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UN SONNO SENZA SOGNI

DACIA MARAINI

Casteldaccia, 12 giugno 1744

Cara Mirta

Da quando si sono visti due casi di peste a Palermo ci siamo trasferiti qui a Casteldaccia. Viviamo nella torre dei tuoi nonni.

Dalla mia finestra che sta proprio al centro della torre vedo la strada bianca che porta verso il mare. Ma non vedo i cavalli attaccati ai grossi cerchi di ferro né vedo le bottegucce di cui mi parlavi tu, quelle rialzate da terra con i sarti accucciati nelle nicchie come dei santi.

La sola cosa che riconosco è l’odore di mosto che sale dalle cantine che si affacciano sul cortile. È un buon odore. Di sera si mescola a quello del rosmarino e dei capperi che crescono lungo i muri della torre. Ieri sono scesa, ho bussato alla grande porta della distilleria e ho chiesto di visitarla. Mi ha aperto un tipo dagli occhi rossi e un ginocchio fasciato. Non voleva farmi passare ma quando gli ho detto che sono una tua amica è diventato subito gentilissimo. Mi ha mostrato le botti piene di vino, la grande tinozza di pietra in cui degli uomini a gambe nude rovesciano montagne di uva sfranta che lì dentro bolle e si macera emanando un odore fortissimo, ubriacante. Mi ha portato sul ballatoio a vedere le larghe bacinelle di terracotta in cui sono tenuti a mollo i collarini da avvolgere attorno ai tappi. E mi ha fatto vedere come funziona la ruota di legno che caccia i sugheri nel collo dei vetri, e come viene impastata la colla per le etichette. Insomma non finiva più di elencarmi le sue meraviglie.

Di Girolamo posso dirti che da qualche giorno è inquieto. Ieri sera ha portato su un vassoio di cassatine morbide come la seta e se le è mangiate tutte in pochi secondi. Quando mi sono voltata per prenderne una, le aveva già finite.

Di giorno va a spasso per le campagne. La sera legge i suoi autori preferiti: Voltaire, Hume, il marchese Tommaso Natale.

Ti scriverò ancora presto. Con affetto grandissimo, tua Annamaria

 

Castanea, 20 giugno 1744

Cara Annamaria

Sono qui da due mesi ma mi sembra di esserci da due anni.

Reclusa in questo paesotto di montagna guardo Messina giù nella valle e mi sembra una bestia che si rattrappisce trattenendo il fiato nell’attesa che il pericolo svanisca.

L’epidemia, dicono, è stata vinta. Ma ancora nessuno può uscire dalla città. Né chi è fuori può rientrarci.

Chissà come stanno la nonna e Beppuzzo nella casa di via dei Notari? Ho ancora negli occhi la faccia della nonna dietro i vetri mentre mi allontanavo con Totuccio nel coupé di Girolamo.

Era la faccia di una morta ma con gli occhi di un’aquila che ha avvistato un serpente.

Pensavo che non l’avrei più vista. E invece è guarita. A furia di mangiare aglio e vino di Cipro. Così dice lei.

Non vado volentieri sulla strada per Messina. Due volte sono stata superata da un carro carico di morti nudi accatastati gli uni sugli altri come conigli spellati. Parlami ancora di Girolamo e di te. L’uomo con gli occhi rossi si chiama Gaetano. È il capocantiniere della distilleria del nonno. Ti abbraccio stretta stretta, tua Mirta.



 

Casteldaccia, 2 luglio 1744

Cara Mirta

Sono contenta che la nonna sia guarita. E Beppuzzo come sta? Qui si raccontano cose terribili della peste a Messina.

L’altro giorno Girolamo ha portato a pranzo un certo Kellogh che viene da Londra e sta visitando la Sicilia per una ricerca sui vulcani. È un tipo piccolo e bruno con le braccia corte e la voce acuta. Non lo diresti affatto un inglese.

Questo Kellogh ha raccontato che è passato per Messina con un caicco che veniva da Reggio Calabria ma che non l’hanno fatto entrare nel porto. Dice che ha visto delle zattere bruciare al largo con sopra montagne di cadaveri. Dice che in città le strade sono deserte e i cani portano in giro dei pezzi di corpi umani che nessuno si cura più di seppellire. Girolamo lo ha ascoltato dimenticandosi di mangiare. Poi è caduto in una malinconia così nera che non riusciva neppure a parlare. Mi sono ricordata della malvasia che mi aveva dato Gaetano e gliel’ho versata nel bicchiere. Deve avergli fatto bene perché dopo un po’ ha ricominciato a parlare e mangiare. La malvasia profumava di mortella e di fieno fresco, certo che tu conosci questa malvasia di Casteldaccia, è davvero squisita.

Scrivimi presto. Tua Annamaria.

 

Castanea, 15 luglio 1744

Cara Annamaria

Grazie per le notizie che mi dai su Girolamo. Totuccio da ieri ha un poco di febbre. E gli si è gonfiato l’inguine. Ho chiamato il cerusico che gli ha cavato una scodella di sangue. Dice che è il freddo dei monti Peloritani che rimescola il sangue ai bambini.

La vita qui a Castanea è monotona. Sono due mesi che non prendo una gramolata di caffè, due mesi che non parlo con una persona che mi interessi. La mattina vado a spasso per i boschi con Totuccio. Poi torno a casa dove la signora Cannarò mi prepara un poco di pasta con i broccoli e un pezzo di coniglio freddo. È diventata molto sgarbata da un po’ di tempo a questa parte. Mi fa continuamente notare che la nonna non le manda i soldi pattuiti, che Totuccio ha sempre fame, che uso troppo sego perché la sera leggo fino a tardi. Scrivimi presto, ti prego, un abbraccio tenerissimo dalla tua Mirta.

 

Casteldaccia, 25 luglio 1744

Cara Mirta

Questa notte Girolamo si è alzato dicendo che aveva caldo e non riusciva a dormire.

Se ne è uscito ed è tornato soltanto stamattina con la bocca che gli puzzava di vino. Dice che è stato dalle suore per aver notizie da Messina. Ma poi dice che l’hanno costretto a pregare tutta la notte. Solo verso l’alba gli hanno portato del riso dolce e una caraffa di vino speziato.

Quel Kellogh è ancora qui. È tornato da una spedizione sull’Etna con una bisaccia piena di pietre gialle e puzzolenti. Le ha allineate lungo la parete della nostra camera da letto. Poi ha cominciato a discutere della fine del mondo assieme a Girolamo.

Come sta Totuccio? Gli è passata la febbre? Ti abbraccio con tanto affetto, tua Annamaria.

 

Castanea, 8 agosto 1744

Cara Annamaria

Totuccio sta meglio. Ma ho preso una grande paura perché gli si erano gonfiate anche le glandole del collo. Il cerusico gli ha cavato ancora un bicchiere di sangue. E lui non respirava quasi più. Ma poi si è ripreso. E ora ha ricominciato a mangiare di gusto.

La nonna non ha ancora mandato i soldi di giugno. E io sto sulle spine. Mi fa controllare dalla signora Cannarò. Mi manda delle lettere velenose in cui dice che la colpa è mia se Girolamo se n’è andato perché sono una donna “senza sale e senza zucchero”.

Beppuzzo sta bene. Ha avuto talmente paura della peste, si è visto morto tante di quelle volte che la malattia, per dispetto, ha finito per schivarlo.

Messina che spio ogni giorno dalla finestra ora sembra recuperare le forze. Da bianca, spettrale che era, sta tornando un poco rosata. Sarà l’effetto del caldo e delle nuvole ma ho proprio l’impressione che riprenda colore. Di notte tornano a splendere le luci sulla marina.

Di carri carichi di cadaveri non ne ho visti più passare. Chissà che ad ottobre non riesca a tornare in città. La casa senza Girolamo mi sembrerà vuota. Ma almeno rivedrò gli amici. Mi chiedo a volte come ho fatto a perderlo. Quando sei arrivata tu era già perso da un pezzo. Non so cos’è che l’ha annoiato. O è il matrimonio in sé che rende noioso l’amore?

Scrivimi presto. Qui la sola cosa che mi dà gioia sono le tue lettere. Un abbraccio tenerissimo dalla tua Mirta.

 

Casteldaccia, 16 agosto 1744

Cara Mirta

Ieri Gaetano mi ha mandato su una caraffa di vino bianco appena fatto. Un vinello fresco dal sapore che salta sulla lingua. Ha il profumo delle vigne qui dietro la torre, sempre arroventate dal sole, con gli spuntoni di erba bruciacchiata in mezzo a cui vengono su ardite certe foglioline di menta e di timo dall’odore acuto e insinuante. Ho versato il vino a Girolamo che l’ha bevuto distrattamente leggendo il suo Leibnitz. Ma dopo un po’ ha cominciato a parlarmi con voce esaltata gridando che “l’universo, Annamaria mia, è costituito da infiniti centri di attività, capisci, tu sei un centro, io sono un altro centro... la scelta è fra una vita che è un sonno torbido senza sogni e una vita limpida e consapevole, ma dolorosa... dipende da come governi il tuo centro...” e mi ha abbracciata come non faceva da settimane.

Le sue giornate, ora lo capisco, sono una corsa precipitosa verso le novità. Ma che novità possono esserci in quel paesino di conciapelli e di vignai? Stasera scenderò da Gaetano per farmi dare ancora quel miracoloso vino nuovo. Vorrei che tu fossi qui con noi Mirta mia. In fondo tutte e due vogliamo il suo bene e il nostro bene dipende da lui, non è così? Con tutto l’affetto tua Annamaria.

 

Castanea, 23 agosto 1744

Cara Annamaria

Conosco il vino di cui parli. In famiglia lo chiamavamo “u nicuzzu” perché è appena nato. È fresco e si manda giù come una spremuta d’uva. Totuccio sta decisamente meglio. I gonfiori sull’inguine gli sono spariti. E io mi sento più tranquilla. La nonna ha mandato i soldi e meno male perché la signora Cannarò ormai aveva ridotto i miei pranzi ad un poco di verdura bollita e un pezzo di pane secco. Ieri, per la gioia di avere quei soldi in mano mi ha versato un poco del suo vino nel bicchiere. Ma non è buono come il nostro di Casteldaccia. Questo sa di zolfo ed è pesante. Se ne bevi più di un bicchiere ti lascia l’amaro in bocca. Un abbraccio tenerissimo, tua Mirta.

 

Casteldaccia, 30 agosto 1744

Cara Mirta

Gaetano si è preoccupato quando sono andata a chiedergli un altro po’ di quel vino nuovo. Ha detto che preferisce darmi un altro vino, “vecchio e savio” ma “profumato come un damerino”. Ha tirato fuori dalla cantina una bottiglia impolverata e me l’ha consegnata con un sorriso complice.

Ora sta meglio con gli occhi che sono sempre orlati di rosso ma non lagrimano più. Sua moglie glieli medica con delle ragnatele fresche e dell’aceto dei sette ladri. Il ginocchio invece continua ad essere fasciato e lo fa anche zoppicare. Credi che sia il caso che chiami il cerusico a nostre spese?

A cena poi abbiamo bevuto il “vecchio savio”. È un vino che sembra andato a male tanto è scolorito e inodore. Ma dopo un poco che l’hai mandato giù senti alzarsi dalla gola un sapore così acuto e dirompente che ti chiedi se per caso non hai ingoiato una boccetta di profumo.

Purtroppo il “vecchio savio” non ha fatto l’effetto del “nicuzzu”. Girolamo l’ha mandato giù e poi ci ha dormito sopra. Di Leibnitz non ha più parlato. Solo ogni tanto ripete fra sé quella frase sul “sonno torpido senza sogni”. Ora ti lascio perché è tardi. Un abbraccio stretto stretto dalla tua Annamaria.

 

Castanea, 12 settembre 1744

Cara Annamaria

Non ti dico la mia sorpresa andando ad aprire la porta ’stamattina alle sette pensando che fosse il contadino col latte mi sono vista davanti Girolamo con la giamberga tutta impolverata, i capelli arruffati, il fiato corto, le mani strette attorno alle redini di un cavallo zuppo di sudore. Spero che tu non sia troppo male. Scrivimi presto. Ti sono vicina, tua Mirta.

 

Casteldaccia, 20 settembre 1744

Cara Mirta

Girolamo se n’è andato senza una parola. Sono contenta che sia venuto da te. Ho chiamato il cerusico per Gaetano. Gli ho dato una purga molto potente. Ma pare che oggi sia peggio.

Ora non mi rimane che fare i bagagli e prendere una carrozza per Palermo.

Gaetano vuole che mi porti dietro una cassetta di vini rossi “fortificanti” per il viaggio. Ma come dirgli che ho troppe cose da portare via? Forse prenderò solo un poco di quel “nicuzzu” che per un momento ha distratto Girolamo dal suo “torbido sonno senza sogni”. Ti scriverò da Palermo. A prestissimo, tua Annamaria.

 


Date: 2016-01-14; view: 739


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