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UNA VILLA NEI PRESSI DI NEW YORK 7 page

Il più piccolo dei due, quello che indossava le scarpe, gesticolando con le braccia, con le gambe e con certe espressioni del viso fece capire che tutto questo non lo interessava affatto e che non era l'ora di fare simili discorsi, si ridistese sul letto e si addormentò subito; anche l'altro, un individuo dalla pelle scura, si stese di nuovo sul letto, ma prima di riaddormentarsi fece un gesto stanco con la mano e disse: «Questo qui si chiama Robinson ed è irlandese, io mi chiamo Delamarche, sono francese e ora vorrei essere lasciato in pace». Non appena ebbe detto queste parole, spense con un soffio energico la candela di Karl e ricadde sul cuscino.

«Per ora il pericolo è scongiurato», si disse Karl ritornando verso il tavolo. Se il loro sonno non era un pretesto, c'era da star tranquilli. L'unica cosa spiacevole era che uno dei due fosse irlandese. A casa Karl aveva letto una volta, non ricordava con precisione in quale libro, che in America bisogna guardarsi dagli irlandesi. Naturalmente il suo soggiorno dallo zio sarebbe stato un'ottima occasione per approfondire il problema della pericolosità degli irlandesi, ma lui non se n'era curato perché si era creduto al sicuro per sempre. Ora voleva almeno vedere meglio quell'irlandese, e alla luce della candela che aveva riacceso constatò che in fondo aveva un aspetto più rassicurante del francese. Aveva persino le guance lievemente arrotondate e sorrideva nel sonno in modo molto gradevole, a quanto riuscì a stabilire Karl da una certa distanza, alzandosi in punta di piedi.

Fermamente deciso a non dormire nonostante tutto, Karl si sedette sull'unica sedia della stanza rimandando per il momento il problema di rifare la valigia, dato che aveva tempo tutta la notte, e si mise a sfogliare la Bibbia senza però leggerla. Poi prese in mano la fotografia dei genitori in cui il padre, di bassa statura, stava ritto in piedi, mentre la madre sedeva davanti a lui, leggermente affondata nella poltrona. Il padre teneva una mano sulla spalliera della poltrona, l'altra, chiusa a pugno, su un libro illustrato, posato aperto su un fragile tavolino al suo fianco. C'era anche un'altra fotografia, in cui Karl era ritratto con i suoi genitori. Il padre e la madre lo fissavano seri, mentre lui, su esortazione del fotografo, aveva dovuto guardare l'apparecchio. Ma per il suo viaggio questa fotografia non gli era stata data.

Quindi si concentrò su quella che aveva davanti e cercò di captare lo sguardo del padre da varie angolazioni. Ma per quanto spostasse più volte la candela per avere una visione diversa, il padre non voleva rivivere, anche i suoi baffi folti e dritti non rispondevano affatto alla realtà, non era una buona fotografia. La madre invece era ritratta in modo migliore, la bocca era contratta come avesse subìto un torto e si sforzasse di sorridere. Karl aveva l'impressione che chiunque, guardando la fotografia, sarebbe stato colpito da quel dettaglio, tanto che un attimo dopo l'evidenza di quest'impressione gli sembrò troppo violenta, quasi paradossale. Straordinario, come il ritratto di una persona rendesse con tanta esattezza un suo sentimento nascosto! E per un poco distolse gli occhi dalla fotografia. Quando la guardò di nuovo, lo colpì la mano della madre che pendeva davanti al bracciolo della poltrona, come se fosse pronta a ricevere un bacio. Pensò se dopo tutto non avrebbe fatto bene a scrivere ai genitori, come in effetti entrambi gli avevano raccomandato (e all'ultimo momento, ad Amburgo, il padre con molta severità). Naturalmente allora, la sera terribile in cui la madre accanto alla finestra gli aveva annunciato la sua partenza per l'America, si era giurato irrevocabilmente di non scrivere mai, ma che cosa contava il giuramento di un ragazzo inesperto nelle sue nuove condizioni! Allo stesso modo allora avrebbe potuto giurare che dopo due mesi di soggiorno in America sarebbe diventato un generale dell'esercito, mentre in realtà si trovava insieme a due vagabondi nella soffitta di una locanda fuori New York, e per giunta doveva ammettere che quello era il suo posto. E scrutò sorridendo i volti dei genitori, quasi cercando di capire se desideravano ancora ricevere notizie dal loro figlio.



Di lì a poco, mentre osservava la fotografia, si rese conto che era molto stanco, e difficilmente avrebbe potuto vegliare tutta la notte. La fotografia gli cadde di mano, Karl la prese e vi appoggiò sopra il viso, la sua frescura contro la guancia era gradevole, e con questa sensazione di benessere si addormentò.

Fu svegliato presto da un solletico sotto l'ascella. Era il francese a permettersi questa invadenza. Ma anche l'irlandese era già in piedi accanto al tavolo di Karl, ed entrambi l'osservavano con lo stesso interesse con cui Karl aveva osservato loro durante la notte. Non si stupì che non l'avessero già svegliato alzandosi; che non avessero fatto rumore non dimostrava una cattiva intenzione, perché lui aveva dormito profondamente e inoltre sembrava che i due non avessero fatto troppa fatica per vestirsi e soprattutto per lavarsi.

Si salutarono con i dovuti modi e con una certa formalità, e Karl apprese che entrambi erano macchinisti, che a New York erano stati disoccupati per molto tempo e di conseguenza si erano ridotti piuttosto male. Per confermare quanto diceva Robinson si sbottonò la giacca, dal che risultò che non portava camicia, come si poteva capire già dal colletto lento, che era fissato alla giacca sul retro. Intendevano recarsi a piedi fino alla cittadina di Butterford, a due giorni di viaggio da New York, dove pareva ci fosse lavoro. Se Karl voleva unirsi a loro, non avevano niente in contrario, e gli promisero in primo luogo di portare ogni tanto la sua valigia, e in secondo luogo, se avessero trovato lavoro, di procurargli un posto d'apprendista, cosa molto facile, sempreché il lavoro ci fosse. Non appena Karl acconsentì, si affrettarono a consigliargli amichevolmente di togliersi quel bel vestito, in quanto avrebbe potuto essergli d'ostacolo nella ricerca di un lavoro. Giusto in quella locanda aveva una buona occasione per liberarsene, perché la cameriera commerciava in abiti usati. Aiutarono Karl a toglierselo, anche se questi non era ancora del tutto deciso, e lo portarono via. Quando rimase solo, un po' intontito dal sonno, e cominciò a mettersi il suo vecchio vestito da viaggio, Karl si rimproverò di aver venduto il vestito, che forse avrebbe compromesso la sua ricerca di un posto d'apprendista, ma certo l'avrebbe aiutato a trovare un posto migliore, e aprì la porta per richiamare i due, ma li incontrò già di ritorno con il ricavato. Deposero sul tavolo mezzo dollaro, con aria così allegra che era impossibile non pensare a un loro guadagno, e anche abbondante, cosa che irritò Karl.

Del resto non era il momento di stare a discutere, perché la cameriera entrò, assonnata come la notte precedente, e li spinse tutti e tre fuori sul corridoio, dichiarando che doveva rifare la stanza per altri clienti. Naturalmente non era affatto vero, agiva così solo per cattiveria. Karl, che aveva appena pensato di riordinare la sua valigia, dovette stare a guardare la donna che afferrava le sue cose con entrambe le mani e le gettava nella valigia con una tale energia, come se fossero animali da mettere a cuccia. I due meccanici si davano un gran da fare attorno a lei, la tiravano per la gonna, le davano colpetti sulle spalle, ma se pensavano così di aiutare Karl, non era certo il modo giusto. Quando la donna ebbe chiuso la valigia, cacciò in mano a Karl la maniglia, si liberò dei meccanici e spinse tutti e tre fuori dalla stanza, con la minaccia che, se non l'avessero seguita, non avrebbero avuto il caffè. Evidentemente la donna non ricordava affatto che Karl non era arrivato con i meccanici, perché trattava tutti e tre come se facessero parte della stessa banda. Comunque i meccanici le avevano venduto il vestito di Karl, quindi avevano dimostrato di avere con lui una certa familiarità.

Nel corridoio dovettero andare avanti e indietro per un pezzo, e specialmente il francese, che aveva preso a braccetto Karl, continuava a brontolare e minacciava di prendere a pugni il locandiere se avesse osato mostrarsi, infatti sfregava con furia i pugni uno contro l'altro come per prepararsi alla lotta. Infine arrivò un ragazzetto innocente che dovette allungarsi per porgere la caffettiera al francese. Purtroppo c'era una sola caffettiera, e non riuscirono a far capire al ragazzo che volevano anche dei bicchieri. Così soltanto uno poteva bere, e gli altri due stavano lì ad aspettare il loro turno. Karl non aveva voglia di bere, ma non voleva offendere gli altri, e così, quando toccava a lui, si limitava a portare la caffettiera alla bocca.

Prima di andarsene l'irlandese gettò la caffettiera sulle lastre di pietra del pavimento. Senza incontrare nessuno, lasciarono la locanda e uscirono nella fitta nebbia giallastra del mattino. Per lo più camminavano in silenzio l'uno accanto all'altro al margine della strada, Karl doveva portarsi la valigia, probabilmente gli altri l'avrebbero aiutato soltanto dietro sua richiesta; di tanto in tanto un'automobile balzava fuori dalla nebbia e i tre giravano la testa verso la macchina, per lo più gigantesca e di forma così strana e così rapida nella sua apparizione, che mancava il tempo di vedere se dentro c'era qualcuno. In seguito cominciarono ad apparire colonne di veicoli carichi di viveri per New York, che correvano in cinque file ininterrotte occupando tutta la larghezza della strada, sicché nessuno avrebbe potuto attraversarla. Talvolta la strada si allargava in una piazza, al cui centro, su una specie di torretta, un poliziotto andava su e giù, per poter vedere tutto e regolare con una bacchettina il traffico sia della strada principale che delle strade secondarie. Poi fino alla piazza successiva e al poliziotto successivo nessuno sorvegliava il traffico, il quale però era tenuto abbastanza in ordine da cocchieri e autisti silenziosi e attenti. Karl era stupito soprattutto dalla calma generale. Se non ci fossero state le ingenue grida degli animali da macello, forse si sarebbe sentito soltanto lo scalpitìo degli zoccoli e il sibilo dei pneumatici. Naturalmente la velocità dei veicoli non era sempre costante. Quando sulle piazze si creava confusione in seguito al traffico eccessivo delle vie laterali, intere file di veicoli si bloccavano, procedevano a passo d'uomo, poi d'un tratto ripartivano come fulmini e poco dopo rallentavano di nuovo, come se fossero guidate da un unico freno. Ma dalla strada non si alzava un filo di polvere, tutto si muoveva in un'atmosfera estremamente limpida. Lì non c'erano pedoni, né donne sole che andavano al mercato in città come al paese di Karl, ma di tanto in tanto apparivano randi automobili basse che trasportavano una ventina di donne con ceste sulla schiena, donne che andavano senz'altro al mercato e che allungavano il collo per sorvegliare il traffico nella speranza di poter arrivare prima. C'erano anche automobili analoghe sulle quali uomini con le mani in tasca andavano su e giù. Su una di queste automobili, che portavano varie scritte, Karl lesse con un'esclamazione di meraviglia: «Si assumono portuali per l'impresa di spedizioni Jakob». La vettura stava appunto procedendo con estrema lentezza, e un uomo vivace, di bassa statura, che stava chino in avanti sul predellino, invitò i tre viandanti a salire. Karl si nascose dietro ai meccanici, come se lo zio fosse stato sulla vettura e avesse potuto vederlo. Si rallegrò che anche gli altri due rifiutassero l'invito, sebbene si sentisse quasi offeso dall'espressione orgogliosa con cui lo fecero. Non era proprio il caso di credersi troppo importanti per entrare al servizio dello zio e lo fece capire subito ai due, anche se naturalmente non lo disse in modo esplicito. Delamarche gli ribatté di fare il favore di non immischiarsi in cose che non capiva, perché quel modo di assumere gente era un inganno vergognoso, e la ditta Jakob aveva cattiva fama in tutti gli Stati Uniti. Karl non rispose, ma da quel momento preferì rivolgersi all'irlandese e lo pregò anche di portargli la valigia per un poco, cosa che avvenne solo dopo ripetute richieste. Ma Robinson si lamentava di continuo per il peso della valigia, finché risultò che voleva unicamente alleggerirla del salame veronese, che già all'albergo lo aveva molto interessato. Karl dovette tirarlo fuori, il francese se ne impadronì e cominciò a tagliarlo con una specie di pugnale per poi mangiarlo quasi tutto da solo. Ogni tanto dava una fetta a Robinson, Karl invece, che per non lasciare la valigia sulla strada maestra aveva dovuto riprendersela, non ricevette niente, come se avesse già avuto la sua parte. Gli sembrava meschino chiederne un pezzetto, ma gli venne una gran rabbia.

Tutta la nebbia si era già dissolta, in lontananza scintillava una montagna alta, la cui cresta ondulata si stagliava nell'opaco chiarore solare ancora più lontano. Ai lati della strada c'erano campi mal coltivati, e qua e là grosse fabbriche annerite dal fumo si ergevano in aperta campagna. Nei singoli casermoni sparsi a caso le innumerevoli finestre vibravano di luce e di movimento, ciascuna a suo modo, e tutti i piccoli, angusti balconi formicolavano di donne e bambini variamente affaccendati mentre intorno ad essi, ora coprendoli ora svelandoli, panni e capi di biancheria appesi e stesi sventolavano gonfiandosi nella brezza del mattino. Distogliendo lo sguardo dalle case, si vedevano allodole volare alte nel cielo e più in basso rondini, quasi radenti alle teste dei viaggiatori.

Molte cose gli ricordavano la sua patria, e Karl si chiedeva se faceva bene a lasciare New York per spingersi nell'interno del paese. A New York c'era il mare, e la possibilità di tornare in patria ad ogni momento. E così si fermò e disse ai suoi due compagni che aveva voglia di restare a New York. E quando Delamarche fece il gesto di spingerlo avanti, non si lasciò smuovere e disse che aveva pure il diritto di disporre di sé. L'irlandese dovette intromettersi e spiegare che Butterford era molto più bella di New York, ed entrambi dovettero pregarlo ancora a lungo, prima che decidesse di proseguire. E anche allora non l'avrebbe deciso se non si fosse detto che per lui poteva essere meglio arrivare in un luogo dove non era così facile tornare in patria, perché avrebbe potuto lavorare meglio e farsi strada senza essere ostacolato da pensieri inutili.

E da quel momento fu lui a spingere avanti gli altri due, che tanto si rallegrarono del suo entusiasmo da portargli la valigia a turno anche senza farsi pregare, e Karl non riusciva a capire il perché di tutta quell'allegria. Giunsero in una zona collinosa e di tanto in tanto, quando si fermavano volgendosi indietro, potevano vedere il panorama sempre più esteso di New York e del suo porto. Il ponte di congiunzione tra New York e Brooklyn era sospeso con leggerezza sopra l'East River, e socchiudendo gli occhi lo si vedeva tremolare. Sembrava totalmente privo di traffico, e al disotto si stendeva la fascia d'acqua liscia e inanimata. Tutto in quelle due città gigantesche sembrava deserto e inutile. Gli edifici grandi si distinguevano appena da quelli piccoli. Nelle invisibili profondità delle strade probabilmente la vita continuava il suo corso, ma nulla si vedeva in superficie se non una leggera foschia che in realtà era immobile, ma sembrava potersi dissolvere da un momento all'altro. Persino nel porto, il più grande del mondo, era subentrata la quiete, e solo talvolta, forse in seguito al ricordo di uno spettacolo visto da vicino, sembrava di veder apparire una nave che avanzava per un breve tratto. Ma non era possibile seguirla a lungo, sfuggiva allo sguardo e non la si ritrovava più.

Evidentemente Delamarche e Robinson vedevano molte altre cose, inarcando le mani tese indicavano a destra e a sinistra piazze e giardini di cui conoscevano il nome. Non riuscivano a capire come mai Karl fosse stato a New York per due mesi e della città avesse visto poco più di una strada. E gli promisero, se avessero guadagnato abbastanza a Butterford, di tornare con lui a New York e di mostrargli tutte le cose più importanti, e soprattutto i luoghi in cui ci si divertiva alla follia. E in preda al ricordo Robinson cominciò a cantare una canzone a gola spiegata, che Delamarche accompagnò battendo le mani e che Karl riconobbe come l'aria di un'operetta della sua patria, ma nella versione inglese la trovò molto più bella. Così ci fu una piccola rappresentazione all'aperto a cui parteciparono tutti e tre, e soltanto la città ai loro piedi, che probabilmente si divertiva sempre con quella melodia, sembrava ignorarla.

In seguito Karl chiese dove avesse sede l'impresa di spedizioni Jakob, e subito Delamarche e Robinson tesero l'indice forse verso lo stesso punto, o forse verso due punti distanti qualche miglio. Si rimisero in cammino, e poco dopo Karl chiese quando pensavano di poter avere abbastanza denaro per tornare a New York. Delamarche rispose che forse sarebbe stato possibile già di lì a un mese, perché a Butterford c'era carenza di mano d'opera e i salari erano alti. Naturalmente avrebbero messo il loro denaro in una cassa comune, perché tra compagni come loro non dovevano esserci differenze di guadagno. L'idea della cassa comune a Karl non piacque, sebbene lui, come apprendista, dovesse naturalmente guadagnare meno di un operaio qualificato. Inoltre Robinson osservò che, in mancanza di lavoro a Butterford, avrebbero dovuto proseguire e andare a lavorare nei campi da qualche parte oppure nelle miniere d'oro in California, e a giudicare da come si dilungava sull'argomento, quest'ultimo progetto era senz'altro il suo preferito.

«Ma perché è diventato meccanico, se adesso vuole andare nelle miniere d'oro?» chiese Karl, che non vedeva la necessità di progettare viaggi così lontani e pericolosi.

«Perché sono diventato meccanico?» rispose Robinson. «Non certo perché con questo il figlio di mia madre debba fare la fame. Nelle miniere d'oro si guadagna bene».

«Una volta», intervenne Delamarche.

«Anche adesso», disse Robinson, e si mise a raccontare di molti suoi conoscenti che erano diventati ricchi e vivevano ancora in California, dove naturalmente non muovevano più un dito, ma in nome della vecchia amicizia avrebbero aiutato sia lui che i suoi compagni ad arricchirsi.

«Comunque riusciremo a trovare lavoro già a Butterford», disse Delamarche interpretando il pensiero di Karl, anche se il suo tono non era certo rassicurante.

Durante il giorno si fermarono soltanto una volta in una locanda e mangiarono all'aperto, su un tavolo che a Karl sembrava di ferro, carne quasi cruda che non si poteva tagliare con coltello e forchetta, ma soltanto strappare a pezzi. Il pane aveva una forma cilindrica, e in ogni pagnotta era infilato un lungo coltello. Con questo cibo fu servito un liquido nero che bruciava in gola. Ma a Delamarche e a Robinson piaceva, e spesso alzarono i bicchieri facendo lunghi brindisi al successo di vari progetti. Il tavolo accanto era occupato da operai che indossavano camicie spruzzate di calce, e tutti bevevano lo stesso liquido. Le automobili che passavano in gran numero gettavano nugoli di polvere sui tavoli. Tra un tavolo e l'altro giravano grandi fogli di giornale, la discussione ferveva sullo sciopero degli edili, e spesso si sentiva fare il nome di Mack. Karl s'informò su di lui e apprese che era il padre del Mack che conosceva, e il più importante imprenditore edile di New York. Lo sciopero gli costava milioni e stava diventando un pericolo per i suoi affari. Karl non credette una parola dei discorsi di quella gente, malevola e male informata.

Inoltre si rovinò il pranzo anche perché non si capiva come sarebbe stato pagato. La cosa più naturale sarebbe stata che ognuno pagasse la sua parte, ma sia Delamarche che Robinson avevano già avuto modo di osservare che avevano speso i loro ultimi soldi per il letto della notte scorsa. Orologi, anelli o altre cose che si potessero vendere non se ne vedevano. E Karl non poteva far notare che avevano pur guadagnato qualcosa vendendo il suo vestito, perché si sarebbero offesi e ci sarebbe stata una rottura definitiva. Ma il fatto sorprendente era che né Delamarche né Robinson mostravano la minima preoccupazione per il conto, anzi, erano molto allegri e non perdevano un'occasione per attaccare discorso con la cameriera, che andava avanti e indietro tra i tavolini con aria altezzosa e con passo deciso. I suoi capelli ricadevano morbidamente sulla fronte e ai lati delle guance, e lei vi passava di continuo le mani per ricacciarli indietro. Infine, proprio quando ci si poteva aspettare da lei la prima parola gentile, si avvicinò al tavolo, vi appoggiò entrambe le mani e chiese: «Chi paga?». Mai mani si erano alzate più in fretta di quelle di Delamarche e Robinson, per indicare simultaneamente Karl. Questi non si spaventò perché in fondo se l'era aspettato, e non vedeva niente di male nel fatto che i suoi compagni, da cui si aspettava un aiuto, si lasciassero pagare da lui qualche cosa, anche se sarebbe stato più corretto mettere in chiaro tutto prima dell'ultimo momento. Gli seccava soltanto dover tirar fuori il denaro dalla sua tasca segreta. All'inizio aveva pensato di conservare il suo denaro per l'emergenza, in modo da trovarsi in un certo senso alla pari con i suoi compagni. Il vantaggio che ricavava possedendo quel denaro e soprattutto tacendone il possesso ai compagni era abbondantemente compensato dal fatto che costoro vivevano in America fin dalla loro infanzia, che avevano conoscenze ed esperienza sufficiente per poter guadagnare e che infine non erano certo abituati a condizioni di vita migliori di quelle incui si trovavano al momento. Pagando quel conto Karl non avrebbe certo sbilanciato i suoi progetti, perché in fondo poteva sempre rinunciare a un quarto di dollaro e quindi metterlo sul tavolo e dichiarare che era tutto il suo avere, e che lui era pronto a sacrificarlo per il loro viaggio comune a Butterford. Per un viaggio a piedi una somma simile era più che sufficiente. Non sapeva però se aveva abbastanza spiccioli, e per giunta quel denaro era insieme alle banconote nel fondo della tasca segreta, in cui di solito si trovava qualcosa soltanto rovesciando sul tavolo tutto il contenuto. Inoltre non era affatto necessario che i compagni venissero a conoscenza della sua tasca segreta. Ma per fortuna costoro continuavano a interessarsi più della cameriera che del modo in cui Karl avrebbe messo insieme i soldi per pagare. Delamarche attirò la cameriera fra sé e Robinson invitandola a presentare il conto, e quest'ultima riuscì a difendersi dalla loro invadenza soltanto respingendo ora l'uno ora l'altro con una manata sul viso. Nel frattempo Karl, accaldato per lo sforzo, sotto il piano del tavolo raccoglieva in una mano il denaro che con l'altra toglieva pezzo per pezzo dalla tasca segreta. Infine, sebbene non conoscesse ancora con precisione il denaro americano, pensò di avere la somma sufficiente, almeno in base alla quantità dei pezzi, e la depose sul tavolo. Il tintinnio delle monete interruppe subito gli scherzi. Tra l'irritazione di Karl e lo stupore generale risultò che sul tavolo c'era quasi un dollaro. Nessuno chiese come mai Karl non aveva accennato prima al denaro, più che sufficiente per un comodo viaggio in treno fino a Butterford, ma Karl si sentiva comunque molto imbarazzato. Dopo aver pagato il conto intascò lentamente il resto, e Delamarche gli tolse di mano ancora una moneta per darla in mancia alla cameriera, che abbracciò e strinse a sé porgendole poi la moneta con l'altra mano.

Quando ripresero il cammino, nessuno dei due parlò del denaro e Karl provò per loro una certa gratitudine, per un momento pensò persino di confessare l'entità della somma che aveva, ma non trovando l'occasione giusta vi rinunciò. Verso sera giunsero in una regione più fertile e agricola. Tutt'attorno si vedevano campi indivisi che si stendevano con il loro verde tenero su morbide colline, ricchi poderi si affacciavano sulla strada, e per ore camminarono tra i cancelli dorati dei giardini, attraversando più volte lo stesso corso d'acqua che scorreva lento e ascoltando spesso il rimbombo dei treni che passavano su viadotti aerei sopra le loro teste.

Il sole stava giusto tramontando contro il limite netto di boschi lontani, quando, giunti sopra un'altura, sedettero nell'erba in mezzo a un gruppetto d'alberi per riposarsi dalla fatica. Delamarche e Robinson si stesero a terra e si stirarono con energia. Karl si mise a sedere diritto guardando la strada pochi metri più in basso, dove le automobili sfrecciavano leggere l'una accanto all'altra, come già tutto il giorno, e sembrava che un numero preciso di automobili fosse inviato di continuo da una direzione in un'altra, dov'era atteso. Fin dal mattino e per tutto il giorno Karl non aveva visto un'automobile fermarsi, non un passeggero scendere.

Robinson propose di trascorrere lì la notte, dato che tutti erano abbastanza stanchi, in modo da poter partire più presto la mattina, anche perché sarebbe stato difficile trovare un alloggio migliore e più economico prima del calar della notte. Delamarche era d'accordo, soltanto Karl si sentì tenuto a dichiarare che aveva abbastanza denaro per pagare un letto a tutti, anche in un albergo. Delamarche disse che in seguito avrebbero avuto bisogno di denaro e che per ora era meglio tenerlo da parte, senza curarsi minimamente di nascondere che già stavano contando sul denaro di Karl. Dato che la sua prima proposta era stata accettata, Robinson aggiunse che prima di dormire dovevano fare un buon pasto per essere in forze la mattina seguente e uno di loro doveva andare a prendere il cibo per tutti all'albergo, di cui si vedeva l'insegna illuminata, «Hotel Occidental», poco lontano sulla strada maestra. Essendo il più giovane e anche perché nessun altro si muoveva, Karl non esitò a offrirsi di sbrigare la commissione, e dopo aver ricevuto l'ordine di acquistare lardo, pane e birra si diresse verso l'albergo.

Doveva esserci una grande città nei dintorni, perché già la prima sala dell'albergo in cui Karl entrò era piena di una folla chiassosa e al banco, che si stendeva per tutta la parete di fondo e le due pareti laterali, si affaccendavano senza tregua molti camerieri in grembiuli bianchi alti fino al petto che non riuscivano ad accontentare gli ospiti impazienti, infatti da ogni parte era tutto un imprecare e un battere i pugni sul tavolo. Nessuno prestava attenzione a Karl; del resto in sala non c'era neppure un servizio, e i clienti seduti a tavolini minuscoli, già troppo piccoli per tre persone, dovevano prendersi al banco quello che desideravano. Su tutti i tavolini c'era una grossa bottiglia di olio, aceto o qualcosa di simile e prima di mangiare i clienti innaffiavano tutti i cibi che avevano preso col liquido della bottiglia. Solo per arrivare al banco, dove probabilmente la sua grossa ordinazione avrebbe aumentato le difficoltà, Karl dovette farsi strada a fatica tra molti tavoli, e naturalmente pur usando la massima precauzione non poté fare a meno di disturbare i clienti, che tuttavia si comportarono con indifferenza, anche quando Karl rischiò di rovesciare un tavolino, contro cui comunque era stato spinto da un cliente. Si scusò subito ma evidentemente non lo capivano, e del resto neanche lui capiva una parola di quello che gli gridavano.

Al banco trovò a fatica un posticino libero, ma per un bel pezzo non riuscì a vedere nulla a causa dei gomiti dei vicini appoggiati sul banco. Comunque lì sembrava un'abitudine stare con i gomiti appoggiati sul banco e i pugni sulle tempie, e Karl ricordò che il suo professore di latino, il dottor Krumpal, che odiava quella posizione, all'improvviso arrivava alle spalle, faceva comparire una riga e con un colpo doloroso cacciava i gomiti giù dal banco.

Karl stava stretto contro il banco perché, non appena aveva trovato posto, avevano sistemato un tavolo dietro di lui, e uno dei clienti che vi si era seduto, ogni volta che parlando si piegava un poco all'indietro sfregava con forza il suo grosso cappello contro la schiena di Karl. Per giunta non aveva molta speranza di ricevere qualcosa dal cameriere, anche se i suoi due ingombranti vicini erano già stati serviti e se n'erano andati. Più volte Karl aveva afferrato il cameriere per il grembiule al di là del tavolo, ma questi si era sempre liberato con una smorfia. Era impossibile fermare qualcuno, tutti erano sempre di corsa. Se almeno vicino a lui ci fosse stato qualcosa di buono da mangiare e da bere l'avrebbe preso, avrebbe chiesto il prezzo e se ne sarebbe andato contento lasciando il denaro sul banco. Ma davanti a lui c'erano solo scodelle con dentro pesci che sembravano aringhe, dalle squame nere con un bordo dorato. Probabilmente erano molto costosi e non avrebbero saziato nessuno. A portata di mano c'erano anche piccole botticelle piene di rum, ma Karl non voleva portare del rum ai suoi compagni, i quali erano già troppo inclini alle bevande più alcooliche e non era certo il caso di incoraggiarli.


Date: 2015-12-18; view: 597


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