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Pianoforte Bill e il mistero degli spaventapasseri

 

Lassù lassù, tra i monti della Tolfa, dove i funghi sono sempre porcini e le castagne non hanno mai il verme; ma qualche volta anche laggiù laggiù, nella Piana delle Lumache, dove le acque del Mignone vagano senza un'idea precisa, si aggira un solitario cow-boy. Egli è Bill l'Oriolese, così soprannominato perché figlio di un allevatore di Oriolo Romano. I tolfetani, per evidenti ragioni, lo chiamano lo Straniero. Ma il suo vero nome di battaglia è Piano Bill.

Sentite nell'aria le celebri note della Canzone della Volpe, dal Microcosmo di Bela Bartók, numero 95, volume terzo, pagina 44? È Bill che la esegue, sul suo fedele pianoforte. Insieme essi scalano le pendici del Monte Tosto, o si accampano là, verso la Ripa Rossa, dove di nuovo vagano alla rinfusa le acque del Mignone. Insieme cavalcano, davanti Bill sul suo cavallo bianco, dietro il pianoforte, sul suo cavallo nero. Pianoforte Bill. Piano Bill. Quando si arresta per la notte il solitario cow-boy, prima ancora di montare la tenda e accendere il fuoco per tener lontani gli sceriffi, scarica il pianoforte e accenna fuggevolmente le Trentatre Variazioni di Beethoven su un valzer di Diabelli.

I contadini della vallata, mentre vanno a letto, si dicono l'un l'altro:

— Ecco Piano Bill che accenna fuggevolmente le Trentatre Variazioni. Ottimo il tocco.

Lo Sceriffo della Tolfa, che da giorni e giorni da la caccia a Piano Bill per ficcarlo dentro, segue l'eco come una pista sonora e tra sé gongola: — Stavolta, Straniero, ti metto il sale sulla coda.

Difatti, mentre il solitario cow-boy gusta un porcino arrostito sulla brace, lo Sceriffo gli si avvicina, gli si avvicina ancora e vieppiù, è pronto a scattare in nome della legge. Ma Bill, che ha l'orecchio assoluto, avverte lo spostamento d'aria e senza neanche voltarsi, gli fa:

— Fermo con le manette, Sceriffo. Qui siamo in territorio di Casale Monterano; non avete alcuna autorità né su di me né sul mio fedele pianoforte.

— Sei furbo, Straniero, — borbotta lo Sceriffo. — Ma non te la caverai con una mazurka di Chopin il giorno che ti metterò il sale sulla coda.

Piano Bill solleva senza sforzo apparente un sopracciglio: — Suono molto di rado Chopin, — dice, — e più che altro gli Studi. Ho notato che le Mazurke fanno piovere. Inoltre vorrei sapere perché mi state dando la caccia con tanto accanimento.

— Sei curioso, Straniero. Ma te lo dirò. Negli ultimi tempi sono scomparsi numerosi spaventapasseri. Più di dodici per l'esattezza. Svariati testimoni d'ambo i sessi ti accusano. Il Comune ha già acquistato la corda per impiccarti. È stato indetto fra i falegnami l'appalto per prepararti la cassa. Si fanno le cose in regola, noi, con i ladri.

Piano Bill riflette. Ha notato anche lui, nei suoi vagabondaggi solitari, una certa rarefazione degli spaventapasseri. Egli è pronto a scommettere sulla propria innocenza; tuttavia non dice nulla. Esegue alcune scene del bosco di Schumann e si corica tranquillamente nel suo sacco a pelo, dopo aver coperto con l'apposito telone di plastica grigia il fedele pianoforte.



Lo Sceriffo si corica non lontano, deciso a catturare l'Oriolese con uno stratagemma quando si sarà ben bene addormentato. Succede però che si addormenta prima lui. Quando lo sente russare, Piano Bill ricarica il pianoforte sul cavallo, rimonta in sella egli stesso e riprende il suo fatale andare, costeggiando il corso sconclusionato del Mignone.

Cammina e cammina, arriva alla fontanella dell'acqua acetosa, sotto la Rota e scende a bere. È un'acqua che facilita la digestione, e chi ben digerisce è alla metà dell'opera. Difatti mentre beve gli viene in mente che proprio nel campo lì vicino è stato rubato uno spaventapasseri e decide di andare a dare un'occhiata o due. Alla seconda occhiata scopre una traccia preziosa, una minuscola scaglia di sapone deodorante Belnik, noto come “l'amico delle fanciulle”.

— Bill, — dice a se stesso il solitario cow-boy, — detto sapone, di detta marca, non può essere appartenuto allo spaventapasseri, bensì a persona, maschile o femminile, che combina l'ascolto della pubblicità radiofonica con l'igiene delle ascelle. Cerca dunque la radiolina, e il ladro sarà tuo.

Egli mette i cavalli al trotto, ripassando mentalmente le Variazioni Goldberg, di Giovanni Sebastiano Bach (specialmente la Quindicesima, Canone alla quinta in moto contrario, Andante, con due bemolli in chiave) ed esplora con attenzione le campagne circostanti, scende nel “canon” delle Terme di Stigliano, fa una puntata alle Scalette, risale tra le rovine di Monterano. Così per giorni e giorni, fermandosi solo per lavarsi i piedi dove il Mignone, o la Lenta, rallentando il loro corso, formano modesti laghetti che le popolazioni rivierasche chiamano giustamente “bottagoni”. Piano Bill si lava i piedi nel Bottagone del Tartaro, nel Bottagone di Tommasino, nel Bottagone del Pecoraro (detto così dal giorno in cui un pastore vi annegò cercando di salvare una pecora: cosa che a Piano Bill, che detiene in incognito il record mondiale dei cinque metri a rana, non sarebbe accaduta). Ed ecco che un bel giorno egli arresta i cavalli con perfetta manovra e si chiede sorridendo: — Sbaglio, o questa musica è la Stella di Novgorod, suonata dall'orchestra di Piero Piccioni? No, non mi sbaglio. Dove c'è la Stella di Novgorod c'è la radiolina; dove c'è la radiolina c'è il sapone; dove c'è il sapone, c'è il ladro.

Seguendo la Stella, Piano Bill scopre l'ingresso di una tomba etrusca abbandonata al suo destino dalla Sovrintendenza alle Belle Arti e Antichità. Egli mette il piede a terra, senza scaricare il fedele pianoforte. Si accosta all'apertura. Origlia. Adocchia. Studia la situazione. Ma non la studia abbastanza bene: gli sfugge lo Sceriffo che se ne sta in agguato su una quercia e, da quel bugiardo che è, finge a meraviglia di essere in un altro posto. Attento, Bill! Niente da fare. Lo Sceriffo lo ha preso al laccio e si permette anche di sogghignare satanicamente: — Non darei un quartino di dollaro né un quartino di bianco secco per il tuo collo, Straniero. Il tuo pianoforte non ti è di molto aiuto in questo momento. Del resto io te l'ho detto più volte: la musica è inutile, e se al posto di Bach fosse nata una capra, sarebbe stato molto meglio per il capraro.

Sentendo insultare il suo musicista preferito, Piano Bill prova una fitta al cuore.

— Ti farò rimangiare queste parole! — egli esclama.

Lo Sceriffo gli ride sulla testa. Poi balza dal ramo direttamente in sella al suo cavallo, come ha visto fare al cinema. Ma dalla tomba etrusca balza fuori un ardito giovinetto, che taglia la corda col suo coltello da boy-scout, munito anche di cavatappi, limetta per le unghie e accendino a gas. Così, quando lo Sceriffo da di sprone e galoppa verso la Tolfa, si tira dietro, si, la corda, ma alla medesima non è più attaccato prigioniero veruno.

Il giovinetto fa entrare Piano Bill, i suoi cavalli e il suo fedele strumento nella tomba etrusca. Lo Sceriffo si accorge che la corda è leggera, si volta; vede solo una mucca che pascola dolcemente e si prenderebbe a calci per la rabbia, ma non ci riesce. Torna sui suoi passi, domanda i documenti alla mucca per essere certo che non si tratti di Piano Bill travestito da bovino allo stato brado. La mucca risponde educatamente: “Muuh! “, che di sicuro vuol dire molte cose, ma lo Sceriffo non ne capisce nemmeno una.

Intanto, nella tomba etrusca, Piano Bill e il suo ardito salvatore si presentano.

— Io sono Bill l'Oriolese.

— Fortunatissimo. Io sono Vincenzino.

Dalle viscere della tomba si avanza un altro giovinetto. — Vincenzino anche lei? — domanda Piano Bill.

— No, io sono Vincenzina, — risponde una voce femminile. Sorpresa! Il giovinetto è una giovinetta! Ma allo sguardo esperto di Piano Bill non sfugge un particolare significativo: Vincenzina indossa una giacca a quadrettoni verde e viola, sdrucita in più punti, che il cow-boy ricorda di aver visto indosso a uno spaventapasseri...

— Lei fa uso del sapone deodorante Belnik? — domanda a bruciapelo.

La fanciulla risponde ingenuamente di sì.

— Quella radiolina è sua? — incalza con astuzia Piano Bill, indicando un apparecchio a transistor dal quale si diffonde un'aria di Čajcovskij trascritta per “putipù” e “scetavajasse”.

— È mia, — confessa Vincenzina. — Senza la radiolina, mi sentirei orfana.

— È dunque lei, — conclude Piano Bill, — la ladra di spaventapasseri.

— Piano con le parole, Straniero, — s'intromette Vincenzino. — Io ti salvo la vita e tu offendi la mia fidanzata! Piuttosto, visto che abbiamo un nemico in comune, perché non c'intendiamo?

Un punto interrogativo dopo l'altro, Piano Bill viene a sapere l'intera storia. Vincenzino e Vincenzina sono segretamente innamorati; ma su Vincenzina ha messo gli occhi lo Sceriffo, dandosi arie da Don Rodrigo; perciò essi si sono dati alla macchia, vivendo di bacche, radici e pesci pescati con le mani fra i ciottoli confusionari del Mignone.


 

 


Vincenzina è fuggita con la minigonna, la radiolina e il sapone deodorante; per fornirle abiti più adatti a una fanciulla perseguitata e fuggiasca, Vincenzino deruba gli spaventapasseri.

— Comprendo, — dice generosamente Piano Bill, — ma perché più di dodici?

— Ogni donna ha il suo punto debole, — gli confida Vincenzino. Lo portano in un'altra parte della tomba, che è una bicamere senza servizi: ecco tutti i vestiti degli spaventapasseri appesi in fila, come in un guardaroba.

— Debbo pure aver qualcosa per cambiarmi, — si giustifica Vincenzina, abbassando le palpebre sugli occhioni. — Non posso mica uscire tutti i giorni e a tutte le ore con lo stesso abito.

— Più che giusto, — riconosce Piano Bill, cuore di cavaliere.

Sul far della sera, dopo aver preso con Vincenzino gli opportuni accordi per smascherare lo Sceriffo, nemico dell'amore e della musica, egli abbandona la tomba, non senza raccomandare a Vincenzina di tener basso il volume del transistor.

— Anzi, — egli aggiunge, — prova per una volta ad ascoltare il Terzo Programma. È all'ordine del giorno un concerto del pianista Emil Ghilels, che eseguirà musiche di Scarlatti, Prokof'ev e Šostakovič: nulla di meglio per irrobustire lo spirito nell'imminenza dello scontro finale.

Cammina e cammina, giunto nelle vicinanze della Tolfa, egli lega i suoi cavalli a un castagno, nasconde il pianoforte dietro una mucca, si traveste da pellegrin che vien da Roma con le scarpe rotte ai piè, attraversa il paese in incognito e infila sotto la porta dello Sceriffo un biglietto che dice: “Ti aspetto domani a mezzogiorno di fuoco per una sfida infernale. Piano Bill”.

Torna sui suoi passi, fa il giro delle campagne per rimettere tutti gli spaventapasseri al loro posto e si ritira nella solitudine a provare sul suo fedele pianoforte L’arte della fuga, di Bach, che nessun pianista al mondo è mai riuscito a suonare da solo per intero.

— C'è odor di polvere, — dicono i contadini, rabbrividendo nei loro letti. — Piano Bill sta di nuovo provando L’arte della fuga. Ottimo, peraltro, il tocco.

A mezzogiorno meno cinque tutti i tolfetani si ritirano nelle loro case, sbarrano porte e finestre e buttano giù la pasta. A mezzogiorno meno tre lo Sceriffo compare a un'estremità della piazza, con una pistola per mano, altre due infilate nella cintura e una quinta nascosta sotto il cappello. A mezzogiorno meno uno, all'altra estremità della stessa piazza (guarda che combinazione!) compaiono l'Oriolese, il suo pianoforte, Vincenzino che tiene per mano Vincenzina e Vincenzina che tiene per mano il transistor. Piano Bill smonta da cavallo, scarica il pianoforte e lo spinge davanti a sé sulle apposite rotelle.

— Non vale! — grida lo Sceriffo. — Nelle sfide infernali non sono ammessi gli scudi!

— Ti faccio osservare, — replica Piano Bill, — che io non porto armi, perché sono contrario al fumo degli spari. Intendo affrontarti col mio pianoforte, da uomo a uomo.

Lo Sceriffo sghignazza, solleva una pistola, sta per premere il grilletto... Ma proprio in quel momento dal pianoforte esce un tema di tale forza che l'indegno rappresentante della legge sente una fitta alla milza, un'altra al piloro, una terza al pomo d'Adamo. Egli si porta le mani al collo, stramazza al suolo, si rotola nella polvere. I tolfetani aprono le finestre in tempo per sentirlo singhiozzare: — Basta! Basta! Confesso! Bach è grande, l'Oriolese è innocente, Vincenzina può sposare il suo primo amore che non si scorda mai!

Questo è quanto voleva sentirgli dire Piano Bill. Il resto s'immagina. I due giovinetti convolano a giuste nozze e vogliono essere accompagnati da Piano Bill.

— Suonerai per noi l'Ave Maria di Schubert, — dice Vincenzina. Una smorfia di dolore si disegna sul volto del cow-boy, tormentato dalle intemperie: — Non posso, — egli mormora, — di Schubert, se proprio volete, vi suono la parte del pianoforte nel Quintetto della Trota... Ma Vincenzina vuole assolutamente l'Ave Maria, perché prima di lei l'hanno avuta la figlia del sindaco, la figlia della maestra, sua sorella Cadetta e sua cugina Rossana.

— Mi dispiace, — mormora con un fil di voce l'onesto cow-boy. — È più forte di me. Scusatemi, amici...

Piano Bill sprona il cavallo e si allontana al galoppo, per tornare alla sua solitudine... Ebbene va, va, solitario cow-boy: che le acque irragionevoli del Mignone ti accompagnino quando suoni Mozart sul tuo fedele pianoforte, e perfino le nuvole attraversano il cielo in punta di piedi per non perdere nemmeno una biscroma di quella musica divina.

 



Date: 2015-12-11; view: 2007


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