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Il mito dell'amore materno

I MITI DEL NOSTRO TEMPO

A differenza delle idee che pensiamo, i miti sono idee che ci possiedono e ci governano con mezzi non logici, ma psicologici, e quindi radicati in noi e questo perché i miti sono idee semplici che noi abbiamo mitizzato perché comode, facilitano il giudizio, rassicurano, togliendo ogni dubbio alla nostra visione del mondo che, non più sollecitata dall'inquietudine delle domande, ci tranquillizza. Ma dobbiamo risvegliarci: molte sofferenze, disturbi, malesseri nascono dalle idee che, comodamente accovacciate nella pigrizia del nostro pensiero, non ci consentono di comprendere il mondo in cui viviamo, e soprattutto i suoi rapidi cambiamenti, di cui i media ogni giorno ci informano senza darci un giudizio critico che ci permetta di intravedere quali nuove idee dobbiamo escogitare per capirlo. Ed essere al mondo senza capire in che mondo siamo, perché disponiamo solo di idee elementari a cui restiamo arroccati per non smarrirci, ci fa estraniare dal mondo, o essere al mondo solo come spettatori straniti, distratti, disinteressati. Per recuperare la nostra presenza attiva e partecipe al mondo dobbiamo rivisitare i nostri miti, individuali e collettivi e sottoporli a critica, perché i nostri problemi sono dentro la nostra vita e la nostra vita vuole che si curino le idee con cui la interpretiamo. Le idee che finora hanno regolato la nostra vita forse non sono più idonee ad accompagnarci nella comprensione di un mondo che si trasforma anche senza la nostra collaborazione.

MITI INDIVIDUALI

Il mito dell'amore materno

L'amore materno non è mai solo amore. Ogni madre è attraversata dall'amore per il figlio, ma anche dal rifiuto. A volte il rifiuto ha sopravvento sull'amore (casi di infanticidio). La ricorrenza di simili eventi di cronaca ci fa chiedere è cambiato qualcosa nel rapporto madri/figli? In parte no e in parte sì. I raptus sono comode invenzioni per tranquillizzarci e far tacere il timore di essere anche noi dei potenziali omicidi. La depressione invece esiste, ma di solito non porta all'omicidio, se mai al suicidio.

1. L'ambivalenza dell'amore materno come effetto della doppia soggettività

Caratteristica del sentimento materno è l’ambivalenza, che noi non riconosciamo. La nostra cultura semplicemente distingue bene/male, come se i 2 non si fossero mai incontrati e uniti. In ogni condanna che rivolgiamo agli altri (madri che uccidono i figli) c'è un volgare riflusso di innocenza per noi stessi: con la condanna vogliamo soprattutto evitare di vedere in noi la stessa ambivalenza che da sempre accompagna i sentimenti per i figli, d'amore si, ma anche di fastidio/odio. E invece così non è, soprattutto per la donna che, con la possibilità di generare e di abortire, sente di essere depositaria del potere assoluto: il potere di vita/morte. L'amore, che per Norman Brown è "toglimento di morte (amors)" confina con la morte, e sottilissimo è il margine. Nella donna, si dibattono 2 soggettività opposte perché una vive a spese dell'altra: una soggettività che dice "io" e una che fa sentire la donna "depositaria della specie". Il conflitto tra queste 2 è alla base dell'amore materno, ma anche dell'odio, perché il figlio vive e si nutre del sacrificio della madre: sacrificio del suo tempo, corpo, spazio, sonno ecc. Questa ambivalenza del sentimento materno generato dalla doppia soggettività che è in ciascuno di noi va riconosciuta e accettata come cosa naturale e non con il senso di colpa. Da Medea, che nella tragedia di Euripide uccide i figli esercitando il potere di vita e di morte che ogni madre sente dentro di sé, alle madri di oggi, nulla è cambiato, perché questa è la natura del sentimento materno.



2. La solitudine della condizione materna nell'isolamento del nucleo familiare

Rispetto alle generazioni che ci hanno preceduto, la condizione della madre è mutata in corrispondenza alle trasformazioni della famiglia, che oggi ha forma troppo nucleare, troppo isolata, troppo racchiusa nelle pareti di casa che, divenute più spesse, la recingono, creando ambiente adatto alla disperazione. Tra quelle pareti ogni problema si ingigantisce perché non c'è un altro punto di vista, un termine di confronto che possa relativizzare il problema o che consenta di diluirlo nella comunicazione, attutirlo nell'aiuto e nel confronto che dagli altri può venire. Il nucleo familiare è diventato oggi un nucleo asociale. Quando si esce di casa, si indossa una maschera, il cui compito è di non lasciar trasparire proprio nulla dei drammi, delle gioie o dei dolori che si vivono in quelle mura. La tutela della privacy se da un lato è il fondamento della nostra libertà personale, è anche un fattore di disinteressamento reciproco e quindi una macchina che crea solitudine e ingigantimento dei problemi. L'isolamento riduce i contatti sociali e quindi potenzia gli oggetti d'amore che per la donna sono i figli e il marito. Oggi l'uomo ha perso il potere che una volta aveva come autorità riconosciuta in famiglia. Euripide: "Uccidere le tue creature: ne avrai il coraggio?" chiede il Coro a Medea e Medea risponde: "È il modo più sicuro per spezzare il cuore di mio marito". Oggi la separazione azione/emozione, questa repressione delle emozioni, perché le nostre azioni non ne risentano, è il miglior terreno di cultura perché simili gesti si creino. Non sappiamo più cosa accade in noi, e le nostre azioni si compiono senza di noi. Poi ci saranno le perizie psichiatriche che parleranno di depressione, di raptus improvviso e accrediteranno questa tesi con tutte quelle parole che stanno al posto di: isolamento della famiglia e latitanza del sociale. Bisogna considerare che, se l'uomo è un animale sociale, quando gli si toglie la società, quella vera, sostituita con quella televisiva e poi con quella virtuale, un animale del genere può impazzire.


Date: 2015-12-24; view: 531


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