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UNA VILLA NEI PRESSI DI NEW YORK 15 page

«Robinson, hai portato su tutte queste cose?» chiese Karl.

«E chi altri?» disse Robinson. «C'era anche un altro aiutante, uno stupido poltrone, ma ho dovuto fare quasi tutto da solo.

Brunelda stava sotto vicino al furgone, Delamarche di sopra stabiliva dove mettere le cose, e io correvo sempre su e giù. È durato due giorni, sono molti non è vero? Ma tu non sai quante cose ci sono nella stanza, tutti gli armadi sono pieni e dietro gli armadi la roba è accatastata fino al soffitto. Se avessimo preso un paio di uomini per il trasporto, tutto sarebbe finito abbastanza in fretta, ma Brunelda non voleva fidarsi di nessuno tranne me. Certo, è stato bello da parte sua, ma allora mi sono rovinato la salute per tutta la vita, e cos'altro avevo se non la mia salute? Al minimo sforzo sento fitte da tutte le parti. Credi che quei ragazzi all'albergo - rospi che non sono altro - me le avrebbero suonate, se fossi stato bene? Ma per quanto stia male, a Delamarche e a Brunelda non dico una parola, lavorerò finché potrò, e quando non potrò più mi sdraierò e morirò, e soltanto allora, troppo tardi, capiranno che ero malato e tuttavia ho continuato a lavorare, a lavorare per loro fino alla morte. Ah, Rossmann», disse infine asciugandosi gli occhi sulla manica della camicia di Karl. E un attimo dopo aggiunse: «Non hai freddo così in camicia?».

«Via, Robinson», disse Karl, «tu piangi sempre. Non credo che tu sia così malato. Hai un ottimo aspetto, ma dato che stai sempre sul balcone, ti sei messo a immaginare troppe cose. Può darsi che a volte tu abbia una fitta al petto, ce l'ho anch'io, ce l'hanno tutti. Se tutti piangessero per ogni sciocchezza come te, i balconi sarebbero pieni di gente che piange».

«So quello che dico», replicò Robinson asciugandosi gli occhi con un lembo della coperta. «Una volta mentre riportavo le stoviglie qui accanto all'affittacamere, che cucinava anche per noi, lo studente che abita da lei mi ha detto: "Senta, Robinson, ma lei non è malato?". Siccome mi hanno proibito di parlare con la gente, ho consegnato le stoviglie e stavo per andarmene, ma lui mi si è avvicinato dicendo: "Senta, cerchi di non esagerare, lei è malato". "Va bene, e allora che cosa devo fare?" ho chiesto. "Questo è affar suo!", ha detto, e mi ha girato le spalle. Gli altri che erano seduti a tavola hanno riso, perché qui abbiamo nemici dappertutto, e così ho preferito andarmene».

«Quindi credi a chi ti prende in giro, e non credi a chi è ben disposto verso di te».

«Ma saprò pure come mi sento», replicò Robinson, ricominciando subito a piangere.

«Invece non sai che cosa ti manca, dovresti cercarti un lavoro come si deve, anziché star qui a fare il servo di Delamarche. Perché a giudicare dai tuoi racconti e da ciò che ho visto con i miei occhi, questo non è un lavoro, ma una schiavitù. Nessuno potrebbe sopportarlo, lo credo bene. Ma dato che sei amico di Delamarche, credi di non poterlo lasciare, ed è un errore, perché se non capisce che vita miserabile conduci, tu non hai più nessun obbligo verso di lui».



«Dunque, Rossmann, credi davvero che mi riprenderei se lasciassi questo servizio?».

«Certo», disse Karl.

«Sei sicuro?», chiese ancora Robinson.

«Sicurissimo», disse Karl sorridendo.

«Allora potrei cominciare subito a riprendermi», disse Robinson guardando Karl.

«E come?», chiese questi.

«Beh, perché tu prenderai il mio posto», rispose Robinson.

«Ma chi te l'ha detto?» chiese Karl.

«È un vecchio progetto. Se ne parla già da qualche giorno. Tutto è cominciato quando sono stato rimproverato da Brunelda di non tenere la casa abbastanza pulita. Naturalmente ho promesso di mettere subito tutto in ordine. Però è molto difficile. Nelle mie condizioni non posso ad esempio infilarmi in tutti gli angoli per togliere la polvere, già in mezzo alla stanza è impossibile muoversi, e com'è possibile tra i mobili e le provviste? Volendo pulire a fondo tutto bisognerebbe spostare i mobili, e come faccio da solo? Inoltre bisognerebbe riuscirci senza far rumore, perché Brunelda, che non lascia quasi mai la stanza, non vuol essere disturbata. Quindi io ho promesso di pulire bene tutto, ma in realtà non l'ho fatto. Quando Brunelda se n'è accorta, ha detto a Delamarche che così non si poteva continuare e che bisognava prendere un aiuto. "Non voglio, Delamarche", ha detto, "che tu possa un giorno rimproverarmi di non aver diretto bene la casa. Da sola non posso farcela, lo vedi anche tu, e Robinson non basta; all'inizio era sempre pieno di energia e aveva occhi per tutto, ma adesso è sempre stanco e per lo più se ne sta in un angolo. E una stanza con tanti oggetti come la nostra non si tiene in ordine da sé". Allora Delamarche ha cominciato a riflettere sul da farsi, perché naturalmente per una casa come questa non si può prendere una persona qualsiasi, neanche in prova, tutti hanno già gli occhi addosso a noi. Ma dato che ti sono amico e ho saputo da Renell come dovevi faticare all'albergo, ho proposto di prendere te. Delamarche si è trovato subito d'accordo, sebbene in passato tu sia stato così impertinente con lui, e naturalmente a me ha fatto molto piacere poterti essere così utile. Questo posto sembra fatto per te, tu sei giovane, robusto e capace, mentre io non valgo più niente. Però devo dirti che non sei ancora stato accettato; se non piaci a Brunelda, non c'è niente da fare. Quindi devi sforzarti di renderti gradito, e al resto penserò io».

«E se io qui divento il servitore, tu che cosa farai?» chiese Karl; si sentiva talmente libero, lo spavento che gli avevano causato all'inizio le parole di Robinson era passato. Dunque Delamarche non aveva intenzioni malvagie nei suoi confronti, voleva soltanto fare di lui un servitore - se avesse avuto intenzioni malvagie, quel chiacchierone di Robinson l'avrebbe rivelato di certo - ma se le cose stavano così, Karl confidava di potersene andare quella notte stessa. Nessuno può essere costretto ad accettare un posto. E mentre Karl prima, dopo il suo licenziamento dall'albergo, si era preoccupato di trovare un posto decente e possibilmente non miserabile per non morire di fame, ora qualsiasi altro posto gli sembrava buono rispetto a quello che lo attendeva lì, che gli era odioso; a quel posto avrebbe preferito persino la disoccupazione e la miseria. Ma non cercò neppure di farlo capire a Robinson, soprattutto perché questi, tutto preso dalla speranza di poter essere sollevato da Karl, non era in grado di giudicare.

«Dunque», disse Robinson accompagnando il discorso con ampi gesti delle mani (aveva appoggiato i gomiti alla ringhiera), «per prima cosa ti spiegherò tutto e ti mostrerò le provviste. Tu sei istruito e senz'altro avrai anche una bella calligrafia, quindi potresti fare subito un elenco di tutte le cose che abbiamo qui, come Brunelda desidera da tempo. Se domattina il tempo è bello, pregheremo Brunelda di sedersi qui sul balcone, così potremo lavorare tranquillamente nella stanza senza disturbarla. Perché soprattutto a questo, Rossmann, devi stare attento, a non disturbare Brunelda. Sente tutto, probabilmente ha orecchie così sensibili perché è una cantante. Ad esempio, se sposti la botte dell'acquavite che c'è dietro all'armadio, fa rumore, perché è pesante ed è circondata da tante altre cose, sicché non puoi farla rotolare fuori in una volta sola. Metti che Brunelda sia tranquillamente sdraiata sul divano ad acchiappare le mosche, che le danno molto fastidio: tu credi che lei non si curi di te e continui a far rotolare la tua botte. Lei è sempre sdraiata, tranquilla. Ma nel momento in cui meno te l'aspetti e in cui fai meno rumore, d'un tratto si mette a sedere dritta e comincia a battere sul divano con tutte due le mani, tanto che non la si vede più dalla polvere - da quando siamo qui, non ho mai battuto il divano, non posso farlo perché lei ci sta sempre sdraiata -, e comincia a gridare in modo spaventoso, come un uomo, e grida così per ore. I vicini le hanno proibito di cantare, ma nessuno può proibirle di gridare, lei deve gridare, del resto adesso succede abbastanza di rado, io e Delamarche siamo diventati molto prudenti. E poi in questi casi stava sempre male. Una volta è svenuta. Delamarche era appena uscito - e io ho dovuto chiamare lo studente qui vicino che le ha spruzzato addosso il liquido di una grossa bottiglia, l'ha fatta star meglio, ma questo liquido ha un odore insopportabile, vicino al divano si sente ancora la puzza. Lo studente è senz'altro un nostro nemico, come tutti qui, e anche tu devi gurdarti da tutti e non entrare in relazione con nessuno».

«Ma Robinson», disse Karl, «questo è un servizio pesante. Mi hai raccomandato per un bel posto!».

«Non preoccuparti», disse Robinson scuotendo il capo a occhi chiusi per allontanare tutte le possibili preoccupazioni di Karl. «Il posto ha anche vantaggi che nessun altro potrebbe offrirti. Tu sei sempre in contatto con una signora come Brunelda, a volte dormi nella sua stessa stanza, il che, come puoi immaginare, comporta parecchie comodità. Sei pagato profumatamente, denaro ce n'è in quantità, io non ho ricevuto niente perché sono un amico di Delamarche; solo quando uscivo Brunelda mi dava sempre qualcosa, ma naturalmente tu sarai pagato come qualsiasi altro servitore. Ed è proprio quello che sei. Ma la cosa più importante per te è che io posso alleviarti di molto il lavoro. Naturalmente all'inizio non farò nulla, finché non mi sono ripreso, ma appena starò un po' meglio puoi contare su di me. Al servizio personale di Brunelda, come pettinarla e vestirla, provvederò comunque io, dato che Delamarche non se ne occupa. Tu dovrai soltanto rassettare la stanza, sbrigare le commissioni e i lavori domestici più pesanti».

«No, Robinson», disse Karl, «tutto questo non mi attira».

«Non fare sciocchezze, Rossmann», disse Robinson avvicinandosi al viso di Karl, «non perdere questa bella occasione. Dove trovi un altro posto simile? Chi ti conosce? E tu, chi conosci? Noi, che siamo uomini vissuti e pieni di esperienza, abbiamo già girato per settimane senza trovare lavoro. Non è facile, è addirittura una impresa disperata».

Karl annuì, meravigliandosi del discorso assennato di Robinson. Però a lui questi consigli non servivano, non poteva restare lì, nella grande città ci sarebbe pur stato un posticino per lui, perché sapeva che le locande sono sovraffollate tutta la notte e c'è bisogno di personale per i clienti, in questo era già esperto. Si sarebbe inserito rapidamente e senza dar nell'occhio in qualche attività. Proprio nella casa di fronte al pianterreno c'era una piccola locanda, da cui si sentiva provenire una musica chiassosa. L'ingresso principale era coperto solo da una grande tenda gialla, che talvolta veniva sollevata da un soffio di vento e svolazzava con forza sulla strada. Per il resto, era subentrata una grande quiete. I balconi erano quasi tutti bui, solo in lontananza brillava qua e là una piccola luce, ma l'occhio aveva appena il tempo di coglierla che le persone sedute fuori si alzavano e mentre rientravano in casa tutte insieme, un uomo, l'ultimo rimasto sul balcone, dava ancora un'occhiata alla strada, girava la lampadina elettrica e spegneva la luce.

«Si sta facendo notte», pensò Karl, «se rimango ancora qui dovrò restare con loro». Si volse e fece per scostare la tenda davanti alla porta-finestra. «Che cosa vuoi?» disse Robinson, mettendosi tra Karl e la tenda.

«Voglio andarmene», disse Karl. «Lasciami! Lasciami!».

«Non vorrai disturbarli», gridò Robinson. «Che cosa ti viene in mente!». E gli strinse le braccia attorno al collo, standogli addosso con tutto il suo peso, con le sue gambe bloccò quelle di Karl, e riuscì momentaneamente a farlo cadere. Ma Karl aveva imparato un po' di lotta dagli addetti all'ascensore, quindi allungò a Robinson un pugno sotto il mento, ma con poca energia e molto riguardo. Questi rispose con una ginocchiata rapida e del tutto priva di riguardo nel ventre di Karl, ma subito dopo si portò entrambe le mani al mento e cominciò a strillare così forte che dal balcone vicino un uomo ordinò «Silenzio!», battendo le mani con forza. Karl rimase disteso ancora per un momento, in attesa che gli passasse il dolore causatogli dal colpo di Robinson. Girò solo il viso verso la tenda, pesante e immobile davanti alla stanza buia. Sembrava che nella stanza non ci fosse più nessuno, forse Delamarche era uscito con Brunelda e Karl era già libero. Robinson, che si comportava come un vero cane da guardia, era ormai definitivamente fuori combattimento.

A un tratto dalla strada giunsero squilli lontani di trombe e rulli di tamburi. Le singole grida di molti si unirono ben presto in un unico grido. Karl volse il capo e vide che tutti i balconi riprendevano vita. Si alzò lentamente, non riusciva ancora a stare dritto e dovette appoggiarsi alla ringhiera con tutto il suo peso. Giù sul marciapiede marciavano giovani a grandi passi, con le braccia tese, i berretti nella mano alzata, i visi rivolti all'indietro. La carreggiata era ancora libera. Alcuni agitavano lampioni appesi a lunghe stanghe e avvolti da un fumo giallastro. In quel momento entrarono nella parte illuminata della strada tamburini e trombettieri in vaste schiere, in numero tale da stupire Karl, il quale sentì parlare dietro di sé, si volse e vide Delamarche sollevare la tenda pesante e dietro a lui Brunelda uscire dalla stanza col suo vestito rosso, una mantellina di pizzo attorno alle spalle e una cuffietta scura sui capelli probabilmente spettinati e puntati in fretta, con alcune ciocche che pendevano qua e là. Aveva in mano un piccolo ventaglio aperto con cui però non si faceva vento, ma che teneva stretto contro di sé.

Karl scivolò di lato lungo la ringhiera per far posto a entrambi. Nessuno certo l'avrebbe costretto a restare lì, e anche se Delamarche ci avesse provato, Brunelda avrebbe subito accolto la sua richiesta di andarsene. Perché non riusciva a sopportarlo, era spaventata dai suoi occhi. Ma quando Karl fece un passo verso la porta, lei se ne accorse e gli chiese: «Dove vai, piccolo?». Davanti allo sguardo severo di Delamarche Karl si fermò e Brunelda lo attirò verso di sé. «Non vuoi vedere il corteo laggiù?» disse spingendolo davanti a sé contro la ringhiera. «Sai chi sono?» la sentì dire alle sue spalle, mentre istintivamente cercava di sfuggirle, senza però riuscirvi. Guardò tristemente la strada, come se lì si trovasse la causa della sua tristezza.

Delamarche restò per un momento dietro a Brunelda con le braccia incrociate, poi corse nella stanza e riportò a Brunelda il binocolo da teatro. Giù sulla strada dietro ai suonatori era apparso il centro del corteo. Sulle spalle di un uomo gigantesco era seduto un signore; a quell'altezza si vedeva soltanto l'opaco chiarore della sua testa calva, al di sopra della quale teneva alzato un cilindro in segno di saluto. Attorno a lui portavano dei tabelloni di legno, che, visti dal balcone, sembravano completamente bianchi, ed erano appoggiati l'uno all'altro in modo tale da formare un cerchio attorno a quel signore. Poiché tutti camminavano, questo muro di tabelloni si allargava di continuo per poi richiudersi subito dopo. La strada era occupata per tutta la sua larghezza, anche se per un breve tratto, a quanto si riusciva a distinguere nel buio, dai sostenitori del signore portato in trionfo, che battendo le mani gridavano probabilmente il suo nome, un nome molto breve ma incomprensibile, a ritmo sostenuto. Alcuni, distribuiti abilmente tra la folla, erano muniti di fari d'automobile dalla luce molto potente, che puntavano lentamente in alto e in basso sulle case ai due lati della strada. All'altezza di Karl la luce non era più fastidiosa, ma sui balconi più in basso le persone che ne erano colpite si coprivano rapidamente gli occhi con le mani.

Su richiesta di Brunelda, Delamarche s'informò dalle persone che si trovavano sul balcone vicino sul significato della manifestazione. Karl era un po' curioso di sentire se e come gli avrebbero risposto. E in effetti Delamarche per tre volte non ottenne risposta. Si chinò minacciosamente oltre la ringhiera, Brunelda batteva i piedi con impazienza per la rabbia causatale dai vicini, Karl sentiva il movimento delle sue ginocchia. Infine arrivò una risposta, ma nello stesso momento su quel balcone sovraffollato tutti scoppiarono in una gran risata. Delamarche gridò qualcosa di rimando a voce così alta che se al momento non ci fosse stato un rumore assordante, tutti i vicini avrebbero teso l'orecchio con stupore. Comunque il suo grido ottenne l'effetto di far cessare le risa con una rapidità inconsueta.

«Domani sarà eletto un giudice nel nostro distretto, e quello che portano in trionfo è un candidato», disse Delamarche, tornando tutto tranquillo verso Brunelda. «Però!» esclamò poi dandole un colpetto affettuoso sulle spalle. «Non sappiamo già più quel che succede nel mondo».

«Delamarche», disse Brunelda ripensando al comportamento dei vicini, «come mi piacerebbe traslocare, se non fosse così faticoso! Ma purtroppo non me la sento!». E con grandi sospiri, inquieta e distratta, cominciò ad armeggiare con la camicia di Karl, che senza dar nell'occhio cercò di allontanare le sue mani piccole e grasse e vi riuscì facilmente in quanto Brunelda non pensava a lui, era tutta presa da ben altri pensieri.

Ma anche Karl dimenticò presto Brunelda, non sentì più il peso delle sue braccia sulle spalle, perché gli avvenimenti sulla strada attiravano tutta la sua attenzione. Davanti al candidato, i cui discorsi dovevano essere particolarmente importanti perché da ogni parte si vedevano visi attenti, marciava un piccolo gruppo di uomini che capeggiava la manifestazione e che a un tratto ordinò una sosta davanti alla locanda. Uno di questi capi alzò la mano e fece un segnale sia alla folla che al candidato. La folla ammutolì e il candidato, cercando a più riprese di rizzarsi sulle spalle del suo portatore e ricadendo più volte a sedere, tenne un breve discorso, durante il quale continuò ad agitare il suo cilindro. Lo si vedeva con estrema chiarezza, perché mentre parlava tutti i fari d'automobile erano puntati contro di lui, che si trovava quindi al centro di un raggio di luce.

Ora si capiva meglio anche l'interesse che gli dimostravano tutti gli abitanti della strada. Sui balconi occupati dagli iscritti al suo partito cominciarono a scandire in coro il suo nome e a battere automaticamente le mani protese oltre la ringhiera. Dagli altri balconi, che erano forse più numerosi, si levò un coro tonante di risposta, che però non si associava all'altro, perché proveniva da sostenitori di candidati diversi. Invece tutti i nemici del candidato presente si unirono in un fischio generale, ed entrarono in azione persino molti grammofoni. Fra i singoli balconi nacquero discussioni politiche rese più vivaci dall'ora notturna. I più erano già in veste da notte e avevano solo un soprabito sulle spalle, le donne erano avvolte in grossi scialli neri, i bambini, inosservati, si arrampicavano pericolosamente sui parapetti dei balconi e uscivano sempre più numerosi dalle stanze buie in cui si erano svegliati. Di tanto in tanto i più facinorosi gettavano contro i loro avversari oggetti irriconoscibili, che talvolta centravano il bersaglio, ma in genere cadevano sulla strada, provocando grida di rabbia. Quando i capi della manifestazione giudicavano il chiasso eccessivo, i tamburini e i trombettieri ricevevano l'ordine di suonare, e il loro segnale squillante, poderoso ed interminabile copriva tutte le voci umane fino ai tetti delle case. E incredibilmente il chiasso cessava all'improvviso, e subito la folla giù in strada, evidentemente ben addestrata, approfittando del momento di calma generale, ricominciava a gridare lo slogan del suo partito - alla luce dei fari si vedevano tutte le bocche spalancate - finché gli avversari, che nel frattempo si erano ripresi, gridavano a loro volta dieci volte più forte di prima da tutti i balconi e da tutte le finestre e il partito della strada, dopo la sua breve vittoria, era ridotto di nuovo al silenzio, o almeno così sembrava da quell'altezza.

«Ti piace, piccolo?» chiese Brunelda schiacciando Karl contro la ringhiera e girandosi qua e là per poter vedere bene tutto con il binocolo. Karl si limitò ad annuire con un cenno del capo. Frattanto si accorse che Robinson parlava concitato con Delamarche di qualcosa che evidentemente lo riguardava ma che a Delamarche sembrava non interessare, perché con la sinistra cercava di spingere via Robinson, mentre con la destra teneva abbracciata Brunelda. «Non vuoi guardare con il binocolo?» chiese Brunelda a Karl battendogli la mano sul petto, per fargli capire che si rivolgeva a lui.

«Ci vedo bene», disse Karl.

«Ma prova», disse lei, «vedrai ancora meglio».

«Ho la vista buona», rispose Karl. «Vedo tutto». E non gli sembrò una gentilezza, ma piuttosto un fastidio, che lei gli avvicinasse il binocolo agli occhi dicendogli una sola parola: «Su!» in tono melodioso, ma pieno di minaccia. Così Karl si trovò il binocolo davanti agli occhi e in effetti non vide nulla.

«Non vedo niente», disse cercando di liberarsi del binocolo, ma lei lo teneva con forza, e Karl non riusciva neppure a girare la testa, affondata sul petto di Brunelda.

«Ma adesso vedi senz'altro», gli disse, girando la vite del binocolo.

«No, non vedo ancora niente», disse Karl, pensando che senza volerlo aveva davvero sollevato Robinson, perché ora Brunelda sfogava su di lui i suoi capricci insopportabili.

«Quando ti deciderai a vedere?» disse lei continuando a girare la vite. Karl si sentiva il suo respiro pesante sul viso. «Adesso?» gli chiese.

«No, no, no!», gridò sebbene ormai riuscisse a distinguere tutto, sia pure in modo ancora molto vago. Ma proprio in quel momento Brunelda ebbe qualcosa da dire a Delamarche e allentò il binocolo davanti al viso di Karl, che approfittando della sua distrazione riuscì a guardare la strada al di sotto del binocolo. In seguito Brunelda smise di insistere e tenne il binocolo per sé.

Dalla locanda sulla strada intanto era apparso un cameriere che correva avanti e indietro per prendere le ordinazioni dei capi. Lo si vedeva protendersi verso l'interno del locale per chiamare in aiuto gli altri camerieri. Durante questi preparativi, che evidentemente servivano per poter offrire da bere a tutti, il candidato continuava il suo discorso. Dopo ogni sua frase l'uomo gigantesco che lo portava sulle spalle si girava un poco, perché tutti i presenti potessero sentire il suo discorso. Il candidato stava seduto quasi sempre con la schiena curva e cercava di rendere più persuasive le sue parole agitando la mano libera e sventolando il cilindro con l'altra. Ma talvolta, a intervalli quasi regolari, si lasciava trascinare, si alzava tendendo le braccia e non si rivolgeva più a un gruppo ma a tutta la folla, parlava anche agli abitanti degli ultimi piani, sebbene evidentemente non lo potessero udire neanche quelli dei piani più bassi, e anche se questo fosse stato possibile, nessuno avrebbe voluto ascoltarlo, perché a ogni finestra e a ogni balcone c'era già almeno un oratore che strillava. Nel frattempo alcuni camerieri portarono fuori dalla locanda una tavola, grande come un biliardo, ricoperta di bicchieri colmi e scintillanti. I capi organizzarono la distribuzione, facendo sfilare la folla davanti alla porta della locanda. Ma sebbene i bicchieri sulla tavola fossero continuamente riempiti, non bastavano per tutti, e due file di baristi correvano su e giù a destra e a sinistra del tavolo per servire la folla. Naturalmente il candidato aveva smesso di parlare e sfruttava la pausa per riprendere energia. L'uomo che lo teneva sulle spalle lo portava lentamente su e giù, lontano dalla folla e dalla luce abbagliante, e solo alcuni intimi lo seguivano e gli parlavano.

«Guarda il piccolo», disse Brunelda, «a furia di guardare non sa più dove si trova». E cogliendo Karl di sorpresa gli girò il viso verso di sé con entrambe le mani, guardandolo fisso negli occhi. Ma solo per poco, perché subito Karl le respinse le mani, irritato perché non lo lasciavano in pace neppure un attimo e nel contempo con molta voglia di scendere in strada a guardare tutto da vicino. Quindi cercò con tutte le sue forze di liberarsi dalla stretta di Brunelda e disse:

«Per favore, mi lasci».

«Tu resterai con noi», disse Delamarche, senza distogliere gli occhi dalla strada, limitandosi ad allungare una mano per impedire a Karl di andarsene.

«Lascialo stare», disse Brunelda allontanando la mano di Delamarche, «resterà comunque». E lo spinse sempre più contro la ringhiera in modo tale che Karl avrebbe dovuto mettersi a lottare con lei per liberarsi.

E anche se ci fosse riuscito, non avrebbe ottenuto molto, perché alla sua sinistra c'era Delamarche, alla sua destra si era messo Robinson, era una prigionìa vera e propria.

«Puoi esser contento che non ti caccino via», disse Robinson, e allungò la mano sotto il braccio di Brunelda per dare un colpetto a Karl.

«Cacciarlo via?» disse Delamarche. «Un ladro in fuga non si caccia via, lo si consegna alla polizia. E potrebbe succedere anche domattina, se non sta tranquillo».

Da quel momento in poi Karl perse tutto il piacere dello spettacolo. Si sporse un poco oltre la ringhiera solo perché non riusciva a star dritto per via di Brunelda. Irrequieto e distratto guardava la gente, a gruppi di circa venti persone si avvicinavano alla porta della locanda, prendevano i bicchieri, si giravano e li alzavano bevendo alla salute del candidato ormai assorbito dai propri pensieri, gridavano uno slogan e rimettevano i bicchieri sulla tavola probabilmente con fragore, ma a quell'altezza non si sentiva più nulla, e poi cedevano il posto a un nuovo gruppo rumoroso ed impaziente. Per ordine dei capi l'orchestra, che fin'allora aveva suonato all'interno della locanda, era uscita in strada, i loro grandi strumenti a fiato luccicavano nella massa scura della folla, ma la musica si perdeva quasi nel chiasso generale. Ora la strada era sovraffollata, per lo meno dal lato in cui si trovava la locanda. Dall'alto, da dove Karl era arrivato la mattina in automobile, la folla scendeva a fiumi, e dal basso, dove c'era il ponte, saliva a passo svelto; persino gli abitanti delle case non avevano potuto resistere alla tentazione di partecipare, sui balconi e alle finestre erano rimasti quasi solo donne e bambini, mentre gli uomini uscivano correndo dai portoni. La musica e il rinfresco avevano ottenuto il loro scopo, la riunione era abbastanza numerosa; uno dei capi, in mezzo a due fari d'automobile, fece tacere la musica con un cenno, fischiò con energia e subito, da una certa distanza, si vide accorrere l'uomo con il candidato sulle spalle attraverso un passaggio lasciato libero dai suoi sostenitori.

Non appena giunse davanti alla porta della locanda, il candidato cominciò il suo nuovo discorso alla luce dei fari che lo circondavano. Ma ora era tutto molto più difficile di prima, il suo portatore non aveva più la minima libertà di movimento, la ressa era eccessiva. I suoi sostenitori, che prima avevano fatto il possibile per accrescere l'effetto delle sue parole, ora non riuscivano quasi più a restargli vicino, solo una ventina di persone si tenevano strette attorno al portatore con grande fatica. Ma anche quell'uomo forte ormai non poteva muovere un passo, e non era più possibile pensare di influenzare la folla con movimenti calcolati, avanzando o indietreggiando al momento opportuno. La massa ondeggiava a caso, ognuno addosso all'altro, nessuno stava più dritto, sembrava che i nuovi arrivati avessero moltiplicato il numero degli avversari, per qualche tempo il portatore era riuscito a restare vicino alla porta della locanda, ma ora si lasciava trascinare su e giù per la strada senza apparente resistenza, il candidato parlava sempre ma non si capiva più se spiegava il suo programma o se chiamava aiuto; con tutta probabilità era spuntato fuori anche un avversario o forse più d'uno, perché di tanto in tanto, circondato da una luce improvvisa, un uomo dal viso pallido e i pugni tesi veniva portato al di sopra della folla e teneva un discorso accolto da varie grida.


Date: 2015-12-18; view: 791


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