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Il mito della sicurezza

1. L'instabilità della condizione umana e le misure di stabilizzazione

Secondo Nietzsche, "l'uomo è un animale non ancora stabilizzato" perché è privo di istinti, ossia di quelle risposte rigide agli stimoli. Anche l'"istinto sessuale", come ricorda Freud, è così poco "istintivo" che, di fronte a una sollecitazione sessuale, l'uomo, a differenza dell'animale, può concedersi a tutte le perversioni, oppure, nella forma della sublimazione, consegnarsi a una meta non sessuale (composizione poetica, musicale o artistica). A partire da queste considerazioni Freud, nei suoi scritti, abbandonerà la parola "istinto” per sostituirla con "pulsione". L'uomo è libero. La libertà, scaturisce da quella mancanza di codici istintuali che vincolano gli animali e lasciano libero l'uomo nella costruzione e nella conduzione della propria vita, che nessun codice biologico governa. Ma l'instabilità che ne deriva è inquietante, perché non concede la prevedibilità dei comportamenti, la consequenzialità delle azioni, e quindi la creazione di un mondo comune e condiviso. Per questo gli uomini, per difendersi dall'instabilità dovuta alla mancanza di codici istintuali, si sono dati codici prima religiosi, per poter attribuire gli eventi agli dèi e poi alla filosofia che ha fornito codici logici e codici etici. Logici sono quei codici regolati dal principio di non contraddizione, che sottrae ogni cosa all'ambivalenza di significato di cui è carica, per de-terminarla in una significazione univoca e da chiunque condivisa, e dal principio di causalità, per cui gli eventi non appaiono più come accadimenti imprevedibili e perciò angoscianti, ma come effetti previsti una volta che se ne conosce la causa. La logica, ideata in ambito filosofico e applicata in ambito scientifico, è stata la prima forma di stabilizzazione del pensiero e del linguaggio che ha consentito agli uomini di intendersi e di comunicare tra loro. Ma oltre al pensiero e al linguaggio andava stabilizzato anche il comportamento. E la cosa avvenne con quei codici etici rappresentati prima dai tabù che segnalavano le azioni proibite, poi dai precetti e dai comandamenti di cui si nutrono tutte le morali. La sicurezza ha un costo in termini di libertà individuale e quindi anche in termini di felicità, se è vero che ogni restrizione comporta un sacrificio, una limitazione. Fu proprio a partire da queste considerazioni che Freud un giorno disse: "L'uomo civile ha barattato una parte della sua felicità per un po' di sicurezza". Il problema oggi è di vedere se questo baratto è proporzionato. Si è venuto a creare quel cortocircuito per cui la ricchezza chiede sempre maggiore sicurezza e la sicurezza una sempre maggiore limitazione di libertà. Non è un caso che nel declino generale dell'economia europea le industrie più fiorenti sono quelle che costruiscono dispositivi di sicurezza.



2. L'insicurezza generata dal terrorismo

All'instabilità, come tratto tipico della condizione umana, il terrorismo ha aggiunto non un pericolo determinato ma la pericolosità come minaccia non identificabile, e quindi ovunque incombente, che ci attanaglia in quel non-luogo che sono tutti i luoghi, in quell'ora che sono tutte le possibili ore. Siamo soliti chiamare questa condizione "paura", in realtà è "angoscia".

3. L'insicurezza generata dalla globalizzazione

Nelle nostre città circola la paura. Di fronte a questi comportamenti innescati dalla sensazione imprecisa ma diffusa di sentirsi minacciati Giuseppe De Rita parla di un'"emozione che supera la realtà", e, per spiegare questa immagine, fa riferimento alla "molecolarizzazione della società" che, tradotto, significa: siamo più emotivi perché più soli, più liberi e più ricchi. Ne è prova il fatto che l'angoscia per la criminalità è più grande nel Nord-est del benessere che nel Meridione che non ha gli stessi livelli di ricchezza. A questa interpretazione, un'altra: alla base c'è sempre il denaro, ma non nel senso che i ricchi hanno più paura dei poveri di perderlo, ma nel senso che là dove vige solo la legge del denaro, il territorio, che è poi il deposito di quegli usi, costumi e tradizioni che rendono fiduciario il rapporto fra gli uomini, rischia di sfaldarsi e, nonostante il controllo delle forze dell'ordine si teme che tale rapporto non tenga più perché il risvolto negativo della globalizzazione economica è la de-territorializzazione umana. Di questo abbiamo paura. E siccome la globalizzazione concepisce le città come semplici luoghi di scambi, più che come luoghi di abitazione e di radicamento, nasce la percezione che siamo solo all'inizio di quel processo irreversibile che traduce le grandi città in agglomerati di sconosciuti, senza più quel tessuto sociale che creava quel rapporto fiduciario fra gli abitanti del territorio i quali, se anche non si conoscevano, sapevano di sottostare a quella legge non scritta che era l'uso e il costume degli abitanti di quella città. Oggi merci e denaro percorrono le vie del mondo più liberi dell'uomo e, rispetto a essi, l'uomo trova il proprio riconoscimento solo come funzionario delle merci e funzionario del denaro. Ma quando il denaro, legale o illegale che sia, diventa l'unico vincolo di convivenza delle città allora è prevedibile che l'azione criminale, se non gesto quotidiano, rischi di diventare gesto frequente. Le nostre città hanno paura. Non è possibile trovare vere soluzioni se non si individuano le vere cause, che non sono da cercare nella libertà provvisoria concessa ai microcriminali, nel mancato coordinamento delle forze dell'ordine, o nell'afflusso dei disperati senza pace e senza cibo. Queste, se mai, sono solo conseguenze di quella vera causa che è la globalizzazione economica, la quale detta le leggi del mondo a partire da quell'unico valore che è il denaro.

4. Il mondo della vita e il mondo della legalità

Una prima contraddizione in cui tutti ci troviamo è quella tra il mondo della vita e il mondo della legge. Tutti stiamo dalla parte del mondo della vita perché è bello, perché a regolarlo è l'anarchia del desiderio che conosce solo il principio del piacere, dove basta desiderare per avere. Il mondo della vita è variopinto e ricco, ospita tutte le forme d'esistenza che riescono a trovare espressione, ma senza regole è possibile la loro convivenza? Non dimentichiamo che la regola è l'unico argine al sopruso, che tale rimane anche quando si presenta sotto le forme del bisogno, della necessità o addirittura della carità. Oltre alla contraddizione fra mondo della vita e mondo della legge, c'è un'altra contraddizione che la nostra coscienza assopita fatica ad avvertire: la contraddizione tra il mondo delle idee e le nostre pratiche di vita. Si ha la sensazione di essere entrati davvero nella modernità, nella società complessa, nella globalizzazione, che non è solo internet o movimento di capitali, ma incrocio di lingue, mescolanze di odori, facce diverse da quelle della pubblicità. 2 contraddizioni rimosse dalle nostre coscienze 2 limiti che il mondo della legge pone opportunamente al mondo della vita per renderla praticabile, e che le pratiche di vita pongono al mondo delle nostre idee, che sono tanto più filantropiche e generose quanto più siamo certi che nessuno ce ne chiede l'attuazione. Più delle misure di sicurezza, che inevitabilmente limitano la nostra libertà, non è forse meglio praticare, attraverso la legalità, la difesa del territorio con la specificità dei suoi usi, costumi e rapporti fiduciari, contro il processo di de-territorializzazione che diventa irreversibile quando il denaro, e solo il denaro, assurge a unico generatore simbolico di comportamenti, mentalità, relazione fra gli uomini? E tutto ciò nel tentativo di consentire a chi viene dopo di noi di riconoscersi ancora nella specificità di una città, e non nell'anonimato di un amorfo agglomerato umano, dove non solo gli immigrati, ma gli stessi abitanti della città faticheranno a reperire la loro identità e la loro appartenenza.

5. Il mondo della vita e il mondo della tecnica

Oggi, viviamo in un'epoca che chiamiamo età della tecnica, dove l'uomo sembra sempre più identificato come funzionario dell'apparato a cui appartiene o, per dirla con Heidegger, sempre più "im-piegato". L'efficienza e la produttività, nonché l'egemonia della ragione strumentale visualizzano le persone alla stregua di qualsiasi mezzo utile a raggiungere gli scopi prefissati, e perciò se ne parla come di risorse: "risorse umane". A ciascuno verrà assegnato il proprio "mansionario", cioè una serie di da eseguire, dove gli unici valori riconosciuti sono la funzionalità e l'efficienza, per garantire i quali è prevista la sostituibilità della persona, come si sostituisce l'ingranaggio di una macchina, perché, è ormai la macchina il modello a cui deve adeguarsi l'uomo. Per garantirsi funzionalità ed efficienza, qualsiasi apparato tecnico mal sopporta quegli "inconvenienti umani" (stanchezza, depressione, amori) e in generale tutti quegli aspetti del mondo della vita che confliggono con la regolarità, l'impersonalità e l'efficienza di un perfetto funzionamento sotto la quale ciò che si nasconde è la riduzione dell'uomo alla sua funzione. In Occidente, i comportamenti morali vengono disattesi, perché una regola più ferrea della regola morale è subentrata a stabilizzare le umane condotte. Ad annullare le differenze residue, in cui gli uomini possono reperire un briciolo della loro individualità, provvede la tecnica della comunicazione che, con la radio, la tv, internet, produce quel mondo omogeneo e quei comportamenti all'insegna del conformismo per cui, come già avvertiva Nietzsche, "quando tutti vogliono le stesse cose, tutti sono uguali, chi pensa diversamente va da sé in manicomio". E l'idea di poter controllare tutto: vita e morte, salute e malattia, vulnerabilità e invulnerabilità, l'idea di poter anticipare gli eventi, sondare le preferenze, scomporre la vita emotiva nelle sue componenti elementari, per poterle meglio manipolare, è un puro piacere di potere, di cui la tecno-scienza pare si sia innamorata e, nella sua euforia vertiginosa, non abbia timore di utilizzare anche l'uomo come materia prima, anzi, come dice Heidegger, "come la più importante materia prima”.

6. Il prezzo della civiltà e l'assedio dell'anima

Dire "memoria" oggi vuol dire consegnare il corpo alla tecnica informatica che, oltre alle impronte digitali, può rilevare quelle retiniche, vocali e persino olfattive. L'uomo si è distinto dall'animale per la capacità di accrescere le possibilità del suo corpo con la strumentazione tecnica, a cui ha conferito prima il potenziamento della vista, dell'udito, della deambulazione, poi la riduzione dell'estensione dello spazio e del tempo, quindi il potenziamento della memoria. Oggi, con le possibilità dell'informatica, il corpo sta consegnando alla tecnica anche il potere di controllo che riduce la nostra fisicità a superficie di scrittura, dove è possibile leggere la nostra identità ormai indifesa. Non solo gli stili di vita, non solo il nostro modo di lavorare e di vivere sono condizionati dalla tecnica, ma anche la nostra identità. In questo capovolgimento del rapporto tra corpo e tecnica, il pericolo non sta solo nella completa pubblicizzazione della nostra intimità più segreta, ma nell'interrogativo, che Anders si pone là dove si chiede se, a volte, "il problema non è più: che cosa possiamo fare noi con la tecnica, ma che cosa la tecnica può fare di noi". Se nei primi anni del 900 Freud poteva dire: "L'uomo civile ha barattato una parte della sua felicità per un po' di sicurezza", un secolo dopo, di felicità se ne vede in giro poca, mentre le leggi, le norme e i sistemi di sicurezza sono aumentati a dismisura. Risultato: la nostra libertà decresce. Ma nessuno si lamenta, perché per la sicurezza siamo disposti a rinunciare anche ai nostri margini di libertà. E questo perché siamo la popolazione più debole della terra, perché siamo la più ricca e la più tecnicamente assistita. La ricchezza non è solo il possesso e la disponibilità dei beni, ma anche la capacità di mantenere questo possesso e questa disponibilità. Per farlo occorrono leggi. Il nostro apparato tecnico è la difesa più potente che abbiamo nei confronti della crescente ostilità del resto del mondo. Tra i sistemi generalizzati di controllo, a cui ci sottoponiamo per garantirci la sicurezza collettiva, e i sistemi individuali di condotte che ci imponiamo per raggiungere i livelli standard di benessere e di presentabilità, abbiamo non solo drasticamente ridotto gli spazi di libertà, sia collettivi sia individuali, ma anche incrementato il tasso d'ansia che, per essere placata, invoca regole più certe, norme più restrittive, condotte ancor più regolate.


Date: 2015-12-24; view: 640


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