.

Tra le grida e le urla degli uomini discese su di loro, virò verso i ponti, e rimase di stucco! Il ponte era sparito, e i suoi nemici stavano su un'isola in mezzo all'acqua profonda - troppo profonda, fredda e scura per i suoi gusti. Se vi si fosse tuffato, se ne sarebbe sprigionato vapore e fumo sufficiente a coprire di nebbia tutte le terre per giorni e giorni; ma il lago era più potente di lui, lo avrebbe soffocato prima che potesse attraversarlo.

Ruggendo si volse verso la città. Una nuvola di frecce nere si levò in aria e tintinnò spuntandosi sulle sue scaglie e sui suoi gioielli, e i dardi ricaddero sul lago incendiati dal suo respiro bruciante e sibilante. Nessun fuoco d'artificio che abbiate mai immaginato avrebbe potuto eguagliare lo spettacolo di quella notte. Al sibilo delle frecce e allo squillo delle trombe, il furore del drago raggiunse il culmine, finché ne fu reso cieco e pazzo. Nessuno, da tanto tempo, aveva osato muovergli battaglia, né avrebbero osato adesso, se non fosse stato per l'uomo dalla voce rude (Bard era il suo nome), che correva avanti e indietro rincuorando gli arcieri e incalzando il Governatore a ordinare loro di combattere fino all'ultima freccia.

Dalle fauci del drago schizzò fuori il fuoco. Per un po' egli volteggiò alto in aria sopra di loro, illuminando tutto il lago; gli alberi sulle sponde lucevano come rame e sangue, con le ombre che fluttuavano ai loro piedi. Poi piombò in basso, proprio attraverso la tempesta di frecce, reso imprudente dalla collera, senza prendere la precauzione di rivolgere le proprie parti scagliose verso i nemici, con l'unico intento di incendiare la loro città.

Il fuoco divampava dai tetti di paglia e dalle travi di legno, benché fossero stati tutti inzuppati d'acqua prima del suo arrivo, tutte le volte che Smog si scagliava giù con violenza passando e ripassando. E ancora centinaia di mani gettarono acqua dovunque apparisse una scintilla. Il drago turbinò indietro. Una sferzata della coda e il tetto del Municipio si sgretolò e fu raso al suolo. Fiamme inestinguibili divamparono alte nella notte. Un'altra picchiata, e un'altra ancora, e un'altra casa e poi un'altra divamparono incendiate e caddero; e ancora nessuna freccia aveva ostacolato o fatto del male a Smog più di una mosca delle paludi.

 

* * *

 

Da ogni parte ormai la gente balzava in acqua. Donne e bambini venivano stipati in barche stracariche nel porticciolo del mercato. Le armi venivano scagliate a terra. Si levarono lamenti e pianti, là dove solo poco tempo prima si erano cantate per i Nani le vecchie canzoni che parlavano della gioia a venire. Ora la gente malediceva il proprio nome. Il Governatore in persona stava avviandosi verso la sua grande barca dorata, sperando di fuggire su di essa nella confusione e di salvarsi. Presto tutta la città sarebbe stata deserta e bruciata fin giù alla superficie del lago.

Questo era quanto il drago sperava. Per quello che gliene importava, potevano pure salire in barca tutti. Allora sì che si sarebbe divertito a dar loro la caccia, oppure potevano star fermi fino a morire di fame. Cercassero di approdare, e lui sarebbe stato pronto ad accoglierli. Presto avrebbe incendiato tutti i campi e i pascoli. Per ora stava godendosi il divertimento di tormentare la città, ed erano anni che non si era divertito tanto.

Ma c'era ancora una compagnia di arcieri che resisteva in mezzo alle case in fiamme. Il loro capitano era Bard dalla voce rude e dalla faccia severa, che i suoi amici avevano accusato di profetizzare alluvioni e pesci avvelenati, sebbene conoscessero il suo valore e il suo coraggio. Era un lontano discendente di Girion, Signore di Dale: la moglie e i figli, tanto tempo addietro, erano sfuggiti alla rovina lungo il Fiume Fluente. Egli scagliava le frecce col suo grande arco di tasso, e le aveva ormai consumate tutte, tranne una. Le fiamme gli erano vicine. I compagni lo abbandonavano. Egli piegò l'arco per l'ultima volta.

All'improvviso qualcosa frullò fuori dal buio sulla sua spalla. Bard sobbalzò, ma era solo un vecchio tordo che, senza paura, gli si appollaiò vicino all'orecchio e gli portò notizie. Meravigliato, Bard scoprì che poteva capire il suo linguaggio, poiché apparteneva alla stirpe di Dale.

«Aspetta! Aspetta!» gli disse il tordo. «Sta levandosi la luna. Punta alla macchia scoperta sulla parte sinistra del petto, ora che si alza in volo e si dirige verso di te!» E mentre Bard esitava stupefatto gli riferì le notizie dalla Montagna e tutto quello che aveva udito. Allora Bard tese l'arco al massimo. Il drago tornava volteggiando, volando basso, e mentre egli si avvicinava la luna si levò sopra la riva orientale e inargentò le sue grandi ali.

 

 

«Freccia!» disse l'arciere. «Freccia nera! Ti ho conservata per ultima. Non mi hai mai tradito e io ti ho sempre ricuperata. Ti ho avuta da mio padre ed egli ti ebbe dai suoi antenati. Se veramente provieni dalla fornace del vero Re sotto la Montagna, va' ora diritta al bersaglio, e buona fortuna!»

Il drago piombò ancora una volta più in basso che mai e, mentre virava e si tuffava giù, il suo ventre brillò bianco per la luce scintillante delle gemme sotto la luna, tranne che in un punto. Il grande arco vibrò. La freccia nera schizzò via dalla corda, puntando diritta alla zona scoperta sulla sinistra del petto, dove la zampa anteriore si scostava molto dal corpo. Lì si conficcò e sparì, punta, asta e piuma, tanto fiero era stato il suo volo. Con un grido stridente che assordò gli Uomini, abbatté gli alberi e spaccò le pietre, Smog sobbalzò schiumando nell'aria, si capovolse e si schiantò rovinando al suolo.

Tutt'intero cadde sulla città. I suoi ultimi spasimi la distrussero completamente in uno scoppio di scintille e schegge volanti. Il lago vi precipitò sopra ruggendo. Un'enorme massa d'acqua si sollevò, bianca sotto la luna nel buio improvviso. Ci fu un sibilo, un vortice ribollente, e poi silenzio. E questa fu la fine di Smog e di Esgaroth, ma non di Bard.

 

* * *

 

La luna cerea si levò sempre più alta e il vento si fece più freddo e più violento; sollevò la bianca nebbia in colonne inclinate e in nuvole frettolose e la trascinò via verso Ovest a diffondersi in brandelli sopra le paludi davanti a Bosco Atro. Allora si videro le molte barche punteggiare scure la superficie del lago, e il vento portò le voci del popolo di Esgaroth che piangeva la perdita della città, dei beni e delle case. In realtà, avrebbero avuto molte ragioni di essere grati, se avessero ben riflettuto, anche se questa era proprio l'ultima cosa che ci si potesse aspettare da loro in quel momento: infatti, tre quarti della popolazione della città aveva almeno salvato la propria vita; i boschi, i campi, i pascoli, il bestiame non erano stati danneggiati; e il drago era morto. E che cosa ciò volesse dire per loro, non se ne erano ancora resi conto.

Si affollarono gemendo sulle sponde occidentali, rabbrividendo al vento freddo, e le prime lagnanze furono dirette contro il Governatore, che aveva lasciato la città troppo presto, quando alcuni erano ancora pronti a difenderla.

«Avrà anche un certo talento per gli affari, specialmente quelli suoi,» mormorarono alcuni «ma non è di alcuna utilità quando succede qualcosa di serio!» E lodarono il coraggio di Bard e il suo ultimo tiro possente. «Se solo egli non fosse stato ucciso,» dissero tutti «lo faremmo re. Bard, l'Uccisore del Drago, della stirpe di Girion! Ahimè, lo abbiamo perduto!»

E proprio in mezzo al loro discorso, dall'ombra avanzò un'alta figura. Era inzuppato d'acqua, i capelli neri gli spiovevano bagnati sulla faccia e sulle spalle, e una luce fiera gli brillava negli occhi.

«Bard non è perduto!» egli gridò. «Egli si lanciò in acqua da Esgaroth quando il nemico fu abbattuto. Sono io Bard, della stirpe di Girion; io sono l'uccisore del drago!»

«Bard re! Bard re!» urlarono; ma il Governatore strinse i denti che gli battevano.

«Girion era Signore di Dale, non re di Esgaroth» egli disse. «A Pontelagolungo abbiamo sempre eletto i Governatori tra i vecchi o i saggi, e non abbiamo tollerato l'autorità di uomini capaci solo di combattere. Che 'Re Bard' torni al suo regno. Dale ormai è libera grazie al suo valore, e niente gli impedisce di ritornarci. E chiunque voglia può andare con lui, se preferisce le fredde pietre nell'ombra della Montagna alle verdi sponde del lago. I saggi rimarranno qui nella speranza di ricostruire la nostra città, e di godere ancora, tra non molto, la sua pace e le sue ricchezze.»

«Vogliamo Bard come nostro re!» gridò per tutta risposta la gente che era più vicina a lui. «Ne abbiamo abbastanza di vecchi e conta-soldi!» E la gente più lontana riprese quel grido: «Viva l'Arciere, abbasso Sacco di Denaro!», finché il clamore riecheggiò lungo tutta quanta la sponda.

«Non sarò certo io a sottovalutare Bard l'Arciere» disse prudentemente il Governatore (infatti ora Bard stava proprio accanto a lui). «Questa notte si è guadagnato un posto eminente nell'elenco dei benefattori della nostra città; ed è degno di molte canzoni imperiture. Ma perché, o Popolo?» e qui il Governatore si alzò in piedi e parlò con voce molto alta e chiara, «perché tutto il biasimo tocca a me? Per quale colpa debbo essere deposto dalla mia carica? Chi ha risvegliato il drago dal suo sonno, ditemelo un po'? Chi ha ottenuto da noi ricchi doni e ampio aiuto, e ci ha fatto credere che le antiche canzoni potessero avverarsi? Chi si è fatto gioco del nostro buon cuore e delle nostre belle illusioni? Che tipo di oro hanno mandato giù per il fiume per compensarci? Fuoco di drago e rovina! Da chi dobbiamo ora reclamare il rimborso dei nostri danni, e l'aiuto per le nostre vedove e per gli orfani?»

Come vedete, non per niente il Governatore aveva raggiunto la posizione che aveva. Il risultato delle sue parole fu che per il momento il popolo dimenticò completamente l'idea di avere un nuovo re, e rivolse la propria ira contro Thorin e la sua Compagnia. Parole aspre e selvagge furono gridate da molte parti; e alcuni di quelli che prima avevano cantato le antiche canzoni più forte di tutti, furono ora uditi gridare a voce altrettanto alta che i Nani avevano deliberatamente aizzato il drago contro di loro!

«Pazzi!» disse Bard. «Perché sprecare parole e furore per quegli infelici? Senza dubbio sono stati i primi a perire nel fuoco, prima che Smog venisse da noi.» Allora, proprio mentre stava parlando, nel suo cuore si affacciò il pensiero che il favoloso tesoro della Montagna giaceva senza guardiano o padrone, ed egli tacque. Pensò alle parole del Governatore, e a Dale ricostruita, e alle campane d'oro, se solo avesse potuto trovare gli uomini.

Poi riprese a parlare: «Questo non è il momento per parole irate, Governatore, o per prendere in considerazione importanti progetti di cambiamento. C'è del lavoro da fare. Sono ancora al tuo servizio, sebbene tra un po' è possibile che ripensi alle tue parole e vada a Nord, con chiunque voglia seguirmi.»

Ciò detto, si avviò a grandi passi per aiutare a organizzare gli accampamenti e a prendersi cura dei malati e dei feriti. Ma il Governatore gli lanciò un'occhiata torva alle spalle, mentre se ne andava, e rimase seduto a terra. Pensò molto ma parlò poco, se non per chiamare a gran voce i suoi uomini perché gli portassero del fuoco e del cibo.

E dovunque Bard andasse trovava che tra la gente divampavano come il fuoco discorsi sull'enorme tesoro che adesso era incustodito. Si parlava della ricompensa per tutto il male subito, che presto ne sarebbe derivata, della ricchezza sovrabbondante e superflua con cui comprare ricche cose dal Sud; e questo fu di grande conforto nella loro situazione. Era proprio quello che ci voleva, perché la notte fu lunga e penosa. Solo per pochi fu possibile trovare un riparo (al Governatore ne toccò uno) e c'era poco cibo (perfino il Governatore dovette stringere la cinghia). Molti che erano sfuggiti illesi alla rovina della città, quella notte si ammalarono per il freddo, l'umidità e il dolore, e alcuni morirono; e nei giorni successivi ci furono molte malattie e grande fame.

Nel frattempo Bard assunse il comando, e ordinò quello che voleva, benché sempre in nome del Governatore, ed ebbe il difficile compito di governare il popolo e di dirigere i preparativi per proteggerli e per dar loro una casa. Probabilmente la maggior parte di essi sarebbe morta nell'inverno che stava avvicinandosi a grandi passi, se da qualche parte non fossero giunti gli aiuti. E gli aiuti arrivarono rapidamente, perché Bard aveva subito spedito veloci messaggeri su per il fiume, che si recassero nella foresta a chiedere soccorso al re degli Elfi Silvani, e questi messaggeri lo avevano trovato già sul piede di partenza, benché quello fosse solo il terzo giorno dopo la caduta di Smog.

Il re degli Elfi aveva ricevuto notizie dai suoi messaggeri personali e dagli uccelli che amavano la sua gente, e sapeva già molto di quanto era successo. Veramente enorme era l'emozione fra tutte le creature alate che dimoravano sull'orlo della Desolazione del Drago. L'aria era piena di stormi volteggianti, e i loro messaggeri più veloci volavano di qua e di là per i cieli. Ai margini della foresta si bisbigliava, gridava, cinguettava. Anche molto al di là di Bosco Atro si diffuse la notizia: «Smog è morto!». Le foglie fremettero e orecchie stupefatte si rizzarono. Perfino prima che il re degli Elfi si fosse messo in cammino, la notizia era arrivata a Occidente fino ai boschi di pini delle Montagne Nebbiose; Beorn l'aveva udita nella sua casa di legno, e gli Orchi erano a concilio nelle loro caverne.

«Questa sarà l'ultima volta che sentiamo parlare di Thorin Scudodiquercia, temo» disse il re. «Avrebbe fatto meglio a rimanere mio ospite. È una brutta cosa, però,» egli aggiunse «che non porta bene a nessuno.» Infatti neanche lui aveva dimenticato la leggenda della ricchezza di Thror. Fu così che i messaggeri di Bard lo trovarono intento a marciare con molti soldati e arcieri; e intorno a lui si raggruppavano fitte folle, pensando che stesse nuovamente per scoppiare una guerra quale da molto tempo non se ne era vista l'uguale.

Ma udita la preghiera di Bard, il re ebbe pietà, perché era il signore di un popolo buono e gentile; sicché, cambiando direzione alla sua marcia, che all'inizio era diretta verso la Montagna, si affrettò ora giù per il fiume verso Lago Lungo. Non aveva abbastanza barche o zattere per le sue schiere, che furono quindi costrette a marciare, avanzando perciò più lentamente; ma egli mandò avanti a sé, lungo il fiume, provviste e beni in abbondanza. Tuttavia gli Elfi hanno il piede leggero, e sebbene a quei tempi non fossero molto abituati alle paludi e alle terre insidiose tra la foresta e il lago, abbastanza rapido fu il loro cammino. Solo cinque giorni dopo la morte del drago arrivarono sopra le sponde a contemplare le rovine della città. Fu dato loro un benvenuto caloroso, come ci si può immaginare, e la gente e il Governatore erano pronti a stringere qualsiasi patto per il futuro in cambio del soccorso prestato dal re elfico.

I loro piani furono presto fatti. Assieme alle donne e ai bambini, ai vecchi e agli ammalati, il Governatore rimase indietro; e con lui rimasero alcuni bravi artigiani e molti Elfi ingegnosi; e furono occupatissimi ad abbattere alberi, e a riunire il legname inviato giù dalla foresta. Poi disposero di far sorgere molte capanne vicino alla sponda per difendersi dall'inverno imminente; inoltre, sotto la direzione del Governatore, cominciarono a progettare una nuova città, destinata a essere perfino più bella e più grande di prima, non nello stesso posto, però. Si spostarono a Nord risalendo la sponda; sempre infatti, in seguito, ebbero terrore dell'acqua dove giaceva il drago. Non sarebbe mai più ritornato al suo letto d'oro, giaceva stecchito, freddo come la pietra, rigirato sul fondo delle acque. Per secoli, quando il tempo era bello si poté vedere il suo scheletro enorme in mezzo ai pilastri rovinati della vecchia città. Ma pochi osavano attraversare quel punto maledetto, e nessuno ardì mai di tuffarsi nell'acqua gelida per ricuperare le pietre preziose che si erano staccate dalla sua carcassa putrefatta.

Tutti gli uomini d'arme che erano ancora vigorosi e la maggior parte delle schiere del re degli Elfi, si prepararono a marciare a Nord verso la Montagna. Fu così che, undici giorni dopo la rovina della città, l'avanguardia delle loro schiere passò la strettoia delle rocce all'estremità del lago e giunse nelle Terre Desolate.

 


CAPITOLO XV


Date: 2015-12-17; view: 778


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