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UNA VILLA NEI PRESSI DI NEW YORK 10 page

Quando Therese terminò il racconto si era fatto tardi. Contrariamente alla sua abitudine aveva raccontato con molti dettagli, e proprio nei punti meno significativi, come la descrizione dei pali dell'armatura, ognuno dei quali si ergeva fino al cielo, aveva dovuto fermarsi con gli occhi pieni di lacrime. Ora, dopo dieci anni, ricordava ancora con estrema precisione ogni particolare dell'accaduto, e dato che la vista di sua madre stesa sul pianterreno in costruzione era l'ultimo ricordo che le restava e lei non riusciva a trasmetterlo al suo amico con sufficiente chiarezza, al termine del suo racconto avrebbe voluto tornare sull'argomento, ma ad un tratto si fermò, si prese il viso tra le mani e non riuscì più a dire una parola.

Tuttavia nella stanza di Therese c'erano anche momenti più lieti. Subito dopo la sua prima visita Karl aveva chiesto e ottenuto in prestito un libro di corrispondenza commerciale che aveva visto in camera sua. Stabilirono che Karl avrebbe fatto gli esercizi contenuti nel libro e che Therese, avendo studiato con attenzione il libro, quel tanto che serviva per le sue piccole incombenze, li avrebbe controllati. Per notti intere Karl, con il cotone nelle orecchie, restò disteso sul suo letto nel dormitorio in tutte le posizioni possibili per non stancarsi, leggendo il libro e scarabocchiando gli esercizi su un quadernetto con una penna stilografica che la capocuoca gli aveva regalato come compenso per averle sistemato in modo molto pratico e ordinato un grosso inventario. Quando gli altri ragazzi lo disturbavano, riusciva a capovolgere la situazione a proprio vantaggio perché si faceva sempre consigliare a proposito della lingua inglese, finché si stancavano e lo lasciavano in pace. Spesso si stupiva che gli altri fossero soddisfatti della loro condizione, che non ne capissero la provvisorietà - gli addetti all'ascensore non dovevano avere più di vent'anni -, che non sentissero la necessità di decidere della loro professione futura e malgrado l'esempio di Karl non leggessero altro che racconti polizieschi, ridotti in luridi brandelli e passati di letto in letto. Quando s'incontravano, Therese correggeva i suoi compiti con pedanteria eccessiva; i loro punti di vista erano contrastanti, Karl si appellava al suo famoso professore di New York, ma Therese non teneva conto né delle sue opinioni né delle opinioni grammaticali degli addetti all'ascensore. Gli toglieva di mano la penna stilografica e cancellava tutti i punti a suo avviso sbagliati, ma in questi casi dubbi, e sebbene considerasse Therese la più alta autorità in materia, Karl ricancellava puntualmente le sue correzioni. Talvolta però arrivava la capocuoca e decideva sempre a favore di Therese, ma questo non era probante, perché Therese era la sua segretaria. Counque il suo arrivo portava con sé la riconciliazione generale perché si faceva bollire il tè, si prendevano i biscotti e Karl doveva raccontare dell'Europa, anche se con molte interruzioni da parte della capocuoca, che gli domandava una quantità di cose e si stupiva delle risposte, dimodoché Karl si rendeva conto di quanti mutamenti fossero avvenuti in un periodo di tempo relativamente breve, probabilmente già dalla sua partenza, e di come questo processo fosse inarrestabile.



Karl si trovava a Ramses forse da un mese, quando una sera Renell passando gli disse che davanti all'albergo l'aveva fermato un uomo, un certo Delamarche, chiedendogli notizie di Karl. Non avendo alcun motivo per nascondere qualcosa, Renell aveva detto la verità, e cioè che Karl era addetto all'ascensore, ma dato che la cuoca lo proteggeva si prospettavano per lui notevoli miglioramenti. Karl capì che Renell era stato trattato con molti riguardi da Delamarche, il quale l'aveva persino invitato a cena per quella sera.

«Non ho più niente a che fare con Delamarche», disse Karl, «e anche tu devi guardarti da lui!».

«Io?» disse Renell, si stiracchiò e corse via. Era il ragazzo più avvenente dell'albergo, e tra gli altri correva voce, senza che si sapesse com'era nata, che una signora distinta, già da tempo cliente dell'albergo, l'avesse per lo meno baciato in ascensore. Certo chi aveva sentito la storia trovava molto stimolante vedersi passare davanti quella signora orgogliosa, il cui aspetto non lasciava minimamente presupporre un simile comportamento, con il suo passo fermo e leggero, con le sue velette delicate, la sua vita sottile. Abitava al primo piano e l'ascensore di Renell non era il suo, ma naturalmente, quando gli altri ascensori erano occupati, non si poteva proibire a simili clienti di usare un altro ascensore. Così avveniva che talvolta la signora usasse l'ascensore di Karl e di Renell, e in effetti sempre soltanto quando Renell era di servizio. Poteva essere un caso ma nessuno ci credeva, e quando l'ascensore saliva con i due, tra tutti i ragazzi serpeggiava un'inquietudine repressa a fatica, tanto che un capocameriere era già dovuto intervenire. Sia dunque a causa di questa signora, sia a causa del pettegolezzo, di fatto Renell era molto cambiato, era diventato ancora più superbo, lasciava la pulizia dell'ascensore totalmente a Karl, che dal canto suo aspettava solo l'occasione di risistemare definitivamente le cose, e non si faceva più vedere nel dormitorio. Tra gli addetti all'ascensore nessun altro si era isolato così completamente dalla comunità, perché in generale tutti, almeno per questioni di servizio, si tenevano uniti e avevano un'organizzazione riconosciuta dal direttore dell'albergo.

Karl pensava a tutte queste cose, pensava anche a Delamarche e per il resto sbrigava il suo servizio come sempre. Verso mezzanotte ebbe un piccolo diversivo perché Therese, che spesso lo sorprendeva con qualche piccolo regalo, gli portò una grossa mela e una tavoletta di cioccolato. Rimasero un poco insieme, interrotti soltanto da qualche corsa dell'ascensore. Il discorso cadde anche su Delamarche, e Karl si accorse di essersi lasciato influenzare da Therese perché da qualche tempo lo considerava un uomo pericoloso, dato che così l'aveva giudicato lei dai racconti di Karl. In fondo Karl pensava che fosse soltanto un vagabondo rovinato dalla sfortuna, con cui prima o poi ci si sarebbe potuti intendere. Ma Therese lo contraddisse con molta veemenza, e dopo lunghi discorsi gli chiese di prometterle che non avrebbe più parlato con Delamarche. Invece di prometterglielo, Karl la esortò più volte ad andare a dormire, perché la mezzanotte era passata già da tempo, e quando lei rifiutò, la minacciò di lasciare il posto di lavoro per portarla in camera sua. Quando infine si convinse, le disse: «Perché ti preoccupi così inutilmente, Therese? Se questo ti aiuta a dormire, ti prometto volentieri che parlerò con Delamarche solo se sarà inevitabile». Poi dovette fare molte corse, perché il ragazzo dell'ascensore vicino aveva dovuto prestar servizio in qualche altro posto, e Karl dovette occuparsi di entrambi gli ascensori. C'erano già clienti che parlavano di disordine nel servizio, e un signore che accompagnava una signora dette persino un colpetto a Karl col suo bastone da passeggio per mettergli fretta, un richiamo davvero inutile. Se almeno i clienti, vedendo un ascensore senza inserviente, fossero entrati subito in quello di Karl, ma no, andavano verso l'ascensore vicino e stavano lì davanti con la mano sulla maniglia, o addirittura entravano nell'ascensore da soli, cosa che si doveva evitare ad ogni costo, secondo i severi paragrafi del regolamento interno. Così per Karl fu tutto un correre su e giù molto faticoso, senza eppure avere la sensazione di compiere il suo dovere in modo appropriato. Per giunta verso le tre della mattina un facchino, un vecchio con cui aveva stretto una certa amicizia, gli chiese di aiutarlo a sbrigare un lavoro, ma Karl dovette rifiutare perché proprio in quel momento c'erano clienti davanti a tutti e due gli ascensori, e ci voleva la necessaria presenza di spirito per scegliere subito uno dei due gruppi. Quindi fu molto sollevato quando l'altro ragazzo tornò e gli fece qualche rimprovero per la sua lunga assenza, sebbene probabilmente lui non ne avesse colpa.

Dopo le quattro del mattino subentrò un po' di calma, e già da tempo Karl ne sentiva il bisogno. Si appoggiò pesantemente alla ringhiera accanto al suo ascensore e cominciò a mangiare la mela, che già al primo morso diffuse nell'aria un intenso profumo, guardando in basso nella tromba dell'ascensore circondata dalle grandi finestre delle dispense, dietro a cui erano appesi grossi grappoli di banane che rilucevano nel buio.

 

IL CASO ROBINSON

 

A un tratto qualcuno gli batté sulla spalla. Karl, pensando che fosse un cliente, nascose in fretta la mela in tasca e si diresse subito verso l'ascensore, senza neppure guardare l'uomo.

«Buona sera, signor Rossmann», disse allora questi, «sono io, Robinson».

«Ma com'è cambiato!» rispose Karl, scuotendo la testa.

«Già, gli affari mi vanno bene», disse Robinson, guardando il proprio abbigliamento, che forse era composto da singoli pezzi piuttosto fini, però era messo insieme in modo tale da sembrare in complesso misero. Il capo più sorprendente era un gilè bianco, evidentemente indossato per la prima volta, con quattro taschini bordati di nero, su cui Robinson cercava di richiamare l'attenzione spingendo il petto in fuori.

«Porta vestiti costosi», disse Karl, e gli tornò alla mente il suo vestito che i due falsi amici avevano venduto, così semplice ed elegante da reggere il confronto persino con quello di Renell.

«Sì», disse Robinson, «quasi ogni giorno mi compro qualcosa. Le piace il gilè?».

«Molto bello», disse Karl.

«Le tasche però non sono vere, ma finte», disse Robinson, e per convincerlo gliele fece toccare con la mano. Ma Karl si ritrasse, perché la bocca di Robinson emanava un insopportabile odore di acquavite.

«Lei beve ancora molto», disse appoggiandosi di nuovo alla ringhiera.

«No», disse Robinson, «non molto». E in contrasto con la sua contentezza di prima, aggiunse: «Che altro ci resta a questo mondo!».

Una corsa in ascensore interruppe la conversazione, e non appena Karl ridiscese ricevette una telefonata che lo pregava di chiamare il medico dell'albergo, perché una signora aveva avuto uno svenimento al settimo piano. Nel frattempo Karl sperava in cuor suo che Robinson se ne fosse andato, perché non voleva esser visto con lui e ripensando all'avvertimento di Therese non voleva neppure avere notizie di Delamarche. Ma Robinson lo aspettava ancora nell'atteggiamento rigido tipico degli ubriachi, e proprio in quel momento un alto funzionario dell'albergo passò accanto a loro in finanziera nera e cilindro, ma per fortuna sembrò non prestare particolare attenzione a Robinson.

«Perché non viene a trovarci, Rossmann, adesso ce la passiamo molto bene», disse Robinson guardando Karl con aria invitante.

«È lei che m'invita, o Delamarche?» chiese Karl.

«Io e Delamarche. In questo siamo d'accordo», disse Robinson.

«Allora le dico, e la prego di riferirlo a Delamarche, che la nostra separazione, nel caso non l'aveste ancora capito, è stata definitiva. Entrambi mi avete fatto male più di chiunque altro. Si è forse messo in testa di continuare a tormentarmi?».

«Ma siamo sempre i suoi compagni», disse Robinson, con gli occhi pieni di lacrime disgustose da ubriaco. «Delamarche le manda a dire che intende ricompensarla per tutto ciò che è stato. Ora abitiamo con Brunelda, una cantante meravigliosa». E stava anche per mettersi a cantare una canzone a squarciagola, se Karl non gli avesse sibilato a tempo: «Stia subito zitto, non sa forse dove siamo?».

«Rossmann», disse Robinson, intimidito dalla sua stessa idea di cantare, «io sono sempre il suo compagno, qualunque cosa possa dire. E adesso che ha un posto così buono, non potrebbe prestarmi un po' di soldi?».

«Non farebbe che berseli subito», disse Karl, «vedo persino una bottiglia d'acquavite nella sua tasca, da cui deve aver bevuto mentre ero via, perché all'inizio era ancora abbastanza in sé».

«Lo faccio solo per tenermi su quando ho qualcosa da fare», disse Robinson in tono di scusa.

«Non pretendo più di correggerla», replicò Karl.

«Ma i soldi!» disse Robinson, spalancando gli occhi.

«Probabilmente questo è un incarico di Delamarche. Bene, le darò del denaro, ma solo a condizione che se ne vada subito da qui e che non venga mai più a trovarmi. Se ha qualcosa da dirmi, mi scriva: Karl Rossmann, Hotel Occidental, come indirizzo è sufficiente. Ma le ripeto, qui non deve più venire. Qui sono in servizio e non ho tempo per le visite. Allora, vuole il denaro a questa condizione?» chiese Karl, prendendo il denaro dalla tasca del gilè, perché era deciso a sacrificare le mance di quella notte. Per tutta risposta Robinson annuì col capo ansimando. Non sapendo come interpretarlo, Karl chiese ancora: «Sì o no?».

Ma Robinson gli fece cenno di avvicinarsi, e deglutendo in un modo che non dava adito a dubbi, gli sussurrò: «Rossmann, mi sento proprio male».

«Al diavolo», si lasciò sfuggire Karl, e con entrambe le mani lo trascinò verso la ringhiera. Subito Robinson si mise a vomitare nel vuoto. Durante le pause che gli concedeva la sua nausea, allungava a occhi chiusi la mano verso Karl. «Lei è davvero un bravo ragazzo», gli diceva, oppure: «Adesso è finita», cosa di gran lunga lontana dal vero, o ancora: «Quei cani, che cosa mi hanno dato da bere!». Per l'inquietudine e il disgusto Karl non riusciva più a restargli vicino, e cominciò a passeggiare su e giù. In quell'angolo dietro l'ascensore Robinson era abbastanza nascosto, ma che cosa sarebbe successo se qualcuno l'avesse visto, uno di quei clienti ricchi e nervosi che non vedono l'ora di presentare un reclamo a un solerte impiegato dell'albergo, il quale poi si vendica con tutti quelli che capitano, o se fosse passato uno di quegli investigatori dell'albergo che cambiano sempre, conosciuti solo dalla direzione e che potrebbe essere qualsiasi persona dallo sguardo indagatore, magari anche solo perché è miope! E di sotto sarebbe bastato che qualcuno del servizio ristorante, in funzione per tutta la notte, andasse nelle dispense, per notare con stupore la sporcizia nella tromba dell'ascensore e chiedere per telefono a Karl che cosa era mai successo di sopra. Come poteva Karl negare di conoscere Robinson? E se l'avesse fatto, non avrebbe forse Robinson nella sua stupidità e disperazione accusato proprio lui, anziché giustificarsi? E in tal caso Karl sarebbe stato licenziato subito, poiché era accaduta una cosa inaudita, che un addetto all'ascensore, l'ultimo e il più insignificante impiegato nella smisurata gerarchia dei dipendenti, aveva permesso che un suo amico insudiciasse l'albergo spaventando i clienti o addirittura mettendoli nella condizione di lasciare l'albergo. Come si poteva tollerare che un addetto all'ascensore avesse simili amici, che per giunta venivano a trovarlo durante le ore di servizio? Non dava forse l'impressione che un individuo simile fosse lui stesso un ubriacone o persino qualcosa di peggi, perché nasceva subito il sospetto che rimpinzasse i suoi amici con le provviste dell'albergo, finché anche loro, in qualsiasi posto di quell'albergo tenuto pulito con tanta cura, si sarebbero comportati esattamente come Robinson? E si poteva pensare che un ragazzo simile non si sarebbe limitato a rubare alimentari, dato che le possibilità di rubare erano infinite a causa della ben nota trascuratezza dei clienti, che lasciavano sempre gli armadi aperti, i preziosi sparsi sui tavolini, le cassette spalancate, le chiavi appoggiate con noncuranza da qualche parte.

Proprio in quel momento Karl vide alcuni clienti salire da un locale del sotterraneo in cui era appena terminata una rappresentazione di varietà. Si avvicinò al suo ascensore senz'avere il coraggio di voltarsi a guardare Robinson per paura di quello che avrebbe visto. Lo tranquillizzava un poco sentire che da lì non proveniva alcun rumore, neppure un sospiro. Continuò a servire i suoi clienti e a correre con loro su e giù, ma non riusciva a nascondere la sua distrazione, e ad ogni discesa con l'ascensore si preparava a trovare una spiacevole sorpresa.

Infine ebbe di nuovo il tempo di andare a vedere Robinson, che stava accucciato nel suo angolo con il viso premuto contro le ginocchia. Aveva spinto all'indietro sulla testa il suo cappello duro e rotondo.

«Adesso deve andarsene», disse Karl a bassa voce e in tono deciso. «Eccole il denaro. Se si sbriga, posso ancora mostrarle la via più breve».

«Non riuscirò ad andarmene», disse Robinson passandosi sulla fronte un minuscolo fazzoletto, «morirò qui. Non può immaginare come sto male. Delamarche mi porta sempre nei locali eleganti, ma io non sopporto quella roba sofisticata, glielo dico ogni giorno».

«Comunque qui non può più restare», disse Karl, «pensi a dove si trova. Se la scoprono qui, lei avrà delle noie e io perderò il posto. È questo che vuole?».

«Non posso andarmene», replicò Robinson, «piuttosto mi butto giù», e indicò la tromba dell'ascensore tra le sbarre della ringhiera. «Finché sto qui seduto riesco ancora a resistere, ma non posso alzarmi, ci ho già provato mentre lei era via».

«Allora chiamo una vettura e la faccio portare in ospedale», disse Karl scuotendo un poco le gambe di Robinson, che ad ogni momento era in procinto di svenire. Ma non appena Robinson sentì la parola «ospedale», che probabilmente gli ridestava terribili ricordi, cominciò a singhiozzare tendendo le mani verso Karl in segno di supplica.

«Silenzio», disse Karl dandogli un colpo sulle mani, corse dal ragazzo che aveva sostituito durante la notte, lo pregò di ricambiargli il favore per un momento, tornò in fretta da Robinson che continuava a singhiozzare, lo sollevò di peso con tutte le sue forze e gli sussurrò: «Robinson, se vuole che mi prenda cura di lei, deve almeno sforzarsi di camminare un poco. La porterò in camera mia, dove potrà restare finché starà bene. Si stupirà lei stesso di riprendersi in così breve tempo. Ma adesso si comporti in modo ragionevole, perché nei corridoi c'è sempre gente e anche il mio letto è in un dormitorio comune. Se solo qualcuno la nota, non potrò fare più nulla per lei. E deve tenere gli occhi aperti, non posso portarla in giro come un moribondo!».

«Farò tutto quello che ritiene giusto», disse Robinson, «ma da solo non riuscirà a portarmi. Non potrebbe chiamare anche Renell?».

«Renell non è qui», disse Karl.

«Ah, già», replicò Robinson, «Renell è con Delamarche. Tutti e due mi hanno mandato a cercarla. Non capisco più niente». Durante questo ed altri incomprensibili monologhi di Robinson, Karl lo spingeva avanti, e riuscì a raggiungere felicemente un angolo da cui un corridoio debolmente illuminato portava al dormitorio degli addetti all'ascensore. In quel momento li oltrepassò un ragazzo che correva a precipizio verso di loro. Per il resto fino allora non avevano fatto incontri pericolosi; il periodo tra le quattro e le cinque era il più tranquillo, e Karl sapeva bene che se non fosse riuscito allora a portar via Robinson, all'alba e con la confusione dell'inizio del giorno non sarebbe stato nemmeno pensabile.

Nel dormitorio, in fondo alla sala, era giusto in corso una gran lite o qualche altra cosa del genere, i ragazzi battevano le mani a ritmo, pestavano i piedi per terra con eccitazione e lanciavano grida di incitamento. Nella metà della sala vicina alla porta solo pochi dormivano indisturbati nei loro letti, i più stavano stesi sulla schiena a fissare il vuoto, e di tanto in tanto qualcuno, vestito o svestito, così com'era, balzava dal letto per andare a vedere quello che succedeva all'altro capo della sala. Così Karl senza farsi notare trascinò Robinson, che nel frattempo si era un po' abituato a camminare, fino al letto di Renell, che era molto vicino alla porta e per fortuna libero, dato che il suo letto, come vide da lontano, era occupato da un ragazzo sconosciuto che dormiva tranquillamente. Non appena Robinson sentì il letto sotto di sé si addormentò sull'istante, con una gamba ancora penzoloni fuori. Karl gli tirò la coperta fin sul viso, pensando di non doversi più preoccupare almeno per l'immediato futuro, perché certo Robinson non si sarebbe svegliato prima delle sei del mattino, quando lui stesso sarebbe stato di ritorno e forse, anche con Renell, avrebbe potuto trovare il modo di portarlo via. Un'ispezione nel dormitorio da parte di organi superiori, che in passato era regolare, avveniva solo in casi eccezionali, e già da anni gli addetti all'ascensore ne avevano ottenuto l'abolizione, quindi anche da quel lato non c'era nulla da temere.

Quando Karl ebbe raggiunto di nuovo il suo posto, vide che sia il suo ascensore sia quello del vicino stavano salendo. Poiché non riusciva a spiegarselo, attese con inquietudine. Il suo ascensore scese per primo, e ne uscì il ragazzo che aveva appena visto correre per il corridoio.

«Dove sei stato, Rossmann?» chiese questi. «Perché sei andato via? Perché non hai avvisato?».

«Ma gli ho chiesto di sostituirmi per un momento», rispose Karl indicando il ragazzo dell'ascensore vicino che stava arrivando. «Anch'io l'ho sostituito per due ore, nel momento di maggior lavoro».

«D'accordo», disse l'interpellato, «ma non basta. Non sai che qualsiasi assenza dal servizio, anche la più breve, dev'essere comunicata all'ufficio del capocameriere? C'è il telefono apposta. Io ti avrei sostituito volentieri, ma sai che non è così facile. Prima, davanti a tutti e due gli ascensori, c'erano i nuovi clienti arrivati con l'espresso delle quattro e mezza. Non potevo certo salire con il tuo ascensore e far aspettare i miei clienti, e così sono salito prima col mio!».

«E allora?» chiese Karl inquieto, visto che gli altri due tacevano.

«Allora», disse il ragazzo dell'ascensore vicino, «proprio in quel momento passa il capocameriere, vede la gente davanti al tuo ascensore senza servizio, ingoia bile, domanda a me che sto arrivando di corsa dove diavolo tu sia, io non ne ho idea, perché non mi hai detto dove andavi, e così telefona subito al dormitorio per chiamare un altro ragazzo».

«E io ti ho incontrato nel corridoio», disse il sostituto di Karl, il quale fece un cenno di conferma.

«Naturalmente», affermò l'altro, «ho detto subito che mi avevi chiesto di sostituirti, ma quando mai quello accetta simili scuse? Probabilmente non lo conosci ancora. E ci ha incaricato di dirti che devi andare subito nel suo ufficio. Meglio dunque che tu corra subito là. Forse ti perdonerà, perché a dire il vero sei stato via solo due minuti. Digli tranquillamente che mi avevi chiesto di sostituirti. Piuttosto non dirgli che mi avevi sostituito prima, te lo consiglio, a me non può succedere niente perché avevo il permesso, ma non è bene parlare di questa storia e mescolarla alla tua, con cui non c'entra affatto».

«È la prima volta che abbandono il mio posto», disse Karl.

«È sempre così, solo che non lo credono», disse il ragazzo, e corse verso il suo ascensore perché c'era gente che si avvicinava.

Il sostituto di Karl, un ragazzo di quattordici anni circa, che evidentemente aveva pietà di lui, disse: «In molti casi come il tuo hanno già perdonato. Di solito ti fanno cambiar lavoro. A quanto ne so, per una questione simile solo uno è stato licenziato. Devi trovare una buona scusa. Ma non dire mai che ti sei sentito male all'improvviso, riderebbe di te. Meglio dirgli che un cliente ti ha incaricato di una commissione urgente per un altro e che tu non sai più chi era il primo e non sei riuscito a trovare il secondo».

«Beh», disse Karl, «non sarà poi così grave». Dopo tutto quello che aveva sentito non credeva più in una via d'uscita. E anche se gli avessero perdonato l'assenza dal servizio, nel dormitorio c'era Robinson, la sua colpa vivente, e col carattere bilioso del capocameriere era più che probabile che non si sarebbero accontentati di una inchiesta superficiale, e alla fine avrebbero scovato Robinson. Certo non esisteva un divieto espresso di portare estranei nel dormitorio, ma solo perché non si vietano cose impensabili.

Quando Karl entrò nell'ufficio del capocameriere, lo trovò seduto davanti al suo caffè del mattino; tra un sorso e l'altro consultava un elenco che evidentemente gli aveva portato il capoportiere dell'albergo, anche lui presente. Questi era un uomo grande e grosso, che nella sua uniforme lussuosa e carica d'ornamenti - cordoni e nastri dorati gli arrivavano fin sulle spalle e scendevano poi sulle maniche - sembrava ancora più robusto di quanto non fosse per natura. I suoi baffi neri e lucenti che finivano a punta come quelli degli ungheresi restavano immobili anche quando girava la testa di scatto. Peraltro il capoportiere si muoveva con difficoltà per via del peso dei suoi vestiti, e per poterlo distribuire equamente soleva stare a gambe divaricate con i piedi ben puntati per terra.

Karl era entrato in modo rapido e deciso, secondo l'abitudine che aveva preso all'albergo, perché la lentezza e la cautela, che in genere nelle persone sono indice di gentilezza, negli addetti all'ascensore erano considerate segno di pigrizia. Inoltre non doveva mostrare già subito entrando il suo senso di colpa. Anche se il capocameriere aveva gettato un'occhiata verso la porta che si apriva, era poi subito tornato al suo caffè e alla sua lettura senza curarsi ulteriormente di Karl. Ma forse il portiere si sentiva disturbato dalla presenza di Karl, o forse aveva qualche notizia segreta da riferire o qualche richiesta da presentare al capocameriere, perché ad ogni momento lanciava occhiate cattive a Karl col capo rigidamente inclinato da una parte, e non appena incontrava il suo sguardo, si rivolgeva di nuovo con evidente ostentazione al capocameriere. Karl però pensava non fosse bene lasciare subito l'ufficio, dato che ormai si trovava lì, senza aver prima ricevuto l'ordine dal capocameriere. Ma questi continuava a consultare l'elenco e di tanto in tanto mangiava un pezzo di torta, da cui scuoteva via lo zucchero senza smettere di leggere. A un certo punto uno dei fogli dell'elenco cadde a terra e il portiere non fece neppure il gesto di prenderlo, sapendo che non ci sarebbe riuscito, tuttavia non fu necessario perché Karl si chinò subito e porse il foglio al capocameriere, che lo prese con un gesto della mano come se il foglio fosse volato in alto da sé. Comunque questa piccola cortesia non servì a nulla, perché il portiere continuò a lanciargli occhiate cattive come prima.

Malgrado ciò Karl si sentì tranquillizzato, perché già il fatto che il suo problema sembrasse così poco importante al capocameriere si poteva interpretare come un buon segno. E dopo tutto era comprensibile. Naturalmente un addetto all'ascensore non conta nulla e quindi non può permettersi nulla, ma proprio perché è insignificante non può neppure fare qualcosa di straordinario. In fondo anche il capocameriere in gioventù era stato addetto all'ascensore - ed era ancora motivo d'orgoglio per la generazione successiva -, era stato lui a organizzare per la prima volta la categoria e certo anche lui aveva lasciato il posto una volta senza permesso, anche se ora non avrebbe mai ammesso di ricordarsene, e anche se bisognava considerare che proprio come ex addetto all'ascensore riteneva suo dovere mantenere l'ordine nella categoria con una severità al momento inesorabile. Inoltre Karl riponeva la sua speranza nel passare del tempo. Secondo l'orologio dell'ufficio erano già le cinque e un quarto, ad ogni momento Renell poteva rientrare, forse era già all'albergo, perché doveva aver notato che Robinson non era più ritornato, e del resto Delamarche e Renell non potevano essere andati molto lontano dall'Hotel Occidental, venne in mente a Karl, perché altrimenti Robinson, nel suo stato pietoso, non sarebbe riuscito ad arrivare fin lì. Se solo Renell avesse trovato Robinson nel suo letto, com'era logico, tutto si sarebbe sistemato. Pratico com'era lui, soprattutto quando era in gioco il suo interesse, avrebbe subito allontanato Robinson dall'albergo e senza troppa difficoltà, perché nel frattempo Robinson aveva senz'altro ripreso un po' d'energia e probabilmente Delamarche l'aspettava davanti all'albergo per prenderlo in consegna. Una volta allontanato Robinson, Karl poteva affrontare il capocameriere molto più tranquillamente e forse per quella volta cavarsela con un rimprovero, anche se aspro. Poi si sarebbe consigliato con Therese se era il caso di dire la verità alla capocuoca - da parte sua lui non vedeva nessun ostacolo -e se fosse stato possibile, la questione sarebbe stata liquidata senza troppo danno.


Date: 2015-12-18; view: 680


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