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La poesia fa parte della prima raccolta di Montale, "Ossi di seppia".

Quanti annii che mesi

Un poeta che non è “religioso” nel senso letterale del termine, né particolarmente vicino alla fede cattolica. Vorrei insomma evitare di proposito digiocare in casa. Si tratta di una poesia di Vittorio Sereni (1913-1983), uno dei più validi autori del nostro Novecento [nella foto]. Risale agli anni Quaranta e si trova nella raccolta Gli strumenti umani, apparsa nel 1965. Premetto al testo solo una breve indicazione che può agevolare la lettura: Voldomino (interpretato nei versi che seguono come una derivazione da “Vultus Domini”) è una località del Comune di Luino, lacittà nataledi Sereni, sul lago Maggiore.

Invocazione che in questapoesiaè rivolta a un luogo amato, allo spettacolo dell’alba e, indirettamente, a un soprannaturale, a un “volto di Dio” che si intravede dietro di loro. Sereni ha cercato proprio nella liturgia una formula in grado di esprimere questo senso di abbandono fiducioso e di rigenerazione.

 

 

La poesia fa parte della prima raccolta di Montale, "Ossi di seppia".

Figure retoriche:
-sinestesia (fusione dei sensi: nella strofa 2, vista e udito)
-simbolismo: pochi oggetti caricati di senso: girasole rappresenta la vitalità che esplode, il terreno bruciato l'aridità ->forte contrasto

L'invocazione iniziale è un verso di quelli che si stampano nella memoria: portami il girasole ch'io lo trapianti. C'è tutta la forza di una preghiera e la debolezza del poeta, la cui anima è un terreno bruciato dal salino, una ferita di una terra dolorosa. Il girasole, pianta magica e dalle foglie gialle, come quei limoni cantati da Montale in altre liriche, è quasi reso in maniera antropomorfica, con quel volto giallino che chiude la prima quartina. Ma più che un uomo è un angelo, unadivinità, un mago, che tende verso il cielo azzurro per ansia e bramosia di infinito: non un girasole, il girasole.

La seconda quartina esprime tutto il disincanto tipico della poetica di Montale: anche il cielo non è che illusione, ma una bellissima vanità, una musica che compensa l'inconsistenza di tutte le cose. Ecco il significato del passare dalla corporeità a sensazioni che vanno oltre l'estensione: la vista e poi l'udito, che dei sensi è il più volatile. La constatazione che lo svanire è la ventura delle venture ha anch'essa un che di magico: il morire nella musica, che è la cosa più vicina alla poesia, è un destino che ha in sé qualcosa di meraviglioso. In questo senso questa strofa simboleggia alla perfezione quellaamara meraviglia che percorre come un filo continuo tutta la poetica di Montale.

L'ultima parte riprende l'inizio del componimento per quanto riguardal'invocazione e prosegue il tema del dissolvimento: trasparenze e verbi qualivapora fanno capire quanto ci stiamo allontanando dalla materialità per giungere all'essenza. Il girasole è ormai simbolo di un'ebbrezza quasi mistica, che rischiara la visione delle cose, estremo tentativo di una poesia che è anchefilosofia, teoria (nel senso greco del termine: vedere) della luce, qualcosa di fronte al quale non si può fare altro che impazzire. Quello che sta chiedendo Montale alla sua Musa non è conoscenza, è qualcosa di più, è quello che ai poeti, e anche a me, piace chiamare Illuminazione.



 

 

Novembreè una delle poesie che compongono la raccoltaMyricae diGiovanni Pascoli. Qui il poeta descrive quanto sia precaria la felicità a cui l'essere umano può aspirare durante la sua vita. Operando, come anche negli altri testi della raccolta, un paragone con il mondo naturale, Pascolidescrive un'illusoria primavera novembrina. Il sole è “così chiaro” che egli è spinto a ricercare gli albicocchi in fiore, tipico segnale di un'estate imminente. Ma tutto ciò si rivela un inganno: guardandosi attorno il poeta scopre un paesaggio autunnale, la vegetazione addormentata, e il cielo disabitato dagli uccelli. L'unico suono che arriva alle sue orecchie è quello delle foglie che cadono, e Pascoli ci parla di “estate fredda dei morti” (v. 11-12).

Così, come un'inaspettata giornata di sole a novembre ci illude che l'estate sia vicina, la serenità e la gioia che contraddistinguono l'infanzia e la giovinezza c'ingannano rispetto a ciò che ci aspetta. Trascorsa l'età fanciullesca infatti, la vita ci riserva, secondo l'autore, solo tristezza e paura, accompagnate perennemente da una consapevolezza di morte che viene espressa al suo apice nelle ultime due strofe della poesia. Novembre, in questa testimonianza del disagio esistenziale pascoliano (e dell'inattingibilità del sereno mondo dell'infanzia), è per altro emblematica anche di alcune soluzioni stilistiche diMyricae: il ricorso alle sensazioni coloristiche, olfattive ed uditive ("il sole così chiaro", v. 1; "gli albicocchi in fiore" v. 2; "del prunalbo l'odorino amaro", v. 3 "le stecchite piante | di nere trame", vv. 5-6; "Silenzio, intorno", v. 9), l'uso attento di alcune figure retoriche(l'ossimoro de "l'estate | fredda", vv. 11-12; la metonimia di "cader fragile", v. 11), la sintassi piana in cui all'evocatività delle immagini si somma l'uso di un lessico a volte molto tecnico e specialistico (il "prunalbo" è il biancospino), che creano l'atmosfera straniante diNovembre.

 

 


La madre di Ungaretti

 

Questa poesia appartiene alla seconda fase compositiva del poeta, durante la quale vengono recuperate varie caratteristiche della poesia classica, poichè, a differenza della prima fase, ricompare la punteggiatura, mentre i versi diventano più lunghi e la parola non è più valorizzata come in precedenza.

Il soggetto di questa poesia è il ricordo, tipico tema di Ungaretti, della madre ormai defunta. Dal ricordo della madre, però, il poeta trae subito spunto per trattare il tema religioso, che domina completamente tutto il testo.

La poesia si apre con due figure retoriche, una dell'ordine, il chiasmo, e una del significato, l'analogia.

Le parole dei primi due versi : "E il cuore quando d'un ultimo battito \ avrà fatto cadere il muro d'ombra", possono essere infatti suddivise in due gruppi logici. Il primo gruppo è costituito dai complementi legati al sostantivo cuore: "il cuore", "d'un ultimo battito", " il muro d'ombra". Il secondo gruppo è invece costituito dal verbo "avrà fatto cadere" e dalla congiunzione "quando" legata ad esso.

Gli elementi che compongono questi due gruppi logici sono incrociati in alternanza tra di loro, creando così la tipica figura del chiasmo.

"L'ultimo battito del cuore" rappresenta inoltre una perifrasi che sostituisce il sostantivo morte e che crea con "il muro d'ombra" una analogia. Il poeta infatti presenta "l'ultimo battito del cuore", cioè la morte, come un "muro d'ombra", cioè come una barriera oscura. Per il poeta, cioè, la morte rappresenta la barriera, il punto di passaggio oscuro e misterioso tra la vita terrena e quella ultraterrena a fianco del Signore.

Nel IV verso, "come una volta mi darai la mano", il poeta parla per la prima volta della madre, dicendo che essa gli darà come una volta la mano, cioè esprime grande fiducia in lei, che come una volta gli era guida nella vita terrena, ora ancora una volta gli sarà guida, nella vita ultraterrena.

Nella strofa successiva il poeta descrive la grande religiosità della madre, paragonandola, nella figura retorica della metafora, ad una statua, cioè ad una credente fervida e decisa : "sarai una statua davanti all'Eterno" (v 6).

Viene poi espressa la sua fiducia in Dio, poichè ella alzerà verso di lui le sue braccia, così come fece in punto di morte, affidandosi a lui : "Alzerai tremante le vecchie braccia, \ come quando spirasti dicendo :" Mio Dio eccomi" (vv 9/11).

Nei versi che seguono, il poeta esprime ancora una volta il fervore religioso della madre, tale per cui solo dopo che lui avrà ricevuto il perdono di Dio, la donna vorrà guardarlo: "E solo quando m'avrà perdonato/ ti verrà desiderio di guardarmi" (vv12/13).

Questa caratteristica della madre risalta ancora di più grazie all' affermazione del verso seguente, nella quale è detto che la madre lo aveva atteso tanto.

La poesia si conclude infine con una sinestesia: "e avrà negli occhi un rapido sospiro" (v 15), poichè alla vista, gli occhi, viene associato il respiro, "un rapido sospiro".

In questa poesia Ungaretti tratta non solo, come detto in precedenza, il tema religioso, ma in particolare la sua ansia e la sua ricerca del divino. Esprime infatti le caratteristiche religiose della madre, cioè la forte religiosità e la fiducia in Dio e, come già detto, anche la sua fiducia in lei, ponendola come propria guida. Così facendo, si prefigge di diventare come lei, e aspira quindi alla sua grande fede in Dio e a Dio stesso.


Date: 2015-12-18; view: 583


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