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Barili a garganella

 

L'indomani della battaglia coi ragni, Bilbo e i Nani fecero un ultimo sforzo disperato per trovare una via d'uscita prima di morire di fame e di sete. Si alzarono e avanzarono barcollando seguendo la direzione in cui - secondo almeno otto di loro - doveva trovarsi il sentiero; ma non riuscirono a sapere se la loro decisione era stata giusta o no. Infatti, quella specie di giorno che c'era nella foresta stava ancora una volta sbiadendo nelle tenebre della notte, quando all'improvviso tutt'intorno a loro si accesero le luci di molte torce, come centinaia di stelle rosse. Ed ecco che guardinghi avanzarono allo scoperto gli Elfi Silvani, armati di archi e frecce, e intimarono ai Nani di fermarsi.

Non c'era neanche da pensare a dar battaglia. Anche se i Nani non fossero stati in uno stato tale da essere addirittura felici di venire catturati, i loro piccoli coltelli, le sole armi che avessero, sarebbero stati perfettamente inutili contro le frecce degli Elfi, che potevano colpire un uccello al buio. Così non fecero altro che sedersi rigidi come mummie ad aspettare - tutti tranne Bilbo, che si mise l'anello e scivolò via lestamente da una parte. Per questo, quando gli Elfi legarono i Nani in una lunga fila, uno dietro l'altro, e li contarono, non trovarono né contarono lo Hobbit.

E nemmeno lo udirono o si accorsero di lui mentre trotterellava proprio dietro di loro alla luce delle torce, quando portarono via i prigionieri attraverso la foresta. Ogni Nano aveva una benda sugli occhi, ma questo non faceva molta differenza, perché neanche Bilbo, che dei propri occhi poteva far uso, riusciva a vedere dove stessero andando, e comunque né lui né gli altri sapevano da dove erano partiti. Bilbo dovette mettercela tutta per tenere dietro alle torce, poiché gli Elfi facevano camminare i Nani quanto più velocemente potevano, esausti e malconci com'erano. Il re aveva dato ordine di sbrigarsi. D'un tratto le torce si spensero, e lo Hobbit ebbe appena il tempo di raggiungerli prima che cominciassero a passare il ponte. Si trattava del ponte che, dopo avere attraversato il fiume, conduceva ai Portali del re. Al di sotto, l'acqua scorreva scura, rapida e violenta; e all'estremità opposta c'erano dei portoni davanti all'imboccatura di una grossa caverna che si apriva nel fianco di un erto pendio coperto di alberi. I grandi faggi scendevano giù fino a immergere le radici nell'acqua.

Passato il ponte, gli Elfi tolsero la benda ai prigionieri, ma Bilbo indugiò esitante alle loro spalle. L'imboccatura della caverna non gli piaceva per niente, e decise di non abbandonare i suoi amici solo all'ultimo momento, sgattaiolando alle calcagna degli ultimi Elfi appena in tempo prima che i grandi Portali del re si chiudessero dietro di loro con un secco clangore.

All'interno i cunicoli erano illuminati dalla luce rossa delle torce, e le guardie elfiche cantavano mentre avanzavano marciando in quei tunnel che giravano, si incrociavano, ed echeggiavano. Non erano come quelli delle città degli Orchi; erano più piccoli, non si inoltravano troppo sotto terra, ed erano ben aerati. In una grande sala dai pilastri scolpiti nella viva roccia il re degli Elfi sedeva su un trono di legno intagliato. Sulla testa aveva una corona di bacche e di foglie rosse, perché l'autunno era di nuovo alle porte. In primavera portava una corona di fiori di bosco. In mano aveva uno scettro di quercia intagliata.



I prigionieri furono portati dinanzi a lui; e benché egli li guardasse con occhi severi, disse ai suoi uomini di slegarli, visto che erano laceri ed esausti. «Inoltre qui non c'è bisogno di corde» disse. «Non c'è modo di fuggire attraverso le mie porte magiche, una volta che si è stati portati dentro.»

A lungo e minuziosamente egli interrogò i Nani su quello che avevano fatto e dove erano diretti, e da dove provenivano; ma riuscì a cavarne fuori solo poco più di quanto aveva già saputo da Thorin. Erano scontrosi, furibondi e non facevano neanche finta di essere educati.

«Ma che cosa abbiamo fatto, o re?» disse Balin, che adesso era il più anziano. «È forse un crimine perdersi nella foresta, avere fame e sete, essere intrappolati dai ragni? I ragni sono dunque i vostri animali domestici o vostri cari amici, che ucciderli vi fa infuriare?»

Fu proprio questa domanda, invece, che fece infuriare più che mai il re, ed egli rispose: «È un crimine vagabondare per il mio reame senza permesso. Dimentichi forse che eravate nel mio regno, e che vi servivate della strada fatta dal mio popolo? Non avete forse cercato per ben tre volte di attaccare e disturbare il mio popolo nella foresta? E non avete forse eccitato i ragni col vostro chiasso e il vostro strepito? Dopo tutti i fastidi che avete dato ho ben il diritto di sapere perché siete venuti qui, e se non me lo volete dire adesso, vi terrò in prigione finché non avrete imparato un po' di buona educazione e di buon senso!»

Ordinò dunque che ogni Nano fosse messo in cella da solo, che gli fosse dato da bere e da mangiare, ma che non gli fosse permesso di oltrepassare la porta della sua piccola prigione, finché almeno uno di loro non si fosse mostrato disposto a dirgli tutto quello che voleva sapere. Non disse però che anche Thorin era suo prigioniero. Fu Bilbo a scoprirlo.

 

* * *

 

Povero signor Baggins! Lungo e logorante fu il tempo che visse in quel posto, sempre solo, sempre nascosto, senza mai ardire di togliersi l'anello, a malapena osando dormire, perfino, rannicchiato negli angoli più scuri e più remoti che potesse trovare. Tanto per fare qualcosa si mise a girovagare per il palazzo del re degli Elfi. Porte magiche chiudevano gli ingressi, ma ogni tanto, se era svelto, riusciva a oltrepassarle. Gruppi di Elfi Silvani, talvolta insieme con il re, andavano di quando in quando a cavalcare o a caccia o a fare qualche altra cosa nei boschi e nelle terre a Oriente. Allora, se Bilbo era molto lesto, poteva scivolare fuori proprio dietro di loro, sebbene fosse pericoloso farlo: più di una volta rimase quasi incastrato in mezzo alle porte, quando queste si chiudevano di botto dopo aver fatto passare l'ultimo Elfo; e tuttavia non osava camminare in mezzo a loro a causa della propria ombra (per quanto esile e vacillante questa fosse alla luce delle torce) o per paura che lo urtassero e lo scoprissero. E quando poi usciva, ciò che del resto non accadeva molto spesso, non gli riusciva di combinare alcunché. Non voleva abbandonare i Nani, e comunque non avrebbe saputo dove diamine andare senza di loro. Non poteva tener dietro agli Elfi che andavano a caccia per tutto il tempo che stavano fuori, quindi non scoprì mai le strade che portavano fuori del bosco; così non poteva far altro che errare infelicemente nella foresta, terrorizzato dall'idea di perdersi, finché non gli si offriva la possibilità di tornare. Inoltre, all'esterno aveva sempre fame, perché non era un cacciatore, mentre all'interno della caverna poteva in un modo o nell'altro trovare di che vivere, rubando il cibo dalla dispensa o dalla tavola, quando non c'era nessuno vicino.

'Sono come uno scassinatore che, entrato in una casa, non può più andarsene, ed è quindi costretto a scassinare miseramente la stessa casa un giorno dopo l'altro' pensava. 'Questa è la parte più triste e squallida di tutta questa maledetta, estenuante, scomodissima storia! Vorrei proprio essere di nuovo nella mia caverna accanto al mio bel fuoco caldo, con la lampada che splende! ' Spesso desiderava pure poter inviare una richiesta d'aiuto allo stregone, ma ovviamente questo era del tutto impossibile; e presto si rese conto che se c'era qualcosa da fare, bisognava che fosse il signor Baggins a farlo, da solo e senza l'aiuto di nessuno.

Finalmente, dopo una settimana o due di questa vita strisciante, passata a osservare e a seguire le guardie, e ad approfittare di tutte le occasioni che gli si presentavano, riuscì a scoprire dov'era tenuto ogni Nano. Trovò tutte e dodici le loro celle in diversi punti del palazzo, e dopo un po' aveva imparato molto bene a destreggiarsi nei vari cunicoli. Quale non fu la sua sorpresa, un giorno, nell'udire per caso da alcune guardie che stavano parlando tra loro che c'era un altro Nano in prigione, in un posto particolarmente scuro e profondo. Naturalmente indovinò subito che si trattava di Thorin; e dopo un po' ebbe modo di appurare che aveva indovinato giusto. Alla fine dopo molte difficoltà riuscì a trovare il posto quando non c'era nessuno in giro, e a parlare col capo dei Nani.

Thorin era troppo infelice per essere ancora furioso per le proprie disgrazie, e si era addirittura quasi deciso a dire tutto al re riguardo al tesoro e alla sua spedizione (il che dimostra quanto fosse depresso), quando udì la vocina di Bilbo attraverso il buco della serratura. Quasi non credeva alle sue orecchie. Ma non ci mise molto a capire che non poteva essersi sbagliato, e avvicinatosi alla porta ebbe una lunga conversazione a voce bassissima con lo Hobbit dall'altra parte.

Fu così che Bilbo poté portare in gran segreto un messaggio di Thorin a ciascuno dei Nani imprigionati, dicendo loro che anche Thorin, il loro capo, stava in prigione lì a due passi, e che nessuno doveva rivelare al re la loro missione, non ancora, non prima che Thorin ne desse l'autorizzazione. Infatti Thorin aveva ripreso animo sentendo come lo Hobbit avesse salvato i suoi compagni dai ragni, ed era determinato una volta di più a non pagare il proprio riscatto promettendo al re una parte del tesoro, almeno finché non fosse svanita ogni speranza di fuggire in qualche altro modo, cioè finché - per dirla chiaramente - non si dimostrasse che il notevole signor Invisibile Baggins (di cui cominciava ad avere un'opinione altissima) era veramente incapace di escogitare qualcosa di molto astuto.

Quando ebbero udito il messaggio, gli altri Nani si dissero perfettamente d'accordo con lui. Tutti quanti pensavano che la propria parte del tesoro (che essi consideravano di loro esclusiva proprietà, nonostante la situazione in cui si trovavano e il drago tuttora imbattuto) avrebbe seriamente sofferto se gli Elfi Silvani ne avessero reclamato una percentuale, e avevano tutti piena fiducia in Bilbo. Proprio come aveva predetto Gandalf, vedete. Forse, anzi, questa era stata una delle ragioni per cui se ne era andato e li aveva lasciati.

Bilbo, comunque, non era così ottimista come loro. Non gli piaceva affatto essere considerato il sostegno di tutti e di ciascuno, e avrebbe voluto avere lo stregone vicino a sé. Ma era un desiderio irrealizzabile; probabilmente, fra loro, c'era tutta la tenebrosa estensione di Bosco Atro. Se ne stava perciò seduto a pensare, pensare, fino a farsi scoppiare la testa, ma di idee brillanti non gliene veniva nessuna. Un anello che rendeva invisibile era una gran bella cosa, certo, ma non serviva a molto per quattordici persone. Eppure, come avrete indovinato, alla fine egli riuscì a salvare i suoi amici, ed ecco come andò.

Un giorno, ficcanasando e girellando qua e là, Bilbo scoprì una cosa molto interessante: i grandi Portali non erano l'unico ingresso alla caverna. Sotto una parte dei sotterranei del palazzo scorreva un fiume che andava a gettarsi nel Fiume Selva un po' più a Est, oltre l'erto pendio in cui si apriva l'imboccatura principale della caverna. Dove questo corso d'acqua sotterraneo veniva alla luce, sul fianco della collina, c'era una chiusa. Il tetto di roccia si inclinava fin quasi a sfiorare la superficie del rivo, e da esso si poteva calare giù una saracinesca fino a toccare il letto del fiume, per impedire a chiunque di entrare o uscire per quella via. Ma la saracinesca era spesso aperta, perché vicino a questa chiusa c'era un traffico notevole in entrambe le direzioni. Se qualcuno fosse entrato da quella parte, si sarebbe trovato in uno scuro tunnel naturale che portava giù giù nel cuore della collina; e nel punto in cui passava sotto le caverne degli Elfi, nel soffitto era stato aperto un largo foro che veniva coperto da una grossa botola di quercia. Questa si apriva all'insù nelle cantine del re, dove c'erano barili, barili e barili a non finire; infatti gli Elfi Silvani, e specialmente il loro re, amavano moltissimo il vino, anche se da quelle parti non cresceva la vite. Il vino, e altre merci, li compravano molto lontano, dai loro consanguinei del Sud o dalle vigne degli Uomini in terre remote.

Nascosto dietro uno dei barili più grossi, Bilbo scoprì la botola e il suo uso, e spiando intorno, ascoltando quello che dicevano i servi del re, apprese che il vino e le altre merci venivano trasportati risalendo i fiumi, o per via terra, fino al lago Lungo. Pareva che una città degli Uomini vi prosperasse ancora costruita su palafitte all'interno del lago per meglio difendersi dai nemici di ogni tipo, ma specialmente dal drago della Montagna. Da Pontelagolungo i barili venivano fatti risalire per il Fiume Selva. Spesso venivano semplicemente legati insieme a formare degli zatteroni, che venivano poi spinti controcorrente con pertiche o con remi; altre volte venivano invece caricati su barche piatte.

Quando i barili erano vuoti gli Elfi li buttavano attraverso la botola, aprivano la chiusa e i barili galleggiavano ballonzolando sull'acqua, e la corrente li trascinava fino al punto del fiume dove la riva formava una specie di promontorio, vicino all'estremo confine orientale di Bosco Atro. Lì venivano raccolti, legati insieme e spinti di nuovo verso Pontelagolungo, vicinissimo al punto dove il Fiume Selva si gettava nel lago.

 

* * *

 

Per un po' Bilbo rimase seduto a riflettere su questa chiusa, e a domandarsi se non si potesse usarla per far fuggire i suoi amici, e alla fine cominciò a concepire un piano disperato.

I prigionieri avevano ricevuto il pasto serale e le guardie si erano allontanate marciando giù per i corridoi, portandosi via le torce e lasciando tutto al buio. Poi Bilbo udì il maggiordomo del re che dava la buonanotte al capo delle guardie.

«Prima però» egli disse «vieni con me ad assaggiare il vino nuovo che è appena arrivato. Stanotte avrò il mio bel daffare a sbarazzare le cantine di tutti i barili vuoti, perciò facciamoci prima una bevuta per alleviare la fatica.»

«Benissimo!» rise il capo delle guardie. «Lo assaggerò con te, e vedrò se va bene per la tavola del re. C'è una festa stasera e non sarebbe saggio mandar su robetta da poco!»

 

* * *

 

Quando Bilbo udì questo, si sentì tutto rimescolare, perché vide che la fortuna era dalla sua e la possibilità di tentare il suo piano disperato gli si offriva all'istante. Seguì i due Elfi, finché non entrarono in una celletta e si sedettero a un tavolo dov'erano posati due grossi fiaschi. Presto cominciarono a bere e a ridere allegramente. Una fortuna straordinaria sembrava assistere Bilbo; infatti doveva essere un vino ben forte per ubriacare un Elfo Silvano; ma questo vino pregiato, a quanto pareva, proveniva dall'inebriante riserva dei grandi giardini di Dorwinion, destinato unicamente ai banchetti del re e non ai suoi soldati o ai suoi servi; e lo si doveva bere in coppe più piccole, non nei larghi boccali del maggiordomo.

Non ci volle molto perché al capoguardia cominciasse a ciondolare la testa, che poi egli appoggiò sul tavolo cadendo in un sonno profondo. Il maggiordomo continuò a ciarlare e a ridere da solo per un po', come se non si fosse accorto di niente, ma presto anche la sua testa prese a ciondolare, e si addormentò come un ghiro, russando accanto all'amico. Allora lo Hobbit scivolò nella stanza. Un istante dopo il capoguardia non aveva più le chiavi, mentre Bilbo trottava via alla massima velocità attraverso i passaggi che portavano alle celle. Il grosso mazzo gli sembrava molto pesante da reggere, e gli venne spesso il cuore in gola, nonostante l'anello, perché non poteva impedire alle chiavi di sbattere ogni tanto con un forte tintinnio, che lo faceva tremare tutto.

Per prima cosa aprì la porta di Balin, badando bene a richiuderla appena il Nano fu uscito. Balin era al colmo della sorpresa, come potete ben immaginare; e pur essendo felicissimo di uscire dalla sua tediosa cameretta di pietra, voleva fermarsi a fare domande per sapere cosa Bilbo avesse intenzione di fare, e così via e così via.

«Non c'è tempo!» disse lo Hobbit. «Seguimi e basta! Dobbiamo rimanere tutti insieme senza correre il rischio di venir separati. Dobbiamo fuggire tutti o nessuno, e questa è la nostra ultima possibilità. Se siamo scoperti, solo il cielo sa dove vi metterebbe il re, incatenati mani e piedi, per giunta, m'immagino. Non discutere, fidati di me!»

E così andò di porta in porta, finché il suo seguito non diventò di dodici, nessuno dei quali particolarmente agile, un po' per il buio e un po' per la lunga prigionia. A Bilbo balzava il cuore in petto ogni volta che uno di loro ne urtava un altro, o borbottava o bisbigliava al buio. 'Accidenti a tutto questo chiasso nanesco!' disse tra sé e sé. Ma tutto andò bene, e non incontrarono nessuna guardia. Il fatto è che quella notte c'era una grande festa autunnale nei boschi e nelle sale superiori. Quasi tutto il popolo del re stava dandosi ai festeggiamenti.

Alla fine, dopo essere andati avanti a lungo alla cieca, arrivarono alla segreta di Thorin, che si trovava nei sotterranei più profondi e per fortuna non lontana dalle cantine.

«Parola d'onore!» disse Thorin, quando Bilbo gli sussurrò di uscire e di unirsi ai suoi amici «Gandalf ha detto la verità, come al solito! Sembra proprio che tu sia uno scassinatore di tre cotte, quand'è il momento. È più che certo che saremo per sempre tuoi debitori, qualsiasi cosa debba succedere. Ma ora che si fa?»

Bilbo vide che era venuto il momento di esporre la propria idea, come meglio poteva; ma non era proprio sicuro che i Nani l'avrebbero gradita. E i suoi timori si rivelarono pienamente giustificati; infatti non lo gradirono per niente, anzi, si misero a brontolare ad alta voce, nonostante il pericolo che li minacciava.

«Ci ridurremo come salsicce, a forza di urti e ammaccature, e poi annegheremo di sicuro!» si lagnarono. «Credevamo che ti fosse venuta un'idea sensata quando ti sei impadronito delle chiavi. Questa è una pazzia!»

«Benissimo!» disse Bilbo, molto abbattuto e anche abbastanza seccato. «Tornatevene alle vostre belle celle, così vi ci richiuderò dentro, e potrete starci comodamente seduti a escogitare un piano migliore. Non credo però che riuscirò a impadronirmi delle chiavi una seconda volta, anche se mi sentissi propenso a provarci.»

Questo fu troppo per loro, e si calmarono. Alla fine, naturalmente, dovettero fare esattamente come diceva Bilbo, perché era chiaramente impossibile cercare di non smarrirsi nelle sale superiori, oppure aprirsi una via d'uscita attraverso porte che si chiudevano per magia; ed era stupido starsene lì a lagnarsi in quei cunicoli per essere poi catturati un'altra volta. Così, seguendo lo Hobbit, strisciarono fin nelle cantine più basse. Passarono davanti a una porta attraverso la quale poterono vedere il capoguardia e il maggiordomo tuttora beatamente intenti a russare con un bel sorriso dipinto sul volto. Il vino di Dorwinion fa dormire e sognare cose belle. Il giorno dopo ci sarebbe stata un'espressione diversa sul volto del capoguardia, anche se Bilbo, con gran buon cuore, prima di andare avanti entrò furtivamente e gli rimise le chiavi alla cintura.

'Questo gli risparmierà una parte dei guai che lo aspettano' disse tra sé e sé il signor Baggins. 'In fondo era un buon diavolo, e non si comportava troppo male coi prigionieri. E poi li metterà tutti in imbarazzo. Penseranno che abbiamo dei poteri magici eccezionali per poter passare attraverso tutte queste porte chiuse e poi sparire. Sparire! Bisogna che ci diamo da fare in gran fretta, se vogliamo riuscirci!'

 

* * *

 

Balin ebbe l'ordine di sorvegliare la guardia e il maggiordomo, e di dare l'allarme se si movevano. Gli altri entrarono nella cantina attigua, quella con la botola. Non c'era tempo da perdere. Tra non molto, come Bilbo ben sapeva, qualche Elfo avrebbe dovuto scendere per aiutare il maggiordomo a gettare i barili vuoti nel fiume attraverso la botola. Effettivamente i barili erano già allineati sul pavimento, in attesa di essere spinti fuori. Alcuni di essi erano barili di vino, e questi non servivano a molto, poiché non si potevano scoperchiare facilmente senza far rumore, né si poteva poi richiuderli. Ma in mezzo ce n'erano vari altri che erano stati usati per portare al palazzo del re altra roba, burro, mele e via dicendo.

Presto ne trovarono tredici abbastanza grandi da contenere un Nano ciascuno. Alcuni anzi erano troppo larghi, e mentre vi si arrampicavano dentro i Nani pensarono ansiosamente alle scosse e agli urtoni che avrebbero ricevuto lì dentro, anche se Bilbo fece del suo meglio per trovare della paglia e altra roba per imballarli con la massima cura consentita dal tempo che stringeva. Alla fine, dodici Nani furono sistemati. Thorin aveva dato un sacco di fastidio, e si era girato e contorto nel suo tino, e aveva ringhiato come un grosso cane in un piccolo canile; mentre Balin, che fu l'ultimo, fece un sacco di storie per i buchi d'aerazione, e disse che soffocava, anche prima che venisse fissato il coperchio. Bilbo aveva fatto quanto aveva potuto per tappare i buchi sui lati dei barili e per fissare tutti i coperchi con la massima accuratezza possibile, e adesso era rimasto di nuovo solo, correndo intorno, dando gli ultimi tocchi all'imballaggio, e sperando contro ogni ragione che il suo piano riuscisse.

Aveva finito appena in tempo. Un solo minuto o due dopo che il coperchio di Balin era stato fissato, ecco arrivare il suono di varie voci e il bagliore delle luci. Un certo numero di Elfi entrò nelle cantine ridendo, chiacchierando e cantando pezzi di canzoni. Avevano lasciato un'allegra festa in una delle sale superiori ed erano propensi a tornarci appena possibile.

«Dov'è il vecchio Galion, il maggiordomo?» disse uno. «Non l'ho visto a nessuna tavola, stasera. Adesso dovrebbe esser qui a mostrarci cosa bisogna fare!»

«Se quel vecchio posapiano ritarda gliene dirò di tutti i colori» disse un altro. «Non ho nessuna voglia di perdere tempo qui sotto mentre lassù si canta!»

«Ah, ah!» risonò un grido. «Eccolo qui, quel vecchio zotico, con la testa sul boccale! Ha fatto una festicciola tutta per sé e per il suo amico capitano.»

«Scuotilo! Sveglialo!» strillarono gli altri con impazienza.

Galion non fu affatto contento di essere scosso e svegliato, e ancor meno di essere preso in giro. «Siete in ritardo» borbottò. «Sono tre ore che sto qui ad aspettarvi, mentre voialtri bevete, fate festa e dimenticate i vostri doveri. C'è poco da meravigliarsi se mi addormento dalla noia!»

«C'è proprio poco da meravigliarsi,» dissero quelli «quando la spiegazione sta a portata di mano in un boccale! Suvvia, facci assaggiare il tuo sonnifero prima che ci addormentiamo anche noi! Non c'è bisogno di svegliare cotesto carceriere. A guardarlo si direbbe che abbia già avuto la sua parte.»

Fecero una bevuta in circolo e diventarono subito un po' alticci. Ma non persero tutto il loro buon senso. «Perdinci, Galion!» gridarono alcuni «hai cominciato presto il tuo festino e hai perso il senno! Hai ammucchiato dei barili pieni, qui, invece di quelli vuoti, a giudicare dal peso!»

«Avanti col lavoro!» grugnì il maggiordomo. «Non potete giudicare un bel nulla, voi, con quelle vostre pigre braccia da sgocciaboccali! Sono quelli e basta! Fate come vi dico!»

«Benissimo, benissimo!» dissero rotolando i barili verso l'apertura. «Che ricada sul tuo capo se i tini pieni del burro del re e del suo vino migliore vengono buttati nel fiume per far fare festa gratis agli Uomini del Lago!»

 

Rotola, rotola, rotola, rò,

giù per il buco rotola, rò!

Issa! Spruzzi! Issa! Tonfi,

che laggiù l'acqua li gonfi!

 

Così cantavano mentre prima un barile poi un altro rotolavano con fracasso verso la buia apertura e venivano fatti cadere nell'acqua fredda, circa un metro più sotto. Alcuni barili erano realmente vuoti, altri erano tini bellamente imballati con un Nano ciascuno; ma andarono giù tutti, l'uno dopo l'altro, con molti spruzzi e un tonfo, cadendo sopra quelli che stavano di sotto, precipitando in acqua con uno schiocco, sballottando contro le pareti del tunnel, urtandosi l'un l'altro e sobbalzando via seguendo la corrente.

Fu proprio allora che Bilbo scoprì all'improvviso il punto debole del suo piano. Molto probabilmente voi lo avevate già scoperto da un pezzo e state ridendo di lui; ma dubito molto che al posto suo avreste dimostrato più di metà della sua bravura. Il fatto è che lui personalmente non era dentro un barile, e non c'era nessun altro a imballarlo, anche se ce ne fosse stata la possibilità! Questa volta avrebbe veramente perso i suoi amici (quasi tutti erano ormai scomparsi attraverso la botola), e sarebbe rimasto indietro, solo come un cane, costretto in eterno a strisciare come scassinatore fisso nelle caverne degli Elfi. Infatti, anche se fosse riuscito a scappare attraverso le porte superiori in quello stesso istante, aveva una possibilità veramente minima di poter mai più ritrovare i Nani: non sapeva in che modo si arrivasse, via terra, al luogo dove si raccoglievano i barili. Si domandava anche cosa mai sarebbe accaduto loro senza di lui, perché non aveva avuto il tempo di dire ai Nani tutto quello che aveva appreso, o tutto quello che aveva pensato di fare, una volta che fossero usciti dal bosco.

Mentre tutti questi pensieri passavano per la sua mente, gli Elfi, che erano allegrissimi, cominciarono a cantare una canzone intorno alla porta del fiume. Alcuni erano già andati a tirare le corde che comandavano la saracinesca della chiusa, così da far uscire i barili appena fossero tutti in acqua.

 

Sul rapido ruscello voi tornate

alle terre che un dì conoscevate!

Abbandonate le caverne ascose

fra le montagne nordiche rocciose,

dove l'immensa squallida foresta

grigia declina e nel buio s'arresta!

 

Navigate degli alberi oltre il ciglio

dove la brezza muore in un bisbiglio,

oltre i giunchi, oltre il mondo lagunare

(trema l'erba del vento all'alitare),

oltre la bruma bianca come neve

che dai laghi e gli stagni s'alza lieve.

 

Seguite orsù le stelle che nel cielo

salgon per una via di freddo e gelo;

e quando l'alba (già la notte muore)

tutta la terra inonda di chiarore,

voltate verso il Sud, al Sud andate

e la luce del sole ricercate!

 

Ai pascoli tornate, ai verdi prati

che mucche e buoi di erba hanno saziati,

ai giardini sui colli, in mezzo ai fiori,

ove le bacche si colman d'umori

alla luce del sole, in pieno giorno!

Correte al Sud, al Sud fate ritorno!

Sul rapido ruscello voi tornate

alle terre che un dì conoscevate.

 

 

A questo punto l'ultimissimo barile venne fatto rotolare verso la botola! In preda alla disperazione e non sapendo che altro fare, il povero piccolo Bilbo ci si afferrò freneticamente e fu spinto fuori assieme a esso. Con un tonfo, cadde in acqua, nell'acqua fredda e scura col barile sopra di sé.

Tornò a galla sputando e aggrappandosi al barile come un topo, ma nonostante tutti i suoi sforzi non riuscì ad arrampicarvicisi sopra. Ogni volta che ci provava, il barile rotolava su se stesso e lo respingeva di sotto. Era proprio vuoto, e galleggiava con la leggerezza di un pezzo di sughero. Sebbene avesse le orecchie piene d'acqua, Bilbo poteva sentire gli Elfi che continuavano a cantare nella cantina sovrastante. Poi d'improvviso la botola ricadde con un rimbombo e le loro voci svanirono. Egli si trovava nel tunnel scurissimo, galleggiando sull'acqua gelata, tutto solo, visto che non si possono prendere in considerazione amici che siano stati imballati dentro barili.

Ben presto una macchia grigia gli apparve davanti, in tutto quel buio. Udì il cigolio della chiusa che veniva sollevata e si ritrovò in mezzo a una massa galleggiante e sobbalzante di botti e tini che si urtavano a vicenda per passare sotto l'arco e uscire fuori all'aperto. Fece del suo meglio per evitare di venire ammaccato e schiacciato; ma alla fine quella massa pigiante cominciò a diradarsi e a scivolare, un barile dopo l'altro, sotto l'arco di pietra, e via nel fiume.

Allora si rese conto che sarebbe stato inutile mettersi a cavalcioni del barile, anche se ci fosse riuscito, poiché neanche per uno Hobbit c'era abbastanza posto tra la parte superiore di questo e l'improvviso spiovere del tetto lì dove c'era la chiusa.

 

* * *

 

Uscirono sotto i rami degli alberi che si chinavano sull'acqua dall'una e dall'altra riva. Bilbo si domandava come si sentissero i Nani e se era entrata molta acqua nei loro tini. Alcuni di quelli che galleggiavano accanto a lui nella penombra sembravano affondare un bel po', ed egli immaginò che in questi ci fossero i Nani.

'Spero proprio di aver fissato bene i coperchi!' pensò, ma non passò molto tempo che fu troppo preoccupato di se stesso per ricordarsi dei Nani. Era riuscito a mantenere la testa fuori dell'acqua, ma rabbrividiva dal freddo e si domandava se ne sarebbe morto prima che la fortuna cambiasse, e per quanto tempo ancora sarebbe stato capace di resistere, e se doveva rischiare di mollare la presa e cercare di nuotare fino a riva.

Presto la fortuna girò per il verso giusto: la corrente turbinosa trasportò parecchi barili in uno stesso punto vicino a riva, e lì essi rimasero fermi per un po', trattenuti da qualche radice nascosta. Allora Bilbo colse l'occasione per arrampicarsi sopra il suo barile mentre veniva tenuto fermo dagli altri. Strisciò su come un topo sul punto di affogare, e giacque disteso in modo da distribuire il suo peso e mantenere l'equilibrio quanto meglio poteva. La brezza era fredda ma sempre meno dell'acqua, ed egli sperò di non rotolare giù di nuovo una volta ripartiti.

Non ci volle molto perché i barili si liberassero di nuovo e girassero e rigirassero giù per il fiume, e poi al centro della corrente. Allora trovò abbastanza difficile tenersi in equilibrio, come aveva temuto; ma alla meno peggio ci riuscì, anche se stava tremendamente scomodo. Per fortuna c'era molta luce, e il barile era bello grosso e avendo varie crepe aveva ora imbarcato una certa quantità d'acqua. In tutti i modi era come cercare di cavalcare, senza briglie e senza staffe, un puledro panciuto il cui unico pensiero fosse quello di rotolarsi sull'erba.

Così finalmente il signor Baggins arrivò a un posto dove su entrambe le rive gli alberi erano più radi e poteva vedere il cielo più chiaro tra i rami. Il fiume nero si allargò improvvisamente alla confluenza con il corso d'acqua più grosso, il Fiume Selva, che scorreva giù dai grandi Portali del re. C'era uno specchio d'acqua tremolante che non era più coperto dall'ombra, e sulla sua fluida superficie nuvole e stelle si riflettevano componendosi e scomponendosi in una sorta di danza. Poi l'acqua turbinosa del Fiume Selva travolse tutti quanti i tini e i barili e li spinse sulla riva settentrionale, dove sotto gli argini incombenti aveva scavato una vasta baia formata da una spiaggia coperta di ciottoli; sulla parte orientale essa era protetta da un promontorio molto sporgente che formava un muro di roccia dura. La maggior parte dei barili si arenò sul bordo della spiaggia, però qualcuno fu spinto a urtare contro la banchina di pietra.

C'erano diverse persone in attesa sulle rive. Servendosi di pertiche tirarono in secca tutti i barili, e dopo averli contati li legarono insieme e li lasciarono lì fino al mattino seguente. Poveri Nani! Bilbo adesso non stava proprio malaccio. Scivolò giù dal suo barile e sguazzò nella battigia; poi strisciò furtivamente verso qualche capanna che si poteva vedere non lontano dal fiume. Non ci avrebbe pensato due volte, adesso, a sgraffignare del cibo senza essere stato invitato, se gli fosse capitata l'occasione; era stato costretto a farlo a lungo, ormai, e sapeva anche troppo bene che cosa volesse dire avere veramente fame, e non semplicemente un educato interesse alle squisitezze di una dispensa ben fornita. Inoltre aveva intravisto il bagliore di un fuoco attraverso gli alberi, e questo lo attirava inesorabilmente, visto che i vestiti sgocciolanti e stracciati gli stavano appiccicati addosso freddi e viscidi.

 

* * *

 

Non è il caso di sprecare molte parole per descrivere le sue avventure di quella notte, perché ormai siamo quasi vicini alla fine del suo viaggio verso Oriente, in vista dell'ultima e più grande avventura; così dobbiamo sbrigarci. Naturalmente, con l'aiuto dell'anello magico, tutto gli andò molto bene al principio, presto però fu tradito dalle orme bagnate e dalle sgocciolature che lasciava dietro di sé dovunque andasse o si sedesse; inoltre cominciò a starnutire, e quando cercava di nascondersi, veniva sempre scoperto grazie alla tremenda esplosione dei suoi starnuti repressi. Ben presto ci fu una bella agitazione nel villaggio sulla riva del fiume; ma Bilbo scappò nei boschi portandosi una pagnotta, una borraccia di vino e una torta che non gli appartenevano. Il resto della notte dovette passarlo bagnato com'era e lontano da qualsiasi fuoco, ma in questo fu aiutato dalla borraccia, ed egli riuscì addirittura a sonnecchiare un pochino su un letto di foglie secche, anche se, essendo ormai vicino l'inverno, l'aria era piuttosto freddina.

Si risvegliò con uno starnuto particolarmente violento. Il grigio mattino era ormai arrivato e c'era un allegro baccano giù vicino al fiume. Stavano facendo una zattera coi barili, e gli Elfi barcaioli l'avrebbero presto spinta giù per il fiume fino a Pontelagolungo. Bilbo starnutì di nuovo. I suoi abiti non sgocciolavano più, ma si sentiva addosso un freddo cane. Sgambettò giù alla massima velocità consentitagli dalle gambe irrigidite e riuscì per un pelo a infilarsi nella massa di tini senza farsi notare. Per fortuna a quell'ora non c'era il sole a proiettare un'ombra inopportuna, e per dono del cielo per un bel po' egli non starnutì più.

Ci fu un gran spingere con le pertiche, e gli Elfi che stavano nell'acqua bassa si dettero da fare per scostare la zattera dalla riva. I barili, ora legati tutti insieme, scricchiolarono e ondeggiarono.

«Che razza di carico pesante!» brontolò qualcuno. «Affondano un po' troppo: qualcuno non è mai vuoto. Se ci fossero arrivati di giorno, avremmo potuto aprirli e darci un'occhiata» essi dissero.

«Non c'è tempo adesso!» gridò lo zatteriere. «Spingete!»

E finalmente si mossero, dapprima lentamente, finché non ebbero passato il promontorio roccioso dove altri Elfi erano pronti a respingerli con pertiche, e poi sempre più velocemente man mano che si inserivano nella corrente, diretti giù, giù verso il lago.

Erano evasi dalle segrete del re e avevano attraversato il bosco, ma se fossero vivi o morti restava ancora da vedere.

 


CAPITOLO X


Date: 2015-12-17; view: 1076


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