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Scoppia il temporale

 

L'indomani le trombe squillarono di buon mattino nell'accampamento. Presto si vide un tale tutto solo affrettarsi su per lo stretto sentiero. A una certa distanza si fermò e li salutò, e domandò se Thorin avrebbe dato ascolto a un'altra ambasceria, poiché incombevano grandi novità, e le cose erano cambiate.

«Sarà Dain!» disse Thorin quando udì ciò. «Avranno avuto sentore del suo arrivò. Sapevo che questo avrebbe cambiato il loro modo di fare! Intima loro di venire in pochi e disarmati, e io li ascolterò» gridò al messaggero.

Verso mezzogiorno si videro venire avanti di nuovo gli stendardi della Foresta e del Lago. Era una compagnia di circa trenta persone; all'inizio dello stretto sentiero misero da parte spade e lance, e avanzarono verso la Porta. Stupiti, i Nani videro che in mezzo a loro c'erano sia Bard sia il re degli Elfi, davanti al quale un vecchio, avvolto in mantello e cappuccio, portava un robusto cofanetto di legno fasciato di ferro.

«Salute, Thorin!» disse Bard. «Sei ancora dello stesso parere?»

«Io non cambio parere con l'alba e il tramonto di pochi soli» rispose Thorin. «Siete venuti a farmi domande oziose? L'esercito degli Elfi non se ne è ancora andato via, come avevo intimato! Fino ad allora, inutilmente vieni a trattare con me!»

«Non c'è nulla per cui cederesti un po' del tuo oro?»

«Nulla che tu o i tuoi amici abbiate da offrire.»

«E se fosse l'Archepietra di Thrain?» disse Bard, e a quelle parole il vecchio aprì il cofanetto e tenne alta la gemma. La luce filtrò dalla sua mano, vivida e bianca nel mattino.

Allora Thorin ammutolì, stupefatto e confuso. Per un lungo momento nessuno parlò.

Alla fine Thorin ruppe il silenzio, e la sua voce era densa di collera. «Quella pietra era di mio padre, e appartiene a me» disse. «Perché dovrei comprare quello che mi appartiene?» Ma lo stupore lo sopraffece e aggiunse: «Ma come vi siete impadroniti di questo cimelio della mia famiglia? ammesso che ci sia bisogno di fare una domanda simile a dei ladri....»

«Noi non siamo ladri» rispose Bard. «Quello che ti spetta ti verrà restituito in cambio di quello che spetta a noi.»

«Come ve ne siete impadroniti?» urlò Thorin in un crescendo di collera.

«Gliel'ho data io!» squittì Bilbo, che faceva capolino da sopra il muro, ormai spaventato da morire.

«Tu! Tu!» gridò Thorin, voltandosi verso di lui e afferrandolo con entrambe le mani. «Miserabile Hobbit! Sottosviluppato! Scassinatore!» egli gridò, mancandogli le parole, e scosse il povero Bilbo come un coniglio.

«Per la barba di Durin! Come vorrei che Gandalf fosse qui! Sia maledetto, lui che ti ha scelto! Gli caschi la barba! Per quanto riguarda te, ti scaraventerò giù dalle rocce!» gridò, e sollevò Bilbo con le braccia.

«Fermo! Il tuo desiderio è esaudito!» disse una voce. Il vecchio con il cofanetto buttò da parte cappuccio e mantello. «Ecco qua Gandalf! E neanche troppo presto, a quel che vedo! Se non ti piace il mio scassinatore, per favore non danneggiarmelo. Mettilo giù, e ascolta prima cos'ha da dire!»



«Siete proprio tutti d'accordo!» disse Thorin posando Bilbo in cima al muro. «Non avrò mai più niente a che fare con uno stregone né con i suoi amici. Che hai da dire tu, brutto ratto figlio di ratti?»

«Povero me! Povero me!» disse Bilbo. «Tutto questo è molto imbarazzante. Forse ti ricorderai di avere detto che avrei potuto scegliere la mia quattordicesima parte. Forse ti ho preso troppo alla lettera: mi è stato detto che talvolta i Nani sono più educati a parole che a fatti. Ciononostante c'è stato un tempo in cui sembrava che tu ritenessi che io vi ero stato di un certo aiuto. Figlio di ratti, ma senti un po'! Sono questi i servigi che mi hai promesso a nome tuo e della tua famiglia, Thorin? Considera che ho disposto a piacer mio della mia parte e lascia perdere!»

«Lo farò!» disse Thorin aspramente. «E lascerò perdere anche te - e il cielo voglia che non ci rincontriamo mai più!» Poi si volse e parlò da sopra al muro. «Sono stato tradito» disse. «Era giusto immaginare che non avrei potuto fare a meno di riacquistare l'Archepietra, il tesoro della mia famiglia. Per essa darò la quattordicesima parte del tesoro in oro e argento, lasciando da parte le gemme; ma tutto ciò verrà calcolato come la parte promessa a questo traditore, e con questa ricompensa può andarsene e voi potete dividervela come vi pare. Lui ne avrà ben poco, non lo metto in dubbio. Prendetevelo, se volete che viva; la mia amicizia certo non lo accompagna. Adesso scendi dai tuoi amici!» disse a Bilbo «o ti butto giù io.»

«E l'oro e l'argento?» domandò Bilbo.

«Verranno dopo; come, si vedrà» disse Thorin. «Scendi!»

«Fino ad allora terremo noi la pietra» gridò Bard.

«Non stai facendo una bellissima figura come Re sotto la Montagna» disse Gandalf. «Ma le cose possono ancora cambiare.»

«Proprio così» disse Thorin. E stava già meditando, tanto forte era il fascino che il tesoro esercitava su di lui, se con l'aiuto di Dain non gli sarebbe stato possibile riprendere l'Archepietra e trattenere la ricompensa.

E così Bilbo fu calato dal muro, e partì senza niente di niente per tutta la pena che si era presa, tranne l'armatura che Thorin gli aveva già dato. Più di un Nano sentì in cuor suo vergogna e pietà per la sua partenza.

«Addio!» egli gridò loro. «Spero che un giorno ci rincontreremo da amici.»

«Sparisci!» urlò Thorin. «Hai indosso un'armatura che è stata fatta dalla mia gente e che è troppo buona per te. Non può essere trafitta dalle frecce; ma se non ti sbrighi, ti pungerò quei miserabili piedi. Perciò spicciati!»

«Senza tanta fretta!» disse Bard. «Ti diamo tempo fino a domani. A mezzogiorno torneremo a vedere se hai prelevato dal tesoro la porzione che deve essere barattata con la pietra. Se questo sarà fatto senza fallo, allora ce ne andremo, e l'esercito degli Elfi ritornerà nella foresta. Nel frattempo, addio!»

Con ciò se ne tornarono all'accampamento; ma Thorin inviò messaggeri tramite Roäc per informare Dain di quanto era accaduto, e per intimargli di venire a marce forzate.

 

* * *

 

Passò il giorno e passò la notte. L'indomani il vento mutò, e si mise a soffiare da Ovest, e l'aria era scura e tetra. Era ancora mattino presto quando nell'accampamento si udì un grido. Alcuni messaggeri vennero a riferire che un esercito di Nani era apparso dietro lo sperone orientale della Montagna, e si affrettava ora verso Dale. Dain era arrivato. Aveva forzato la marcia durante la notte, ed era piombato su di loro prima di quanto si aspettassero. Ogni Nano del suo popolo era rivestito di un ausbergo di maglia d'acciaio che gli arrivava fino alle ginocchia, e le gambe erano coperte da schinieri fatti di una lega metallica fine e flessibile, il cui segreto era prerogativa del popolo di Dain. I Nani sono eccezionalmente forti per la statura, ma la maggior parte di questi era forte perfino rispetto ad altri Nani. In battaglia brandivano gravine; ma ciascuno di loro aveva al fianco anche una spada corta e larga, e uno scudo rotondo gli pendeva dietro la schiena. Portavano la barba divisa in due, intrecciata e infilata nella cintura. Calzavano scarpe ferrate, di ferro erano i loro elmi, e i loro volti erano spietati.

Le trombe chiamarono Uomini ed Elfi alle armi. Poco dopo si videro i Nani risalire la valle a forte andatura. Si fermarono tra il fiume e lo sperone orientale; ma alcuni proseguirono e, attraversato il fiume, si avvicinarono all'accampamento; lì deposero le armi e alzarono le mani in segno di pace. Bard uscì a incontrarli e con lui andò Bilbo.

«Siamo inviati da Dain figlio di Nain» dissero quando furono interrogati. «Ci affrettiamo a raggiungere i nostri consanguinei nella Montagna, perché siamo stati informati che il regno del passato è risorto. Ma chi siete voi che sedete in questa pianura come nemici di fronte a mura difese?» Questo, nel linguaggio educato e alquanto fuori moda che si usava in tali occasioni, significava semplicemente: «Non avete niente da fare qui. Noi andiamo avanti, dunque toglietevi di mezzo o vi facciamo guerra!» Essi intendevano inoltrarsi tra la Montagna e la curva del fiume; infatti non sembrava che quella stretta striscia di terra fosse saldamente protetta.

Bard, ovviamente, rifiutò ai Nani il permesso di dirigersi direttamente verso la Montagna. Era risoluto ad aspettare finché l'oro e l'argento non fossero stati tirati fuori in cambio dell'Archepietra; ed egli non credeva che questo sarebbe avvenuto, qualora la fortezza fosse difesa da una compagnia così numerosa e così marziale. Essi avevano portato con sé una grande riserva di provviste; infatti i Nani possono portare fardelli molto pesanti, e quasi tutta la gente di Dain, nonostante la loro rapida marcia, portava sulla schiena, oltre alle armi, dei grossi fagotti. Avrebbero sostenuto un assedio per settimane, e in quel mentre altri Nani sarebbero potuti arrivare, e altri ancora, perché Thorin aveva molti parenti. Inoltre, essi avrebbero potuto riaprire e sorvegliare qualche altro ingresso, così che gli assedianti avrebbero dovuto circondare l'intera Montagna; e per far questo non erano abbastanza numerosi.

 

 

Questi, in realtà, erano esattamente i loro piani (i corvi messaggeri erano stati indaffaratissimi a volare fra Thorin e Dain); ma per il momento la via era loro sbarrata, sicché dopo aver detto parole irate, i Nani messaggeri si ritirarono imprecando nella barba. Allora Bard inviò messaggeri verso la Porta; ma essi non ebbero né oro né pagamento. Appena furono a tiro, vennero investiti da un nugolo di frecce, e si affrettarono a tornarsene indietro costernati. Nell'accampamento regnava ormai la più grande eccitazione, come se la battaglia fosse imminente; infatti i Nani di Dain avevano ripreso ad avanzare lungo la riva orientale.

«Pazzi!» rise Bard «venire così sotto le pendici della Montagna! Non capiscono niente di guerre all'aria aperta, anche se sono esperti di battaglie nelle miniere. Ci sono molti dei nostri arcieri e soldati nascosti tra le rocce sul loro fianco destro. Le armature nanesche saranno anche buone, ma tra poco saranno messe duramente alla prova. Attacchiamoli da entrambi i lati adesso, prima che si siano riposati!»

Ma il re degli Elfi disse: «Aspetterò a lungo, prima di iniziare questa guerra per l'oro. I Nani non possono passare di qui, se noi non lo vogliamo o se non succede qualcosa che non possiamo prevedere. Speriamo ancora che qualcosa porti alla riconciliazione. La nostra superiorità numerica sarà sufficiente, se alla fine sarà proprio inevitabile venire alle mani.»

Ma egli faceva i conti senza i Nani. La consapevolezza che l'Archepietra era nelle mani degli assedianti bruciava nella loro mente; inoltre indovinarono l'esitazione di Bard e dei suoi amici e risolsero di attaccare mentre essi discutevano. Senza un segnale essi balzarono improvvisamente all'assalto. Gli archi si tesero e le frecce fischiarono; stava per iniziare la battaglia.

Ma più improvvisamente ancora, con velocità spaventosa, calò una fitta oscurità. Una nuvola nera correva alta nel cielo. Una tempesta invernale, trasportata da un vento fortissimo, rotolò rombando contro la Montagna, e i fulmini ne illuminarono la vetta. E sotto le nuvole temporalesche si vide un'altra macchia nera che avanzava turbinando; ma non veniva col vento, veniva da Nord, come un'immensa nube di uccelli, così fitta che nessuna luce poteva filtrare tra le loro ali.

«Férmi!» gridò Gandalf, che subitamente apparve, isolato, in piedi e con le braccia levate, fra i Nani che avanzavano e le schiere che li aspettavano. «Fermi!» egli gridò con voce tonante, e il suo bastone fiammeggiò con un bagliore simile a quello del fulmine. «Il terrore è calato su tutti voi! Ahimè! È arrivato più presto di quanto immaginavo. Gli Orchi sono su di voi! Sta arrivando Bolg dal Nord, o Dain!, il cui padre ammazzasti a Moria. Ecco! I pipistrelli sono sopra il suo esercito come una marea di cavallette. Ed essi montano i lupi, e i Mannari sono al loro seguito!»

Caddero tutti in preda allo stupore e alla confusione. Mentre Gandalf parlava il buio cresceva. I Nani si fermarono e fissarono il cielo. Molte voci gridarono nelle schiere degli Elfi.

«Venite!» disse Gandalf. «C'è ancora tempo per un consiglio. Dain figlio di Nain venga subito da noi!»

 

* * *

 

Cominciò dunque una battaglia che nessuno si era aspettato; e fu chiamata la Battaglia dei Cinque Eserciti, e fu tremenda. Da un lato Orchi e Lupi Selvaggi, e dall'altro Elfi, Uomini e Nani. Ed ecco come si iniziò: fin da quando era caduto il Grande Orco delle Montagne Nebbiose l'odio della loro razza contro i Nani si era riacceso più furibondo che mai. Messaggeri avevano fatto la spola fra tutte le loro città, colonie e piazzeforti; ed ora essi decisero di assicurarsi il dominio del Nord. In gran segretezza si erano informati di tutto ciò che potesse servire al loro scopo, e per tutte le montagne si forgiarono armi. Poi marciarono per valli e colline confluendo da ogni parte e avanzando sempre o sotto terra o al buio, finché ai piedi del gran Monte Gundabad del Nord, dov'era la loro capitale, non fu raccolto un vasto esercito pronto a riversarsi a Sud, di sorpresa, durante una tempesta.

Erano venuti a sapere della morte di Smog, e i loro cuori erano ebbri di gioia; a marce forzate, una notte dopo l'altra, attraversarono le montagne e alla fine giunsero da Nord proprio alle calcagna di Dain. Neanche i corvi imperiali furono a conoscenza del loro arrivo finché essi non uscirono nelle terre desolate che dividevano la Montagna Solitaria dalle colline retrostanti. È impossibile dire quel che ne sapesse Gandalf, ma è chiaro che non si era aspettato un attacco così improvviso.

Questo è il piano che egli elaborò in consiglio con il re degli Elfi e con Bard e con Dain, visto che ora il signore dei Nani si era unito a loro: infatti gli Orchi erano nemici di tutti, e al loro arrivo ogni altro dissidio fu dimenticato. La loro sola speranza era di attirare gli Orchi nella valle tra i contrafforti della Montagna; e di potere essi stessi occupare i grandi speroni che si sporgevano a Sud e a Est. Questo poteva però essere pericoloso se gli Orchi fossero stati in numero sufficiente da invadere la Montagna stessa, così da attaccare contemporaneamente da dietro e da sopra; ma ormai non c'era tempo per fare un altro piano, o per chiedere aiuto.

 

 

Presto il temporale passò, rombando, verso Sud-Est; ma la nube di pipistrelli, volando più bassa, giunse sopra lo schienale della Montagna, e volteggiò su di loro togliendo la vista della luce e riempiendoli di terrore.

«Alla Montagna!» gridò Bard. «Alla Montagna! Prendiamo posizione finché c'è ancora tempo!»

Sui pendii più bassi dello sperone meridionale e tra le rocce ai suoi piedi si disposero gli Elfi; sullo sperone orientale stavano gli Uomini e i Nani. Ma Bard e parecchi fra gli Uomini e gli Elfi più agili si arrampicarono in alto sul dorso orientale per riuscire a vedere che cosa succedeva a Nord. Presto scorsero le terre ai piedi della Montagna, nere per la moltitudine che si affrettava. Non ci volle molto perché l'avanguardia aggirasse l'estremità dello sperone ed entrasse precipitosamente a Dale. Erano i più veloci, quelli che cavalcavano i lupi, e l'aria era già piena delle loro grida e dei loro ululati. Un manipolo di Uomini coraggiosi si era schierato davanti in quel punto col compito di fingere una resistenza, e molti caddero lì prima che il resto si ritirasse aprendosi su entrambi i lati. Come Gandalf aveva sperato, il grosso dell'esercito degli Orchi si era ammassato dietro l'avanguardia mentre a questa veniva contrastato il passo, e ora essi si riversarono furiosi dentro la valle, spingendosi selvaggiamente in mezzo ai due contrafforti della Montagna, in cerca del nemico. Innumerevoli erano i loro stendardi, rossi e neri, ed essi avanzavano come una marea furibonda e disordinata.

Fu una battaglia tremenda. La più terribile di tutte le esperienze di Bilbo, e quella che egli odiò di più quando la visse - vale a dire quella di cui fu più fiero, e che più amò poi ricordare, benché la parte da lui avuta fosse stata del tutto insignificante. Per l'esattezza, posso dire che si mise l'anello poco dopo l'inizio di tutta la faccenda, e sfuggì alla vista di ognuno, se non al pericolo. Un anello magico come il suo non dà una protezione assoluta durante una carica di Orchi, e non ferma una freccia volante o una lancia in arrivo: ma resta pur sempre assai utile se uno vuole togliersi di mezzo ed evitare che proprio la sua testa sia prescelta per un fendente calato da un Orco.

Gli Elfi furono i primi a caricare. Il loro odio contro gli Orchi è freddo e spietato. Lance e spade brillavano nella penombra con un gelido bagliore di fiamma, tanto mortale era l'ira delle mani che le reggevano. Appena le schiere nemiche si infittirono nella valle, essi scagliarono una pioggia di frecce, e ciascuna guizzò volando come un fuoco pungente. Dietro le frecce un migliaio dei loro arcieri strisciò giù e caricò. Le urla erano assordanti. Le rocce erano macchiate del nero sangue degli Orchi.

Proprio mentre questi si riprendevano dall'assalto furioso, e la carica degli Elfi si arrestava, attraverso la valle si levò un ruggito roco. Con grida di «Moria!» e «Dain, Dain!», i Nani dei Colli Ferrosi si lanciarono all'attacco sull'altro lato, brandendo le loro gravine dalla parte a punta; e dietro di essi venivano gli Uomini del Lago dalle lunghe spade.

Il panico si impadronì degli Orchi; e mentre si voltavano a fronteggiare questo nuovo attacco, gli Elfi caricarono di nuovo con maggior impeto. Già molti Orchi fuggivano giù per il fiume per sottrarsi alla trappola; e molti lupi gli si rivoltavano contro e squarciavano morti e feriti. Pareva che la vittoria fosse a portata di mano quando un grido risonò sulle alture sovrastanti.

Una parte degli Orchi aveva scalato la Montagna dall'altro lato e molti erano già sui pendii sopra la Porta, e altri ancora scendevano a fiotti incuranti del pericolo, senza badare a quelli che cadevano gridando da rupi e precipizi, per attaccare gli speroni da sopra. Ognuno di questi poteva essere raggiunto dai sentieri che correvano giù dal massiccio centrale della Montagna; e i difensori avevano troppo pochi soldati per poter sbarrare loro la via. Svaniva ora ogni speranza di vittoria. Avevano solo arginato il primo assalto furioso della nera marea.

Le ore passavano. Gli Orchi si raccolsero di nuovo nella valle. Ed ecco che una schiera di Mannari arrivò in cerca di preda, e con essi arrivò la guardia del corpo di Bolg, grandi Orchi dalle scimitarre d'acciaio. Presto il buio si infittì nel cielo tempestoso; e i grandi pipistrelli volteggiavano intorno alla testa e alle orecchie degli Elfi e degli Uomini, o si attaccavano come vampiri sui caduti sul campo di battaglia. Bard combatteva ora per difendere lo sperone orientale e retrocedeva a poco a poco; i nobili Elfi resistevano intorno al loro re sullo sperone meridionale, vicino al posto di guardia di Collecorvo.

Improvvisamente ci fu un grido fortissimo, e dalla Porta venne uno squillo di tromba. Avevano tutti dimenticato Thorin! Parte del muro, scalzato da leve, crollò e cadde nella pozza. Il Re sotto la Montagna balzò fuori, e i suoi compagni lo seguirono. Cappuccio e mantello erano spariti; erano tutti rivestiti di abbaglianti armature, e dai loro occhi divampava una luce rossa. Nella penombra il Grande Nano brillava come oro in un fuoco morente.

Dall'alto, gli Orchi fecero rotolare su di loro dei macigni, ma essi resistettero, superando le cascate, e si precipitarono a dar battaglia. Lupi e cavalieri caddero o fuggirono davanti a loro. Thorin assestava colpi possenti con la sua ascia, e sembrava invulnerabile.

«A me! A me! Elfi e Uomini! A me! o miei consanguinei» egli gridò, e la sua voce squillava come un corno nella vallata.

Tutti i Nani di Dain si precipitarono allora in suo aiuto, senza badare allo schieramento. Vennero giù anche molti degli Uomini del Lago, né Bard riuscì a impedirlo; e dall'altro lato si unirono molti soldati elfici. Una volta ancora gli Orchi furono stretti d'assalto nella valle; e gli alti cumuli dei loro cadaveri resero Dale scura e ripugnante. I Mannari furono sbaragliati e Thorin puntò decisamente contro le guardie del corpo di Bolg. Ma non riuscì a sfondare i loro ranghi.

Dietro di lui, in mezzo agli Orchi morti, giacevano ormai molti Uomini e molti Nani, e molti nobili Elfi che avrebbero dovuto vivere ancora nei boschi a lungo e allegramente. E man mano che la valle si allargava, l'attacco di Thorin si faceva meno impetuoso. La sua schiera era troppo poco numerosa, i suoi fianchi erano scoperti. Presto gli attaccanti vennero attaccati, e furono stretti in un gran cerchio, fronteggiati da ogni lato, circondati da Orchi e lupi che tornavano all'assalto.

Le guardie del corpo di Bolg vennero urlando contro di loro, e si precipitarono sulle loro file come ondate contro scogli che si sgretolano sotto la loro furia. I loro amici non potevano aiutarli, poiché l'attacco dalla Montagna era rinnovato con raddoppiato vigore, e su entrambi i lati Uomini ed Elfi stavano lentamente cedendo.

Con immensa pena Bilbo assisteva a tutto ciò; aveva preso posizione su Collecorvo in mezzo agli Elfi - in parte perché da quel punto c'erano maggiori possibilità di fuga, e in parte (la parte più Tucchica della sua testa) perché, se doveva trovarsi in una situazione di difesa disperata, tutto sommato preferiva difendere il re degli Elfi. Anche Gandalf, posso aggiungere, era lì, seduto per terra e come immerso in profonde meditazioni, preparando, posso immaginare, qualche ultimo colpo magico prima della fine.

Questa non pareva molto lontana. 'Ormai non manca molto' pensò Bilbo 'che gli Orchi conquistino la Porta, e noi siamo tutti massacrati o inseguiti e catturati. C'è da piangere, pensando a tutto quello che abbiamo passato. Quasi quasi preferirei che il vecchio Smog fosse rimasto qui con il suo maledetto tesoro, piuttosto che se ne impossessino questi esseri spregevoli, e il povero vecchio Bombur e Balin e Fili e Kili e tutti gli altri facciano una brutta fine! Misero me! Ho udito canti di molte battaglie, e mi è sempre parso che anche la sconfitta possa essere gloriosa. Come è dolorosa, invece, e quanta angoscia! Come vorrei esserne fuori sano e salvo!'

Ma ecco che le nuvole furono spazzate via dal vento e un rosso tramonto squarciò l'Occidente.

Vedendo quell'improvviso chiarore che fugava la penombra, Bilbo si guardò intorno, e lanciò un grido altissimo: aveva scorto un'apparizione che gli fece balzare il cuore in petto, scure sagome ancora piccole che si stagliavano maestose contro quel chiarore lontano.

«Le aquile! Le aquile!» urlò. «Arrivano le aquile!»

Gli occhi di Bilbo si ingannavano raramente. Le aquile stavano arrivando nella direzione del vento, una fila dietro l'altra, in numero tale che tutti i nidi del Nord pareva ne fossero stati svuotati.

«Le aquile! Le aquile!» gridò Bilbo, ballando e agitando le braccia. Se gli Elfi non potevano vederlo potevano però udirlo: presto ripresero il suo grido, ed esso si ripercosse attraverso la valle.

Molti occhi stupiti si volsero in su, benché fino a quel momento non si potesse vedere ancora niente, se non dallo sperone meridionale della Montagna.

«Le aquile!» gridò Bilbo ancora una volta, ma in quell'attimo una pietra proveniente dall'alto batté pesantemente sul suo elmo, ed egli crollò a terra e perse conoscenza.

 


CAPITOLO XVIII


Date: 2015-12-17; view: 723


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