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UNA VILLA NEI PRESSI DI NEW YORK 11 page

Con queste riflessioni Karl si sentiva più tranquillo e si preparava a contare senza dare nell'occhio le mance ricevute quella notte, perché gli sembrava che fossero state particolarmente abbondanti, quando il capocameriere posò l'elenco sul tavolo e dicendo: «Aspetti ancora un momento, Feodor, per favore», balzò in piedi con agilità e investì Karl gridando così forte che questi, spaventato, restò immobile per un momento a fissare il grande buco nero di quella bocca.

«Hai lasciato il tuo posto senza permesso. Lo sai che cosa significa? Significa licenziamento. Non voglio sentire scuse, puoi tenerti per te le tue bugie, mi basta e avanza il fatto che non eri al tuo posto. Se lo tollero per una volta e ti perdono, domani tutti e quaranta gli addetti all'ascensore correranno via durante il servizio e io dovrò portarmi da solo i miei cinquemila clienti su per le scale».

Karl tacque. Il portiere gli si avvicinò e gli tirò leggermente la giacchetta che aveva qualche piega, senza dubbio per attirare l'attenzione del capocameriere su questa piccola negligenza nell'uniforme di Karl.

«Ti sei forse sentito male tutt'a un tratto?» chiese con astuzia il capocameriere.

Karl gli lanciò uno sguardo indagatore e rispose: «No».

«Dunque non ti sei neppure sentito male?» gridò il capocameriere a voce ancora più alta. «Allora devi esserti inventato qualche bugia grandiosa. Che giustificazione hai? Avanti, sentiamo».

«Non sapevo che bisogna chiedere il permesso per telefono», disse Karl.

«Questa è incredibile», disse il capocameriere; afferrò Karl per il bavero e lo portò quasi di peso davanti al regolamento di servizio degli ascensori, che era attaccato con un chiodo alla parete. Anche il portiere li seguì fino alla parete. «Ecco, leggi!» disse il capocameriere indicando un paragrafo. Karl credeva di doverlo leggere per conto suo, ma il capocameriere gli ordinò: «Ad alta voce!».

Anziché leggere ad alta voce, Karl, sperando così di tranquillizzare il capocameriere, disse: «Conosco il paragrafo, ho anche ricevuto l'ordine di servizio e l'ho letto con precisione. Ma giusto una disposizione come questa, che non si usa mai, si dimentica. Io presto servizio già da due mesi e non ho mai lasciato il mio posto».

«In compenso lo lascerai adesso», disse il capocameriere, si avvicinò al tavolo, riprese in mano l'elenco come se volesse continuare a leggerlo, ma poi lo rigettò con forza sul tavolo, come se fosse uno straccio inutile, e cominciò a girare su e giù per la stanza, con la fronte e le guance infuocate. «E tutto questo per colpa di un ragazzaccio! Una confusione del genere durante il servizio notturno!» scoppiò a dire più volte. «Sa chi stava per salire, quando questo soggetto ha lasciato l'ascensore incustodito?» disse rivolto al portiere. E pronunciò un nome all'udire il quale il portiere, che certo conosceva e sapeva valutare tutti i clienti, si spaventò al punto da lanciare un'occhiata a Karl come se la sua sola esistenza confermasse che il portatore di quel nome aveva dovuto attendere invano davanti a un ascensore abbandonato dall'inserviente.



«Ma è terribile!» disse il portiere, scuotendo lentamente il capo con grande inquietudine in direzione di Karl, il quale lo guardò con tristezza pensando che ora avrebbe dovuto pagare anche per l'ottusità di quell'uomo.

«Del resto io ti conosco già», disse il portiere, tendendogli contro il suo indice grosso e tozzo. «Tu sei l'unico ragazzo che per principio non mi saluta. Chi credi di essere? Chiunque passi davanti alla portineria deve salutarmi. Con gli altri portieri puoi comportarti come vuoi, ma io voglio essere salutato. Talvolta fingo di non accorgermene, ma puoi star certo che so molto bene chi mi saluta o no, screanzato!». E voltò le spalle a Karl dirigendosi con sussiego verso il capocameriere, il quale però, anziché esprimersi al riguardo, terminò la sua colazione scorrendo un giornale del mattino che un servo gli aveva appena portato.

«Signor capoportiere», disse Karl, che approfittando della distrazione del capocameriere voleva chiarire la questione col portiere, poiché capiva che forse non il rimprovero del portiere poteva nuocergli, ma la sua ostilità, «io la saluto sempre. Sono in America da poco tempo e vengo dall'Europa, dov'è noto che si saluta sempre molto più del necessario. Naturalmente non ho ancora perso del tutto questa abitudine, e solo due mesi fa a New York, dove per caso frequentavo un ambiente piuttosto elevato, mi hanno ripetuto più volte che ero troppo complimentoso. E proprio io non dovrei salutarla! L'ho salutata ogni giorno più volte, anche se non proprio tutte le volte che l'ho vista, perché le passavo davanti cento volte al giorno».

«Tu devi salutarmi ogni volta, ogni volta senza eccezione, e sempre, quando parli con me, devi tenere il berretto in mano, e devi chiamarmi "capoportiere", non semplicemente "lei". E questo ogni volta, ogni volta».

«Ogni volta?» ripeté Karl in tono sommesso e interrogativo, e ricordò che il portiere, durante tutto il suo soggiorno all'albergo, l'aveva sempre guardato con severità e rimprovero, già dal primo mattino in cui lui, non ancora abituato alla sua posizione di subalterno, aveva continuato a chiedergli in modo un po' troppo insistente e senza tante cerimonie se per caso non erano venuti a cercarlo due uomini, e non avevano lasciato una fotografia per lui.

«Adesso vedi dove si va a finire comportandosi così», disse il portiere, che si era di nuovo avvicinato a Karl e indicava il capocameriere sempre immerso nella lettura, come se questi avesse il compito di vendicarlo. «Nel prossimo posto, anche se probabilmente sarà una miserabile spelonca, avrai ben imparato a salutare il portiere».

Karl capì di aver perso definitivamente il posto, perché il capocameriere l'aveva già detto, il capoportiere l'aveva ripetuto come se si trattasse di un fatto acquisito, e per licenziare un addetto all'ascensore non c'era certo bisogno di una conferma da parte della direzione dell'albergo. Comunque tutto si era svolto più in fretta di quanto potesse pensare, perché lui aveva pur prestato servizio per due mesi nel miglior modo possibile, certo meglio di molti altri ragazzi. Ma evidentemente alla fine queste faccende si sbrigano senza tanti riguardi in qualsiasi parte del mondo, in Europa come in America, e si decide secondo quello che sale alle labbra nel primo momento di collera. Forse sarebbe stato meglio salutare subito e andarsene, probabilmente la capocuoca e Therese dormivano ancora, lui avrebbe potuto congedarsi per lettera anziché personalmente, per risparmiare loro la delusione e la tristezza causate dal suo comportamento, avrebbe potuto fare la sua valigia in fretta e andarsene via in silenzio. Se invece fosse rimasto ancora un giorno, e in verità avrebbe avuto bisogno di un po' di sonno, le sole cose che lo aspettavano erano il vedere la sua storia gonfiarsi fino a diventare uno scandalo, rimproveri da tutte le parti, lo spettacolo intollerabile delle lacrime di Therese e magari persino della capocuoca, e alla fine forse anche una punizione. D'altro canto lì era turbato perché si trovava di fronte a due nemici, e ogni sua parola poteva essere criticata e mal interpretata se non dall'uno, sicuramente dall'altro. Quindi tacque e godette la pace momentanea che regnava nella stanza, perché il capocameriere continuava a leggere il giornale, e il capoportiere metteva in ordine per numero i fogli del suo elenco sparsi per la tavola, cosa che con la sua evidente miopia gli causava molta difficoltà.

Infine il capocameriere posò il giornale sbadigliando, si accertò con un'occhiata della presenza di Karl e girò la manovella del telefono da tavolo. Gridò più volte «Pronto!» ma nessuno rispose. «Non risponde nessuno», disse al capoportiere. Questi, che secondo Karl seguiva la telefonata con particolare interesse, disse: «Sono già le sei meno un quarto. Senz'altro è già sveglia. Lasci suonare ancora». In quel momento, senza ulteriori sollecitazioni, il telefono si mise a suonare. «Qui capocameriere Isbary», disse il capocameriere. «Buon giorno, signora capocuoca. Spero di non averla svegliata. Mi dispiace molto. Sì, sì, sono già le sei meno un quarto. Ma mi spiace proprio di averla spaventata, so che voleva staccare il telefono durante la notte. No, no, davvero, non ho scuse, specialmente se penso alla sciocchezza di cui le volevo parlare. Ma naturalmente ho tempo, prego, se non le spiace rimango al telefono».

«Dev'essere corsa al telefono in camicia da notte», disse sorridendo il capocameriere al capoportiere, che per tutto il tempo era rimasto chino sull'apparecchio con molta partecipazione. «L'ho proprio svegliata, di solito la sveglia la ragazzina che le fa da dattilografa, oggi eccezionalmente dev'essersene dimenticata. Mi spiace averla svegliata di soprassalto, è così nervosa!».

«Perché non parla più?».

«È andata a vedere che cosa fa la ragazza», rispose il capocameriere già con il ricevitore all'orecchio, perché il telefono suonava di nuovo. «La troverà senz'altro», disse parlando al telefono. «Non deve spaventarsi per ogni cosa. Ha proprio bisogno di un buon periodo di riposo. Ma veniamo alla mia piccola questione. C'è qui un addetto all'ascensore di nome» - si girò con aria interrogativa verso Karl, che stava molto attento e gli suggerì subito il nome -«dunque, di nome Karl Rossmann. Se ben ricordo, lei si è un po' interessata a lui, che purtroppo ha mal ricompensato la sua gentilezza, ha lasciato il suo posto senza permesso, causandomi grossi fastidi dei quali ora non posso prevedere le conseguenze, e quindi l'ho appena licenziato. Spero che non prenda la cosa tragicamente. Come dice? Licenziato, sì, licenziato. Ma se le dico che ha lasciato il suo posto. No, davvero non posso cedere, cara signora capocuoca. Si tratta della mia autorità, è molto importante, un ragazzo così mi rovina tutta la banda. Proprio con gli addetti all'ascensore bisogna stare maledettamente attenti. No, no, in questo caso non posso farle un piacere, benché mi stia sempre a cuore quello che lei desidera. E se malgrado tutto lo lasciassi stare qui, al solo scopo di tenere in attività la mia bile, è per lei, proprio per lei, signora capocuoca, che non può rimanere. Lei gli dimostra un interesse che non merita affatto e poiché conosco non soltanto lui, ma anche lei, so che le darebbe le più amare delusioni, e ad ogni costo voglio risparmiargliele. Glielo dico molto apertamente, sebbene questo ragazzo incorreggibile sia qui davanti a me. È licenziato, no, no, signora capocuoca, è licenziato definitivamente, no, no, non sarà trasferito a un altro posto, è del tutto inutilizzabile. Del resto ci sono anche altre lagnanze contro di lui. Il capoportiere ad esempio, sì, proprio, come? Feodor, sì, Feodor si lamenta della maleducazione e dell'insolenza di questo ragazzo. Come, non basta? Cara signora capocuoca, lei smentisce il suo carattere pe via di questo ragazzo. No, non deve mettermi alla prova così».

In quel momento il portiere si chinò e bisbigliò qualcosa all'orecchio del capocameriere. Questi dapprima lo guardò con stupore, poi si mise a parlare al telefono così rapidamente che Karl non riusciva a capirlo, e si avvicinò di qualche passo in punta di piedi. «Cara signora capocuoca», sentì, «sinceramente, non avrei creduto che lei conoscesse così male le persone. Apprendo adesso una cosa sul suo innocentino che cambierà radicalmente la sua opinione su di lui, e quasi mi dispiace dover essere io a dirgliela. Dunque questo caro ragazzo, che lei chiama un modello di educazione, quando non è di servizio non lascia passare una sola notte senza correre in città, da dove ritorna solo al mattino. Sì, sì, signora capocuoca, ci sono testimoni a provarlo, testimoni inconfutabili, sì. Sa forse dirmi dove trova il denaro per queste piacevolezze? Come può avere l'attenzione necessaria per il servizio? Vuole anche che le descriva che cosa fa in città? Voglio liberarmi di questo ragazzo il più presto possibile. E lei cerchi di prendere quest'esperienza come un avvertimento, bisogna essere molto prudenti con questi ragazzi venuti da chissà dove».

«Ma, signor capocameriere», esclamò Karl, letteralmente sollevato perché gli sembrava di capire che ci fosse stato un grosso equivoco, che forse avrebbe potuto portare a un rapido e inaspettato miglioramento della situazione, «qui si tratta senz'altro di uno scambio di persona. Il capoportiere le ha detto, mi sembra, che io esco ogni notte. Questo non è assolutamente vero, ogni notte io sono invece nel dormitorio, possono confermarlo tutti i ragazzi. Quando non dormo, studio corrispondenza commerciale, ma non c'è notte che io non passi nel dormitorio, e si può provare facilmente. Evidentemente il capoportiere mi scambia per qualcun altro, e adesso capisco anche perché crede che non lo saluti».

«Vuoi tacere subito», gridò il capoportiere alzando il pugno, là dove altri si sarebbero limitati ad alzare un dito. «Io dovrei scambiarti per qualcun altro! Allora non posso più essere capoportiere, se scambio le persone. Senta questa, signor Isbary, è certo che se scambio la gente non posso più essere capoportiere. Nei miei trent'anni di servizio non ho mai preso una persona per un'altra, come possono confermare le centinaia di capocamerieri che abbiamo avuto in questo periodo, e dovrei aver cominciato proprio con te, miserabile, a scambiare le persone. Con te, con il tuo muso mellifluo che non si può non notare. Che cosa c'è da scambiare! Potresti essere scappato in città ogni notte dietro le mie spalle, e solo dalla tua faccia posso esser certo che sei un mascalzone fatto e finito».

«Lascia perdere, Feodor!» disse il capocameriere, che pareva aver interrotto tutt'a un tratto la sua conversazione telefonica con la capocuoca. «La questione è molto semplice. Dei suoi divertimenti notturni non c'importa affatto. Ma lui, prima di andarsene, vorrebbe provocare una grande inchiesta sulle sue occupazioni notturne. Posso già immaginare come gli piacerebbe. Probabilmente tutti e quaranta gli addetti all'ascensore sarebbero citati e ascoltati come testimoni, naturalmente anche loro l'avrebbero scambiato per un altro, dunque a poco a poco bisognerebbe chiamare a testimoniare tutto il personale, naturalmente per un po' l'albergo smetterebbe di funzionare, e lui avrebbe almeno avuto il suo divertimento prima di essere buttato fuori. Quindi non ne faremo niente. Ha già preso in giro abbastanza la capocuoca, quella brava donna, e adesso è ora di finirla. Non voglio sentire altro; sei licenziato su due piedi per assenza dal servizio. Ti darò il mandato per la cassa perché ti paghino lo stipendio fino ad oggi. Del resto, detto fra noi, con il tuo contegno questo è un regalo, che ti faccio solo per riguardo verso la capocuoca».

Una telefonata impedì al capocameriere di firmare subito il mandato. «Gli addetti all'ascensore mi danno un bel da fare oggi!» esclamò dopo aver udito le prime parole. «Ma è inaudito», esclamò dopo un momento. Si staccò dal telefono per un attimo e si volse verso il portiere dicendogli: «Feodor, trattieni ancora un poco questo tipo, abbiamo ancora qualcosa da dirgli». E trasmise un ordine per telefono: «Sali subito!».

Finalmente il capoportiere poteva sfogarsi, cosa che non gli era riuscita parlando. Teneva Karl per l'avambraccio, ma non con una presa tranquilla, cosa che sarebbe stata anche tollerabile, bensì allentando a tratti la presa per poi stringere sempre di più, con la sua forza straordinaria, sicché Karl provava un dolore senza fine che gli annebbiava la vista. E non si limitava a tenerlo, ma, come se avesse ricevuto anche l'ordine di allungarlo, di tanto in tanto lo sollevava di peso e lo scuoteva, ripetendo al capocameriere in tono quasi interrogativo: «Vediamo se ora lo scambio per qualcuno, vediamo se ora lo scambio per qualcuno».

Per Karl fu una liberazione quando entrò il capo degli addetti all'ascensore, un certo Bess, un ragazzo grasso perennemente ansimante, e l'attenzione del capoportiere si spostò per un momento su di lui. Karl era talmente sfinito che lo salutò appena, e subito dopo dietro al ragazzo vide con stupore scivolar dentro Therese, pallida come una morta, con gli abiti in disordine e i capelli spettinati puntati in alto. In un attimo fu vicino a lui e gli sussurrò: «Lo sa già la capocuoca?».

«Gliel'ha telefonato il capocameriere», rispose Karl.

«Allora è tutto a posto, è tutto sistemato», disse lei in fretta, animandosi.

«No», disse Karl, «tu non sai come mi sono contro. Devo andarmene, anche la capocuoca ne è già convinta. Ti prego, non restare qui, vai di sopra, dopo verrò a salutarti».

«Ma, Rossmann, che cosa ti viene in mente, puoi restare qui finché vuoi. Il capocameriere fa tutto quello che vuole la capocuoca, è innamorato di lei, l'ho saputo di recente. Quindi puoi stare tranquillo».

«Per favore, Therese, ora vai. Non riesco a difendermi bene, se resti qui. E devo prestare molta attenzione, perché dicono una quantità di bugie su di me. Ma più sto attento e so difendermi, più ho speranza di restare. Dunque, Therese...». Purtroppo, colto da un dolore improvviso, non poté fare a meno di aggiungere a bassa voce: «Se solo questo capoportiere mi lasciasse libero! Non sapevo proprio che mi fosse nemico. Continua a stringermi e a tirarmi in un modo!». «Ma perché l'ho detto!» pensò subito dopo, «nessuna donna starebbe a sentire tranquillamente una cosa simile!». E in effetti Therese, prima che lui potesse trattenerla con la mano libera, si rivolse al capoportiere: «Per favore, signor capoportiere, lasci subito libero Rossmann, così gli fa male. La signora capocuoca verrà subito di persona, e allora si vedrà che c'è stato un grosso equivoco. Lo lasci libero, che gusto ci prova a tormentarlo!». E prese persino per mano il capoportiere. «Ordini, signorina, ordini», disse il capoportiere, e con la mano libera attirò amichevolmente a sé Therese, mentre con l'altra stringeva Karl persino più forte, come se non soltanto volesse fargli male, ma tenendogli quel braccio avesse uno scopo particolare che ancora non era riuscito a raggiungere.

Therese ci mise un po' di tempo a sottrarsi all'abbraccio del capoportiere, e stava già per prendere le difese di Karl con il capocameriere che ascoltava ancora il racconto molto dettagliato di Bess, quando entrò di corsa la capocuoca.

«Dio sia ringraziato!» esclamò Therese e per un attimo nella stanza si sentirono solo queste parole. Il capocameriere balzò subito in piedi e spinse Bess da parte.

«È venuta di persona, signora capocuoca? Per questa sciocchezza? Dopo la nostra conversazione telefonica avrei anche potuto immaginarmelo, ma non l'avrei creduto. E intanto la situazione del suo protetto diventa sempre più grave. Temo che invece di licenziarlo dovrò farlo mettere in prigione. Senta lei stessa». E accennò a Bess di avvicinarsi.

«Prima vorrei scambiare due parole con Rossmann», disse la capocuoca, e si sedette su una sedia dietro invito del capocameriere. «Karl, per favore, avvicinati», disse poi. Karl obbedì, o meglio fu trascinato vicino a lei dal capoportiere. «Ma lo lasci libero», disse la capocuoca con ira, «non è un assassino!». E in effetti il capoportiere lo lasciò libero, ma prima gli dette ancora una stretta così forte che gli vennero persino le lacrime agli occhi per lo sforzo.

«Karl», disse la capocuoca, posando tranquillamente le mani sul grembo e guardandolo col capo inclinato - non sembrava affatto un interrogatorio -«prima di tutto voglio dirti che ho ancora completa fiducia in te. Anche il capocameriere è un uomo giusto, te lo garantisco. In fondo entrambi vogliamo tenerti qui» - a questo punto lanciò un'occhiata al capocameriere, come per pregarlo di non interromperla, e infatti così avvenne. «Dimentica dunque quello che ti hanno detto finora. Soprattutto non devi prendertela per quello che può averti detto il capoportiere. A dire il vero è un tipo nervoso, e con il lavoro che fa non c'è da meravigliarsi, ma ha anche moglie e figli, e sa che non bisogna tormentare inutilmente un ragazzo abbandonato a se stesso, perché già ci pensano gli altri».

Nella stanza non si sentiva un rumore. Il capocameriere guardava il capoportiere come per chiedere spiegazioni, questi guardava la capocuoca e scuoteva il capo. L'addetto all'ascensore, Bess, sogghignava stupidamente dietro le spalle del capocameriere. Therese singhiozzava fra sé di gioia e di dolore e si sforzava di non farsi sentire.

Ma Karl, sebbene questo potesse essere interpretato come un cattivo segno, non guardava la capocuoca, che invece cercava il suo sguardo, bensì fissava il pavimento dinanzi a sé. Il suo braccio era tutto un dolore, la camicia s'incollava sui suoi lividi, e Karl avrebbe voluto soltanto togliersi la giacca per constatare quello che era successo. Naturalmente la capocuoca aveva parlato con intenzione molto amichevole, ma disgraziatamente proprio le sue parole sembravano dimostrare che lui non era degno della sua amicizia, che immeritatamente aveva goduto per due mesi della sua benevolenza e che meritava soltanto di finire tra le mani del capoportiere.

«Lo dico», proseguì la capocuoca, «perché tu ora risponda sinceramente, come faresti probabilmente in qualsiasi circostanza, per quel che ti conosco».

«Per favore, nel frattempo posso andare a chiamare il medico? Quell'uomo potrebbe morire dissanguato», intervenne d'un tratto l'addetto all'ascensore Bess, molto cortese ma molto inopportuno.

«Va'», disse il capocameriere a Bess, che corse subito via. Quindi si rivolse alla capocuoca: «Il fatto è questo. Il capoportiere non ha tenuto fermo il ragazzo per divertirsi. Sotto, nel dormitorio degli addetti all'ascensore, è stato trovato in un letto, coperto con cura, un uomo sconosciuto, completamente ubriaco. Naturalmente l'hanno svegliato per mandarlo via. Ma l'uomo ha cominciato a fare un gran baccano, si è messo a gridare che il dormitorio appartiene a Karl Rossmann, che ce l'ha portato, lo ospita e avrebbe punito chiunque si azzardasse a toccarlo. Del resto lui doveva anche aspettare Karl Rossmann, che gli aveva promesso del denaro ed era andato a prenderlo. Noti bene, signora capocuoca: gli aveva promesso del denaro ed era andato a prenderlo. Puoi stare attento anche tu», disse il capocameriere quasi con noncuranza a Karl, il quale si era appena voltato verso Therese, che fissava il capocameriere come incantata e continuava a passarsi la mano sulla fronte per allontanare i capelli, o forse ripeteva solo quel gesto automaticamente. «Ma forse posso ricordarti qualche tuo impegno. Infatti quell'uomo ha detto che dopo il tuo ritorno avreste fatto una visita notturna a una cantante, di cui comunque nessuno ha capito il nome perché quel tipo ogni volta lo diceva cantando».

Qui il capocameriere s'interruppe, perché la capocuoca, che era visibilmente impallidita, si era alzata spingendo un poco indietro la sedia. «Le risparmio il resto», disse il capocameriere.

«No, la prego, no», disse la capocuoca prendendogli la mano, «continui a raccontare, voglio sapere tutto, sono qui per questo».

Il capoportiere, che si era fatto avanti dandosi un gran colpo sul petto, come a significare che aveva intuito tutto fin dall'inizio, fu tranquillizzato e nel contempo zittito dal capocameriere con queste parole: «Sì, aveva proprio ragione, Feodor!».

«Non c'è molto più da raccontare», disse il capocameriere. «Sa come sono i ragazzi, prima hanno deriso quell'uomo, poi hanno cominciato a litigare con lui, e siccome tra loro ci sono sempre buoni pugili, l'hanno semplicemente steso a terra, e io non ho neppure osato chiedere in quali e quanti punti perda sangue, perché questi ragazzi sono terribili quando fanno a pugni, e naturalmente un ubriaco facilita il compito!».

«Ah, così», disse la capocuoca, tenendo la mano sulla spalliera della sedia e guardando il posto che aveva appena lasciato. «Ma ti prego, Rossmann, di' qualcosa!» aggiunse. Anche Therese aveva lasciato il suo posto per correre verso la capocuoca e l'aveva presa a braccetto, cosa che Karl non le aveva mai visto fare. Il capocameriere stava dietro le spalle della capocuoca e lisciava pian piano il suo semplice collettino di pizzo, che si era arricciato un poco. Il capoportiere accanto a Karl disse: «Allora?» con la sola intenzione di nascondere un colpo che nel frattempo gli aveva assestato sul dorso.

«È vero», disse Karl, reso più insicuro di quanto volesse dal colpo, «che ho portato quell'uomo nel dormitorio».

«Non vogliamo sapere altro», disse il capoportiere a nome di tutti. La capocuoca si volse in silenzio verso il capocameriere e poi verso Therese.

«Non potevo far altro», continuò Karl. «Quell'uomo è stato un mio compagno, è venuto qui dopo due mesi che non ci vedevamo per farmi una visita, ma era talmente ubriaco che non è riuscito ad andarsene da solo».

Il capocameriere, che stava accanto alla capocuoca, disse a mezza voce fra sé e sé: «Dunque è venuto in visita, e poi era talmente ubriaco che non è riuscito ad andarsene». La capocuoca bisbigliò qualcosa oltre la spalla al capocameriere, il quale parve obiettare con un sorriso che evidentemente non riguardava la questione in causa. Therese - Karl guardava soltanto lei - in stato di totale disperazione teneva il viso premuto contro la capocuoca e non voleva vedere più nulla. L'unico del tutto soddisfatto della spiegazione di Karl era il capoportiere, che ripeté più volte: «Giustissimo, bisogna aiutare il proprio compagno di bevute», e con sguardi e gesti della mano cercava di convincere di questa spiegazione ognuno dei presenti.

«Allora sono colpevole», disse Karl, facendo una pausa come se si aspettasse dai suoi giudici una parola amichevole, tale da infondergli il coraggio di continuare a difendersi, ma questa parola non venne, «sono colpevole soltanto di aver portato nel dormitorio quell'uomo, che si chiama Robinson, ed è un irlandese. Ma tutto il resto è falso, l'ha detto solo perché era ubriaco».

«Dunque non gli hai promesso del denaro?» chiese il capocameriere.

«Sì», disse Karl e gli dispiacque d'averlo dimenticato, per sventatezza o per distrazione si era dichiarato innocente con troppa decisione. «Il denaro gliel'ho promesso perché me l'ha chiesto. Ma non volevo andare a prenderlo, volevo soltanto dargli le mance che ho ricevuto stanotte». E per provare quanto diceva prese dalla tasca il denaro e mostrò le monete sul palmo della mano.

«T'ingarbugli sempre più», disse il capocameriere. «Per crederti bisognerebbe dimenticare ogni volta quello che hai detto in precedenza. Dunque, prima hai portato nel dormitorio quell'uomo - non credo neppure che si chiami Robinson, da quando esiste l'Irlanda nessun irlandese si è mai chiamato così - e d'altronde già solo per questo potresti essere cacciato via su due piedi, ma non gli hai promesso del denaro, poi, quando sei colto di sorpresa, risulta che gliel'hai promesso. Qui però non stiamo giocando a domanda e risposta, ma vogliamo sentire che giustificazione hai. Prima non volevi andare a prendere il denaro ma solo dargli le tue mance di oggi, poi però risulta che hai ancora questo denaro con te, quindi evidentemente volevi andarne a prendere dell'altro, come può confermare anche la tua lunga assenza. In fondo, che tu volessi andare a prendere nella tua valigia del denaro per lui non sarebbe così grave; ma che tu lo neghi con tutte le tue forze, questo sì è grave, come pure che tu non voglia ancora ammettere di aver portato quell'uomo all'albergo già ubriaco, cosa su cui non c'è il minimo dubbio, perché tu stesso hai detto che è venuto solo ma non poteva andar via solo, e lui stesso ha detto a tutti nel dormitorio che era tuo ospite. Dunque restano ancora due dubbi che tu puoi chiarire se vuoi semplificare la cosa, ma che si possono anche appurare senza il tuo aiuto: primo, come ti sei procurato l'accesso alle dispense, e secondo, come hai raccolto il denaro da regalargli?».


Date: 2015-12-18; view: 581


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