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Il mito della tecnica

1. La tecnica come condizione dell'esistenza umana

Consideriamo la tecnica come strumento a disposizione dell'uomo, quando invece la tecnica oggi è diventata il vero soggetto della storia, rispetto al quale l'uomo è ridotto a funzionario dei suoi apparati. Al loro interno, infatti, deve compiere le azioni descritte e prescritte che compongono il suo "mansionario", mentre la sua persona è messa tra parentesi a favore della sua funzionalità. Dunque l'"umanismo", che prevede la centralità dell'uomo, può considerarsi concluso, e le categorie umanistiche, non sono più idonee per interpretare il tempo dell'età della tecnica. Diciamo questo pur riconoscendo che la tecnica può essere considerata come l'essenza stessa dell'uomo, perché l'uomo è l'unico vivente privo di istinti. La definizione tradizionale che lo definisce "animale ragionevole" è impropria, perché all'uomo manca quella prima caratteristica fondamentale dell'animalità che è l'istinto. L'istinto, infatti, è una risposta rigida a uno stimolo. Anche Freud parla di pulsioneà spinta generica verso qualcosa. Per questo l'uomo non va pensato come animale con istinti, ma come vivente che, senza istinti, può sopravvivere solo se diventa tecnico. La componente tecnica è dunque la dimensione con la quale l'uomo rimedia alla sua carenza istintuale, e come tale essa rappresenta anche il luogo della sua libertà. L'uomo è libero perché senza istinti. L'uomo come ricorda Gehlen "è un essere che per natura è così problematicamente dotato, da dover fare di una natura trasformata il punto di appoggio della sua propria, dubbia, capacità di vivere". Tecnica come condizione imprescindibile dell'esistenza umana, come ciò senza il quale l'uomo non avrebbe potuto inaugurare la sua storia. La teoria per cui gli uomini non hanno istinti è enunciata per la prima volta da Platone nel Protagora, dove racconta che Zeus incaricò Epimeteo di assegnare a tutti i viventi delle qualità, che erano poi gli istinti. Giunto all'uomo, Epimeteo più non ne disponeva da distribuire, allora Zeus, impietositosi della sorte umana, incaricò suo fratello Prometeo, affinché desse agli uomini la propria virtù: il pre-vedere. L'uomo non ha bisogno dello stimolo della fame per procurarsi il cibo, perché prevede che, anche quando sarà sazio, arriverà il tempo in cui necessiterà di cibo. Questa è la virtù dell'uomo: la capacità di previsione.

2. Il mondo greco e il primato della natura sulla tecnica

Al contrario, quando nella città sorgevano dei problemi, nella civiltà greca, venivano rappresentati nel teatro, ovvero all'interno di una dimensione sacrale. Nella tragedia di Eschilo, Prometeo, amico degli uomini, dona loro il fuoco con cui possono trasformare i metalli e produrre strumenti. Dà loro la capacità del calcolo, della previsione e, in qualche modo, i princìpi dell'operatività tecnica. A questo punto, però, Zeus diventa timoroso che gli uomini, grazie alla tecnica, possano diventare più potenti degli dèià conflitto tra religione e scienza. Con la scienza e con la tecnica, infatti, è possibile ottenere ciò per cui un tempo bisognava pregare gli dèi. Allora Zeus punisce Prometeo: lo lega a una roccia con un'aquila che gli rode il fegato, che si riforma continuamente per garantire l'eternità del supplizio. I miti devono essere considerati con attenzione, perché non sono racconti, favole, pure invenzioni di fantasia. Nei miti c'è scienza, c'è sapere. Ad esempio, nell'ipotesi che il fegato si riformi c'era tutta la competenza dei medici della scuola di Kos, i quali avevano già individuato la caratteristica fondamentale del fegato di rigenerarsi continuamente. Vi erano dunque delle nozioni scientifiche alla base del mito. Procedendo nel racconto di Eschilo, a un certo punto il Coro chiede a Prometeo se sia più forte la tecnica oppure la natura. Per i Greci, la natura è quel Tutto immutabile governato dalla necessità. Secondo la mentalità greca gli uomini devono contemplare la natura e cercare di catturarne le costanti. Sulla base di queste costanti devono costruire l'ordine della città e l'ordine dell'anima. La natura è dunque l'orizzonte di riferimento sia per la politica sia per il buon governo dell'anima. La tecnica all’epoca dei Greci era molto modesta.



3. L'età moderna e il primato della scienza e della tecnica sulla natura

Se ora passiamo dal mondo greco all'epoca moderna, constatiamo che, dal punto di vista tecnico, non sono intervenute grosse novità. Nel 1600, fa la sua comparsa quello sguardo nuovo inaugurato dalla scienza moderna. I nomi di riferimento: Bacone, Galileo, Cartesio, per i quali non bisogna più procedere come i Greci, che si limitavano a contemplare la natura nel tentativo di catturarne le leggi. Occorre un'operazione inversa: formuliamo delle ipotesi sulla natura, sottoponiamo la natura a esperimento e, se la natura conferma l'esperimento, assumiamo le nostre ipotesi come leggi di natura. Questo è il metodo scientifico, il fondamento della scienza moderna. La natura è ora l'imputato che risponde alle domande degli uomini e, se conferma le ipotesi che questi hanno formulato, tali ipotesi vengono assunte come "leggi di natura". È proprio la scienza moderna che consegna all'uomo il primato sull'ordine naturale. Collegamento con la religione: la scienza, riducendo la fatica del lavoro e l'atrocità del dolore, concorre alla redenzione. E questo è proprio lo scenario teologico entro il quale nasce la scienza in senso moderno.

4. Il capovolgimento dei mezzi in fini

2 secoli dopo la nascita della scienza moderna, 2 riflessioni di Hegel si rivelano decisive per lo strutturarsi dell'età della tecnica: 1. Nel futuro la ricchezza non sarà più determinata dai "beni", ma dagli "strumenti" perché i beni si consumano, mentre gli strumenti sono in grado di costruire nuovi "beni". 2. Quando un fenomeno cresce da un punto di vista quantitativo non si ha solo un aumento in ordine alla quantità, ma si ha anche una variazione qualitativa radicale. Esempio semplice: se mi tolgo un capello sono uno che ha i capelli, se mi tolgo 2 capelli sono uno che ha i capelli, se mi tolgo tutti i capelli sono calvo. C’è un cambiamento qualitativo per il semplice incremento quantitativo di un gesto. Marx cattura questo teorema di Hegel e lo applica all'economia: se il denaro aumenta quantitativamente fino a diventare la condizione universale per soddisfare qualsiasi bisogno e per produrre qualsiasi bene, allora il denaro non è più un mezzo, ma il principale fine, per ottenere il quale si vedrà se soddisfare i bisogni e in che misura produrre i beni. In questo modo il denaro da mezzo diventa fine, e quelli che erano fini diventano strumenti per realizzare quel fine (il denaro) che tutti continuano a considerare solo un mezzo. L'argomento marxiano può essere applicato anche alla tecnica. Se la tecnica è la condizione universale per realizzare qualsiasi scopo, la tecnica non è più un mezzo, ma è il primo fine da raggiungere per poter poi perseguire tutti gli altri scopi che, in assenza del dispositivo tecnico, resterebbero sogni. Allo stesso modo, se la tecnica diventa ciò senza cui nessun fine è realizzabile, allora diventa, a prescindere dagli scopi, ciò che tutti vogliono, perché senza la tecnica anche quelli che si presume siano i veri fini non possono essere raggiunti. Tutto ciò ha delle conseguenze enormi sul piano antropologico: politica ed etica.

5. Il tramonto della politica nell'età della tecnica

La politica è stata sostanzialmente inventata da Platone e prima della politica c'era la tirannide. Oggi la politica non sembra essere più il luogo della decisione, perché, per decidere, deve guardare all'economia, e l'economia, a sua volta, per decidere guarda alle disponibilità e alle risorse tecnologiche. Oggi il rapporto tra tecnica e politica, che per Platone doveva sovrintendere le tecniche, si è capovolto. Oggi la tecnica dà potere a tutti coloro che operano in un apparato. Siamo quindi di fronte a un potere nuovo, perché la tecnica prevede una coordinazione dei suoi sub-apparati, affinché tutto possa funzionare con una regolarità e una coordinazione assolute. Basta infatti l'interruzione di un piccolo segmento perché si blocchi tutto l'apparato. In questo modo la tecnica conferisce potere a tutti coloro che operano nell'apparato, un potere che gli americani hanno identificato nella denominazione no making power, il potere di non fare. Inoltre la tecnica potrebbe determinare la fine della democrazia infatti, ci mette di fronte a problemi sui quali siamo chiamati a pronunciarci senza alcuna competenza.

6. L'impotenza dell'etica nell'età della tecnica

Se dalla politica passiamo all'etica, constatiamo che la tecnica pone dei problemi che esigono decisioni "morali". In Occidente abbiamo 3 tipi di morale: a) morale cristiana, una morale dell'intenzione: per giudicare una persona occorre considerare l'intenzione che ha promosso la sua azione. b) Morale laica, che potremmo riassumere nella proposizione di Kant: "L'uomo va trattato sempre come un fine, mai come un mezzo". Anche questa è una morale dell'intenzione, però Kant la costruisce prescindendo da qualsiasi riferimento teologico, con strumenti solo razionali. È una morale che non si è mai potuta realizzare, in quanto l'uomo è giustificato nella sua esistenza solo in quanto funzionario di un apparato o produttore di qualcosa. c) Agli inizi del secolo scorso Max Weber ha teorizzato una morale che è stata poi riproposta negli anni 80 da Hans Jonas: morale della responsabilità che contrappone alla morale dell'intenzione perché, dice Weber, noi non dobbiamo guardare le intenzioni con cui gli uomini compiono le azioni, bensì gli effetti delle azioni stesse. Ma a aggiunge: "finché gli effetti sono prevedibili". Ebbene, è caratteristica propria della tecnica produrre effetti imprevedibili. L'economia, che in termini di razionalità era la forma più alta prima dell'avvento della tecnica, ha poi ceduto alla tecnica il primato, perché l'economia soffre ancora di una passione umana: la passione per il denaro, che è un elemento irrazionale dal punto di vista della perfetta funzionalità e ottimizzazione del rapporto mezzo-fine. Possiamo allora dire che l'economia, proprio perché viziata da una passione umana, è ancora una scienza "umanistica", per quanto continui a condizionare quella competenza non umanistica che è la tecnica.

7. La mutazione antropologica nell'età della tecnica

La 2° guerra mondiale può essere considerata la soglia d'inizio dell'età della tecnica. Non perché prima non ci fosse una società tecnologica. La tecnica, infatti, comincia a dispiegare la sua potenza nell'800 con la rivoluzione industriale e poi con le necessità belliche. Tuttavia, durante la 2°gm si assiste a uno sviluppo tecnologico che determina una mutazione antropologica senza precedenti. Secondo Anders, ebreo perseguitato, nell'epoca nazista si è determinato un cambiamento radicale di mentalità che a suo parere è un fatto "più tragico dei sei milioni di ebrei trucidati". Anders si riferisce al passaggio dall'agire al puro e semplice fare: io "agisco" quando compio delle azioni in vista di uno scopo, mentre "faccio" quando eseguo bene il mio mansionario, prescindendo dagli scopi finali che non conosco o, ipotizzando che li conosca, non ne sono comunque responsabile.

8. La modificazione del nostro modo di pensare e di sentire

Oggi, disponiamo solo di quel tipo di pensiero che Heidegger chiama "calcolante”, in grado solo di far di conto, di rispondere al richiamo dell'utile e del vantaggioso, di operare in quel breve tratto che connette i mezzi ai fini in modo da ottimizzarne l'impiego al minor costo possibile. Anche la bellezza rientra in questo meccanismo, perché persino l'opera d'arte diventa tale quando entra nel mercato, che è calcolo, valutazione. Sembra che anche l'arte non abbia valore in sé, se a sua volta non entra nel mercato. In questo modo non sappiamo più cos'è "il bello", cos'è "il buono"ecc. In questo modo la tecnica modifica il nostro modo di pensare, perché le macchine, anche se ideate dagli uomini, ormai contengono un'oggettivazione dell'intelligenza umana superiore alla competenza dei singoli individui. La memoria di un pc è superiore alla nostra. E anche se si tratta di una memoria "stupida", frequentandola, essa modifica il nostro modo di pensare, traducendolo da "problematico", come sempre è stato, in "binario": si-no. A modificarci non è il buono o il cattivo uso, ma, come ricorda Anders,"il solo fatto che ne facciamo uso". Il suo utilizzo ci modifica, è sufficiente la prolungata esposizione. Anche il nostro modo di sentire è modificato, constatiamo che la tecnica non è più un mezzo a disposizione dell'uomo, ma è l'ambiente, all'interno del quale anche l'uomo subisce una modificazione, per cui la tecnica può segnare quel punto nuovo nella storia, e forse irreversibile, dove la domanda non è più: "Che cosa possiamo fare noi con la tecnica", ma "Che cosa la tecnica può fare di noi".


Date: 2015-12-24; view: 889


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