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Dalla padella alla brace 5 page

«Non provarci nemmeno» disse Thorin. «Anzi, se non sai parlare d'altro fai meglio a stare zitto. Ne abbiamo già abbastanza di te. Se non ti fossi svegliato, ti avremmo lasciato al tuo stupido sogno nella foresta; non è uno scherzo trasportarti, dopo tutte queste settimane di pasti razionati.»

Non rimaneva altro da fare, ormai, che stringere la cinghia intorno allo stomaco vuoto, e issarsi in spalla bisacce e sacchi vuoti, e trascinarsi faticosamente lungo il sentiero senza grandi speranze di arrivare mai alla fine prima di cadere a terra e morire d'inedia. Fu quello che fecero per tutto il giorno, avanzando lentamente e penosamente, mentre Bombur continuava a lagnarsi che le gambe non lo reggevano e che voleva mettersi giù a dormire.

«Neanche per idea!» dissero. «Anche le tue gambe debbono fare la loro parte, noi ti abbiamo trasportato abbastanza!»

Ciononostante, a un tratto egli rifiutò di avanzare di un passo e si gettò a terra. «Andate avanti, se proprio dovete» disse. «Io non voglio far altro che giacere qui, dormire e sognare roba da mangiare, se non posso ottenerla in nessun altro modo. Spero di non svegliarmi mai più.»

Proprio in quel momento Balin, che si trovava un po' più avanti, lanciò un grido: «Che cos'era? Mi è parso di vedere un bagliore di luce nella foresta.»

Guardarono tutti, e abbastanza lontano, così pareva, videro un bagliore rosso nel buio; poi un altro e un altro ancora palpitarono vicini al primo. Perfino Bombur si alzò, e si misero a correre, infischiandosene se fossero Orchi o Uomini Neri. La luce stava di fronte a loro e a sinistra del sentiero, e quando alla fine arrivarono alla sua altezza, parve evidente che sotto gli alberi brillavano torce e fuochi, ma a una bella distanza dalla pista.

«Sembra che il mio sogno stia avverandosi» boccheggiò Bombur ansimando dietro a tutti. Voleva precipitarsi diritto dentro al bosco, verso le luci. Ma gli altri ricordavano fin troppo bene gli avvertimenti dello stregone e di Beorn.

«Un banchetto non servirebbe a niente, se non ne ritornassimo mai vivi» disse Thorin.

«Ma senza un banchetto non rimarremmo in vita molto a lungo, comunque» disse Bombur, e Bilbo approvò le sue parole con tutto il cuore. Incerti sul da farsi, ne discussero a lungo, finché di comune accordo decisero di mandare un paio di spie, che con grande cautela si avvicinassero alle luci per saperne qualcosa di più. Non riuscirono però a mettersi d'accordo su chi dovesse andare: nessuno sembrava ansioso di correre il rischio di perdersi e di non ritrovare più gli amici. Alla fine, nonostante tutti gli avvertimenti, la fame li fece decidere, anche perché Bombur continuava a descrivere tutte le buone cose che si mangiavano - secondo il suo sogno - nel banchetto silvano; perciò abbandonarono tutti il sentiero e si tuffarono insieme nella foresta.

Dopo avere strisciato furtivamente per un bel po', scrutarono attentamente da dietro i tronchi e videro uno spiazzo dove alcuni alberi erano stati abbattuti e il suolo livellato. C'erano molte persone lì, Elfi, si sarebbero detti dall'aspetto, tutte vestite di verde e marrone, sedute in un gran cerchio su sedili ricavati dai tronchi segati. C'era un fuoco nel mezzo, e torce erano assicurate agli alberi tutt'intorno; ma la cosa più bella da vedere era che mangiavano, bevevano e ridevano allegramente.



Il profumino degli arrosti era così incantatore che, senza aspettare di consultarsi con gli altri, ciascuno di essi balzò in avanti verso il cerchio, con l'unico e solo proposito di elemosinare un po' di cibo. Non appena però misero piede nello spiazzo, tutte le luci si spensero come per magia. Qualcuno calpestò il fuoco, che si levò in uno scoppiettio di faville scintillanti e poi si spense. Improvvisamente sperduti in un'oscurità totale, per un certo tempo non riuscirono nemmeno a trovarsi l'un l'altro. Dopo avere inciampato freneticamente nel buio, essere caduti sopra i ciocchi, avere urtato con gran fracasso contro gli alberi, avere urlato ed essersi chiamati finché non ebbero svegliato qualsiasi cosa si trovasse nella foresta per miglia e miglia all'intorno, alla fine riuscirono a riunirsi in gruppo e a contarsi toccandosi. Ovviamente, a questo punto avevano completamente dimenticato in quale direzione si trovasse il sentiero, e si erano tutti persi senza speranza, almeno fino al mattino seguente.

Non restava quindi altro da fare che accamparsi per passare la notte lì dove stavano; non osarono nemmeno cercare qualche avanzo di cibo sul terreno, per paura di separarsi di nuovo. Ma non erano rimasti a giacere a lungo, e Bilbo stava cominciando ad appisolarsi, quando Dori, cui toccava il primo turno di guardia, disse in un forte bisbiglio: «Le luci stanno apparendo di nuovo laggiù, e sono più numerose che mai.»

Saltarono su tutti. Non c'era dubbio: poco lontano da lì era riemerso il palpitante bagliore di molte luci ed essi udirono molto distintamente le voci e le risa. Strisciarono lentamente verso di esse, in fila indiana, ciascuno toccando la schiena di chi gli stava davanti. Quando si furono avvicinati abbastanza, Thorin disse: «Stavolta nessuno si precipiti avanti! Nessuno esca allo scoperto finché non lo dico io! Manderemo avanti il signor Baggins da solo a parlare con loro. Non avranno paura di lui. ('E io di loro?' pensò Bilbo), e comunque spero che non gli faranno alcun male.»

Quando arrivarono al margine del cerchio di luci, da dietro le spalle dettero a Bilbo una spinta improvvisa e, prima di avere il tempo di infilarsi l'anello, questi capitombolò avanti nel pieno chiarore del fuoco e delle torce. Tutto inutile. Le luci si spensero di nuovo e ricadde il buio più assoluto.

Se prima era stato difficile radunarsi, questa volta fu anche peggio. E non riuscirono in nessun modo a trovare lo Hobbit. Ogni volta che si contavano, faceva solo tredici. Urlarono e chiamarono: «Bilbo Baggins! Hobbit! Hobbit della malora! Ehi! Hobbit, che il cielo ti strafulmini, dove sei?», e altre cose di questo tipo, ma senza avere risposta.

Stavano proprio per abbandonare ogni speranza, quando Dori inciampò su di lui per pura fortuna. Nel buio cadde sopra quello che credette fosse un ciocco, e che invece era lo Hobbit tutto raggomitolato e immerso in un sonno profondo. Ci vollero un bel po' di scosse per svegliarlo, e quando fu sveglio non ne fu affatto contento.

«Stavo facendo un sogno così bello,» brontolò «sognavo di fare una cena assolutamente favolosa!»

«Santo cielo! Adesso fa come Bombur!» dissero i Nani. «Non starci a raccontare i tuoi sogni, per carità. Le cene di sogno non servono a niente se noi non possiamo prendervi parte.»

«Sono le migliori che possa procurarmi in questo postaccio» egli borbottò, stando disteso accanto ai Nani e cercando di riaddormentarsi per ritrovare il suo sogno.

Quelle però non furono le ultime luci che apparvero nella foresta. Più tardi, quando la notte era ormai inoltrata, Kili, che stava facendo il suo turno di guardia, venne a svegliarli tutti di nuovo, dicendo:

«Molte luci hanno ricominciato a brillare regolarmente non lontano da qui: centinaia di torce e molti fuochi devono essersi accesi d'un tratto e per magia. E sentire che canti e che arpe!»

Dopo essere rimasti distesi ad ascoltare per un po', scoprirono che non potevano resistere al desiderio di avvicinarsi e cercare una volta di più di ottenere aiuto. Si rialzarono, e questa volta il risultato fu disastroso. Il banchetto che videro ora era più sontuoso e magnifico di prima; e a un'estremità di una lunga fila di commensali sedeva un re dei boschi con una corona di foglie sui capelli d'oro, molto simile alla figura del sogno che Bombur aveva descritto. Tutti quegli Elfi si passavano reciprocamente delle scodelle sopra i fuochi, e alcuni sonavano l'arpa mentre molti altri cantavano. La loro chioma lucente era intrecciata di fiori; gemme verdi e bianche splendevano sui loro collari e sulle loro cinture; e la gioia emanava dai loro volti e dai loro canti. Sonori, nitidi e belli erano i canti degli Elfi, e Thorin avanzò in mezzo a essi.

Le parole si interruppero in un silenzio mortale. Tutte le luci si spensero. I fuochi si dileguarono in volute di fumo nero. Ceneri e braci schizzarono in faccia ai Nani, e il bosco fu di nuovo pieno del loro clamore e delle loro grida.

Bilbo si trovò a correre in tondo (o così credeva) come un pazzo, senza smettere di gridare: «Dori, Nori, Ori, Oin, Gloin, Fili, Kili, Bombur, Bifur, Bofur, Dwalin, Balin, Thorin Scudodiquercia», mentre altra gente che egli non riusciva né a vedere né a toccare faceva lo stesso tutt'intorno a lui (con un «Bilbo!» inserito di tanto in tanto). Ma le grida degli altri si fecero man mano più lontane e più deboli, e sebbene dopo un po' gli paresse che si fossero mutate in urla e grida imploranti aiuto a grande distanza, alla fine tutto il rumore cessò di botto, ed egli rimase solo nel silenzio e nel buio più completi.

 

* * *

 

Questo fu uno dei momenti più orribili. Ben presto però egli giunse alla conclusione che non serviva a niente cercare di far qualcosa finché il giorno non venisse a portare un po' di luce, e che era completamente inutile andare in giro alla cieca stancandosi a morte senza nessuna speranza di fare una buona colazione che lo ritemprasse. Così si sedette con la schiena contro un albero, e non per l'ultima volta i suoi pensieri tornarono alla sua caverna hobbit lontana lontana, con le sue belle dispense. Era profondamente immerso in pensieri che riguardavano pane, burro, marmellata e caffellatte, quando avvertì qualcosa che lo stava toccando. Qualcosa che pareva una fibra lunga e robusta poggiava contro la sua mano sinistra, e quando cercò di muoversi, scoprì che le gambe erano già avvolte nella stessa roba, così che quando si alzò, ricadde a terra.

Allora il gran ragno, che era stato occupatissimo a legarlo ben bene mentre egli sonnecchiava, avanzò da dietro a lui e contro di lui. Bilbo poteva vederne solo gli occhi, mentre quella cosa orribile cercava di avvolgere i suoi fili abominevoli tutto intorno a lui. Era stata una bella fortuna che si fosse risvegliato in tempo: presto non sarebbe più stato in grado di muoversi affatto. Stando così le cose, dovette sostenere una battaglia tremenda prima di potersi liberare. Colpì quell'essere con le mani - il ragno stava cercando di avvelenarlo per tenerlo quieto, come fanno i ragni più piccoli con le mosche - finché non si ricordò della spada e la sguainò. Allora il ragno fece un salto indietro, ed egli fece in tempo a tagliare i legami intorno alle gambe. Dopo di che fu il suo turno di attaccare. Evidentemente, il ragno non era abituato a cose che portavano al fianco pungiglioni come quello, e si sarebbe affrettato ad andarsene. Ma Bilbo lo attaccò prima che potesse sparire, e gli immerse la spada negli occhi. Come impazzito il ragno fece un balzo e agitò freneticamente le gambe in orribili contrazioni, finché Bilbo non lo uccise con un altro colpo; poi lo Hobbit cadde a terra e per un bel po' fu senza conoscenza.

Quando riprese i sensi, intorno a lui c'era la solita luce fioca del giorno nella foresta. Il ragno giaceva morto accanto a lui, e la lama della spada era macchiata di nero. L'avere ucciso il ragno gigante, tutto da solo, al buio, senza l'aiuto né dello stregone né di nessun altro, fu molto importante per il signor Baggins. Si sentì una persona diversa, molto più fiera e audace nonostante lo stomaco vuoto, mentre puliva la spada sull'erba e la riponeva nel fodero.

«Voglio darti un nome» le disse. «Ti chiamerò Pungiglione.»

Dopo di che, si accinse a partire in esplorazione. La foresta era torva e silenziosa, e la prima cosa che doveva fare era ovviamente cercare i suoi amici, che non dovevano trovarsi molto lontano, a meno che non fossero stati fatti prigionieri dagli Elfi (o da esseri peggiori). Bilbo aveva la sensazione che non fosse affatto il caso di gridare, e rimase fermo a lungo domandandosi in quale direzione si trovasse il sentiero e in quale direzione dovesse intanto avviarsi per andare in cerca dei Nani.

«Oh, perché non abbiamo seguito gli avvertimenti di Beorn e di Gandalf!» si lamentò. «In che razza di guaio ci siamo messi! Ci siamo... Vorrei proprio poter dire ancora ci siamo! È terribile essere tutto solo!»

Non gli restava che tirare a indovinare la direzione da cui erano provenute le grida d'aiuto durante la notte - e per pura fortuna (era proprio nato con la camicia) la indovinò, più o meno, come vedrete. Avendo preso la sua decisione, strisciò via il più furtivamente possibile. Come vi ho già detto, gli Hobbit sono molto bravi a non far rumore, specialmente nei boschi: inoltre, prima di mettersi in moto, Bilbo si era infilato l'anello. Per questo i ragni non lo videro, né lo udirono arrivare.

Era infatti avanzato per un po' con somma cautela, quando la sua attenzione fu attratta da una chiazza di ombra fitta e nera davanti a lui, nera perfino per quella foresta, simile a una macchia di mezzanotte che non fosse mai stata tolta. Mentre si avvicinava, vide che essa era prodotta da ragnatele le quali si sovrapponevano e si intersecavano per ogni dove, e vide dei ragni enormi e orribili accoccolati sui rami sopra di lui e, anello o non anello, egli tremò per la paura che lo potessero scoprire. Stando dietro a un albero ne osservò un gruppo per un po', poi nel silenzio e nella quiete del bosco si rese conto che quelle creature ripugnanti stavano parlando fra loro con voci che erano una specie di esile stridio sibilante, e che egli poteva capire molte delle parole che esse dicevano. Parlavano dei Nani!

«E stata una dura battaglia, ma ne è valsa la pena» disse uno. «Però che razza di pellaccia dura hanno per proteggersi! ma scommetto che all'interno c'è del buon succo.»

«Eccome! Saranno bocconcini da re, dopo essere stati appesi per un po'» disse un altro.

«Non tenerli appesi troppo a lungo» disse un terzo. «Non sono grassi come dovrebbero. Mi sa che non hanno avuto troppo da mangiare negli ultimi tempi.»

«Ammazzali, dico io,» sibilò un quarto «ammazzali adesso e poi lasciali appesi morti per un po'.»

«Sono già morti, te lo garantisco io» disse il primo.

«Non sono morti per niente. Ne ho visto uno muoversi proprio adesso. Stava tornando in sé, direi, dopo un beeellissimo sonno. Adesso vi faccio vedere io.»

Così dicendo uno dei ragni corse su per un filo finché arrivò a una dozzina di fagotti che pendevano in fila appesi in alto a un ramo. Bilbo fu pietrificato dall'orrore, scorgendoli ora per la prima volta, che si dondolavano nelle tenebre, con un piede di nano che sporgeva dal fondo o - qua e là - la punta di un naso, o un pezzo di barba o di cappuccio. Il ragno si diresse verso il più grasso di questi fagotti ('Scommetto che è il povero vecchio Bombur!' pensò Bilbo), e dette un pizzicotto tremendo al naso che ne sporgeva fuori. Ci fu un gridolino soffocato all'interno e un piede esplose fuori per colpire il ragno con forza e precisione. C'era ancora vita in Bombur. Si udì un rumore sordo, come di un calcio su un pallone sgonfio, e il ragno incollerito cadde giù dal ramo, sostenendosi appena in tempo al proprio filo.

Gli altri risero. «Avevi proprio ragione,» dissero «la carne è viva e scalciante!»

«Adesso lo faccio smettere io!» sibilò il ragno infuriato, risalendo sul ramo.

 

* * *

 

 

Bilbo vide che era arrivato il momento di agire. Lui certo non poteva arrivare lassù dov'erano quelle bestiacce, e non aveva niente da tirargli contro; ma guardandosi intorno vide che in quel posto c'erano molte pietre, sparse in quello che sembrava il greto asciutto di un piccolo corso d'acqua. Bilbo era un asso nel lanciare i sassi, e non ci mise molto a trovarne uno bello levigato a forma di uovo, che si adattava perfettamente alla sua mano. Da ragazzo aveva l'abitudine di esercitarsi a lanciare pietre contro le cose, finché conigli e scoiattoli, e perfino uccelli, si allontanavano come fulmini dalla sua strada se lo vedevano chinarsi; e anche da grande aveva continuato a passare un bel po' di tempo giocando a lanciare anelli su un palo, a scagliare frecce, a esercitarsi al tiro a segno e facendo altri giochi riposanti in cui ci fosse da gareggiare tirando qualcosa. In realtà era abile in molte cose, oltre a saper fare anelli di fumo, porre enigmi e cucinare, cose di cui non ho avuto il tempo di parlarvi. E il tempo non c'è neanche adesso. Mentre egli raccoglieva la pietra, il ragno aveva raggiunto di nuovo Bombur che presto sarebbe morto. In quell'istante Bilbo tirò. Il sasso colpì il ragno in testa, ed esso precipitò giù dall'albero privo di sensi, afflosciandosi al suolo con tutte le zampe raggomitolate.

La pietra successiva passò fischiando attraverso una grossa ragnatela, spezzandone i fili, e togliendo di mezzo il ragno che vi stava seduto al centro, abbattuto, morto. Dopo di ciò ci fu una notevole agitazione nella colonia dei ragni, e per un po' si dimenticarono dei Nani, ve lo dico io! Non potevano vedere Bilbo, ma potevano indovinare con una certa esattezza da quale direzione provenivano le pietre. Veloci come fulmini si precipitarono correndo e dondolando verso lo Hobbit, lasciando fili in tutte le direzioni, finché l'aria parve piena di lacci ondeggianti.

Bilbo, comunque, scivolò via presto in un posto diverso. Gli venne l'idea di condurre i ragni furibondi sempre più lontano dai Nani, se poteva; e di incuriosirli, turbarli e farli arrabbiare tutto in una volta. Quando una cinquantina ebbero lasciato il posto dove stavano prima, egli tirò altri sassi contro di loro e contro certi altri che si erano fermati più indietro; poi danzando intorno agli alberi cominciò a cantare una canzone per farli infuriare e tirarseli tutti dietro, e inoltre per far udire la sua voce ai Nani.

Questo fu il suo canto:

 

Vecchio ragno grasso e tondo,

che sull'albero provvedi

fili a tesser, mi nascondo

e così tu non mi vedi!

Sputaveleno! Sputaveleno!

Al lavoro metti freno

e non tessere perché

mai potrai prendere me.

 

Vecchio grasso rimbambito,

vecchio sciocco corpacciuto,

il tuo scopo è già fallito

perché ancor non m'hai veduto.

Sputaveleno! Sputaveleno!

Salta giù qui sul terreno!

Se sull'albero starai

prender me tu non potrai!

 

Forse non era niente di eccezionale, ma non dovete dimenticare che aveva dovuto comporla da solo, sotto il pungolo di un momento veramente drammatico. Comunque ottenne più di quanto si era proposto.

 

 

Mentre cantava lanciò qualche altra pietra e batté i piedi. Praticamente tutti i ragni del circondario gli corsero dietro: alcuni si lasciarono cadere al suolo, altri passarono rapidamente di ramo in ramo, ondeggiando da un albero all'altro, oppure scagliarono nuove corde attraverso le tenebre.

Si diressero tutti verso il suono della sua voce assai più rapidamente di quanto egli si fosse aspettato. Erano spaventosamente arrabbiati. Anche lasciando perdere le pietre, a nessun ragno è mai piaciuto sentirsi chiamare Sputaveleno e, d'altra parte, «rimbambito» è un insulto per chiunque.

Bilbo si spostò di nuovo, ma molti ragni erano ora corsi in vari punti della radura in cui vivevano e si davano da fare a tessere tele fra un tronco e l'altro, e in brevissimo tempo lo Hobbit sarebbe stato imprigionato in un fitto recinto di ragnatele tese tutt'intorno a lui, almeno questa era l'intenzione dei ragni. Stando ora in mezzo agli insetti che gli davano la caccia e che tessevano, Bilbo prese il coraggio a due mani e intonò una nuova canzone:

 

Pigro Rozzo e Ragno Matto

tesson fili per legarmi.

Che boccon sono, che piatto!

Ma non possono trovarmi.

Io sto qui, moschin briccone,

voi, dal corpo grasso e sfatto,

mai farete me prigione

con quel vostro filo matto!

 

Detto questo si girò e scoprì che l'ultima via di scampo tra due alberi alti stava per essere chiusa con una ragnatela, non una ragnatela vera e propria, per fortuna, solo qualche grosso filo teso in fretta e furia fra un tronco e l'altro. Bilbo sguainò la piccola spada e facendo a pezzi i fili uscì cantando.

I ragni videro la spada, anche se non credo sapessero che cosa fosse, e immediatamente si precipitarono in massa dietro lo Hobbit correndo per terra e sui rami, zampe pelose ondeggianti, pinze e chele scattanti, occhi roteanti, bocche sbavanti collera. Lo seguirono nella foresta finché Bilbo arrivò in un punto oltre il quale non osò avanzare. Allora, più silenzioso di un topo, tornò indietro alla chetichella.

Aveva pochissimo tempo a disposizione, lo sapeva bene, prima che i ragni si stufassero e tornassero sui loro alberi dove i Nani stavano ancora appesi, e in questo breve spazio di tempo egli doveva salvare i suoi compagni. La parte peggiore della faccenda era salire sui lunghi rami da cui penzolavano i fagotti. Non ce l'avrebbe fatta, credo, se per fortuna un ragno non avesse lasciato pendere giù un filo; con l'aiuto di questo, benché gli si attaccasse alle mani e gli facesse male, si issò su per imbattersi in un vecchio ragnaccio dal corpo grasso che era rimasto lì a fare la guardia ai prigionieri, e che era stato molto indaffarato a punzecchiarli per vedere quale fosse il più tenero da mangiare. Aveva pensato di iniziare il banchetto mentre gli altri erano ancora lontani, ma il signor Baggins aveva fretta e prima che il ragno si rendesse conto di quello che stava succedendo, aveva ricevuto un bel colpo di spada ed era rotolato giù dal ramo, morto.

Il prossimo compito di Bilbo fu quello di liberare un Nano. Ma come? Se tagliava la corda cui era appeso, il disgraziato sarebbe precipitato a terra come un sasso da un'altezza considerevole. Strisciando sul ramo (ciò che fece danzare e dondolare tutti quei poveri Nani come frutti maturi) egli raggiunse il primo fagotto.

'Fili o Kili' pensò vedendo la punta di un cappuccio blu che spuntava fuori in cima. 'Più probabilmente Fili' decise, scorgendo fuori dai fili che lo avvolgevano anche la punta di un lungo naso. Sporgendosi dal ramo riuscì a tagliare la maggior parte di quei fili robusti e vischiosi e, come aveva previsto, scalciando e divincolandosi Fili emerse quasi per intero. E Bilbo, mi dispiace dirlo, non poté frenare il riso, vedendo il Nano contrarre le braccia e le gambe irrigidite, ondeggiando sul filo della ragnatela che gli passava sotto le ascelle, proprio come uno di quei buffi pupazzi che ballano su uno spago.

In un modo o nell'altro Fili fu tirato sopra il ramo, e fece del suo meglio per aiutare lo Hobbit, sebbene avesse la nausea e si sentisse male per il veleno dei ragni e per essere stato appeso quasi tutta la notte e il giorno seguente, legato come un salame, con la sola punta del naso che sporgeva fuori e gli consentiva di respirare. Gli ci volle un bel po' di tempo per togliersi quella robaccia dagli occhi e dalle sopracciglia, e per quanto riguarda la barba, dovette tagliarne la maggior parte. Fra tutti e due cominciarono a tirar su un Nano dopo l'altro, tagliando i loro legami. Nessuno era in condizioni migliori di Fili, e alcuni stavano peggio di lui. Certi poi avevano potuto a malapena respirare (dove si dimostrava che a volte un naso lungo è assai utile), mentre altri avevano ricevuto maggiori dosi di veleno.

In questo modo salvarono Kili, Bifur, Bofur, Dori e Nori. Il povero vecchio Bombur era così esausto - essendo il più grasso lo avevano continuamente pizzicato e palpeggiato - che cadde semplicemente giù dal ramo e si afflosciò al suolo, per fortuna su un mucchio di foglie, e rimase lì a giacere. Ma c'erano ancora cinque Nani appesi all'estremità del ramo quando i ragni cominciarono a ritornare, più incolleriti che mai.

Bilbo si spostò immediatamente all'estremità dove il ramo si diparte dal tronco dell'albero e trattenne quelli che si arrampicavano su. Si era tolto l'anello quando aveva liberato Fili e aveva dimenticato di rinfilarselo, sicché ora cominciarono tutti a sbavare e a fischiare:

«Adesso ti vediamo, brutto rospaccio! Ti mangeremo e lasceremo la tua pelle e le tue ossa appese a un albero. Ugh! È un pungiglione quello che ha? Be', lo cattureremo lo stesso e poi lo appenderemo a testa in giù per un giorno o due.»

Mentre si svolgeva questa scena, gli altri Nani si davano da fare a liberare il resto dei prigionieri, e a tagliare i fili con i coltelli. Presto furono tutti liberi, anche se non era chiaro che cosa sarebbe successo in seguito. I ragni li avevano catturati senza alcuna difficoltà la notte prima, ma assalendoli di sorpresa e al buio. Questa volta si preparava una battaglia all'ultimo sangue.

Improvvisamente Bilbo si accorse che alcuni ragni si erano raggruppati al suolo attorno al buon Bombur, e lo avevano legato di nuovo e stavano portandolo via. Lanciò un grido e colpì i ragni che aveva di fronte. Questi si affrettarono a sgomberare, ed egli ruzzolò e cadde giù dall'albero proprio in mezzo a quelli che stavano per terra. La sua piccola spada era per loro una novità in fatto di pungiglioni: come guizzava avanti e indietro! Splendeva di gioia quando affondava in uno dei ragni. Una mezza dozzina fu uccisa prima che gli altri scappassero e lasciassero Bombur a Bilbo.

«Venite giù! Venite giù!» egli gridò ai Nani sul ramo. «Non state lì a farvi intrappolare!» Infatti aveva visto che i ragni stavano arrampicandosi sugli alberi vicini, e strisciavano lungo i rami sopra la testa dei Nani.

I Nani scivolarono, saltarono o caddero di sotto, undici tutti in un mucchio, la maggior parte di loro deboli e malfermi sulle gambe. Alla fine erano dodici contando il povero vecchio Bombur, che veniva sostenuto da entrambi i lati dal cugino Bifur e da suo fratello Bofur; e Bilbo danzava intorno a loro, agitando il Pungiglione; e centinaia di ragni furiosi stralunavano gli occhi di sopra, di lato e tutt'intorno a loro. Era proprio una situazione disperata.

Poi la battaglia cominciò. Alcuni Nani avevano dei coltelli, altri dei bastoni, e tutti quanti potevano ricorrere alle pietre; e Bilbo aveva il suo pugnale elfico. I ragni furono respinti più volte, e molti furono uccisi. Ma non poteva continuare a lungo. Bilbo era quasi morto di fatica; solo quattro Nani erano in grado di reggersi bene sulle gambe, e presto sarebbero stati tutti sopraffatti come mosche esauste. I ragni ricominciarono già a tessere la tela tutt'intorno a loro, da un albero all'altro.

Alla fine l'unico piano che Bilbo riuscì a escogitare fu quello di mettere i Nani a parte del segreto dell'anello. Gli dispiaceva molto, ma non poteva farne a meno.

«Tra un minuto scomparirò» disse. «Cercherò di tirarmi dietro i ragni, se ci riesco; e voi dovete rimanere insieme e dirigervi dalla parte opposta, lì a sinistra, quella è più o meno la via che conduce al luogo dove abbiamo visto per l'ultima volta i fuochi degli Elfi.»

Gli fu difficile farsi capire dai Nani intontiti dalle vertigini, dalle urla, dal battito dei bastoni e dal lancio delle pietre; ma alla fine Bilbo ritenne di non poter rimandare oltre: inesorabili, i ragni stavano stringendo l'accerchiamento. Improvvisamente si infilò l'anello, e con grande stupore dei Nani sparì.

Ben presto si udì risonare «Ragno Matto» e «Sputaveleno» in mezzo agli alberi, lontano, a destra. I ragni ne furono terribilmente sconvolti. Smisero di avanzare, e alcuni corsero in direzione della voce. «Sputaveleno» li rese così furiosi che persero il lume degli occhi. Allora Balin, che aveva afferrato il piano di Bilbo meglio degli altri, partì all'attacco. I Nani si serrarono tutti insieme: scagliando una pioggia di sassi si precipitarono contro i ragni alla loro sinistra e riuscirono a infrangere l'accerchiamento. Molto lontano, ormai, le grida e il canto cessarono di botto.


Date: 2015-12-17; view: 769


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