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Dalla padella alla brace 1 page

 

Bilbo era sfuggito agli Orchi, ma non sapeva dove si trovava. Aveva perso cappuccio, mantello, cibo, pony, bottoni e amici. Continuò a girovagare, finché il sole cominciò a tramontare a Ovest - dietro le montagne. Queste proiettavano la loro ombra sul suo cammino, ed egli dapprima si guardò indietro, poi guardò avanti, e poté vedere di fronte a sé solamente giogaie e pendii che degradavano verso bassipiani e pianure intraviste qua e là tra gli alberi.

«Santo cielo!» esclamò. «Pare proprio che io sia arrivato dall'altra parte delle Montagne Nebbiose, al confine della Terra Remota. Vorrei solo sapere dove sono andati a finire Gandalf e i Nani! Spero proprio che non siano ancora là dentro, in mezzo agli Orchi.»

Girovagò ancora fuori della piccola valle elevata, l'oltrepassò e scese giù per la china, dall'altra parte; ma per tutto il tempo un pensiero molto sgradevole ingigantiva dentro di lui. Si domandava se, ora che aveva l'anello magico, non dovesse tornare indietro in quegli orribili tunnel a cercare i suoi amici. Aveva appena deciso che questo era il suo dovere, che doveva tornare indietro - e ciò lo rese assai infelice - quando udì alcune voci.

Si fermò ad ascoltare. Non sembravano voci di Orchi; così avanzò strisciando con prudenza. Si trovava su un sentiero sassoso che scendeva a zig-zag con una parete rocciosa sulla sinistra; sulla destra il terreno andava degradando, e sotto al livello del sentiero si aprivano dei canaloni, sulle cui pareti crescevano arbusti e cespugli. In fondo a uno di questi canaloni, sotto i cespugli, c'era della gente che parlava.

Strisciò ancora più vicino, e improvvisamente, spiando tra due grossi massi, vide una testa con un cappuccio rosso: era Balin che faceva la sentinella Avrebbe voluto battere le mani e gridare dalla gioia, ma non lo fece. Aveva ancora l'anello al dito, per paura d'incontrare qualcosa di inaspettato e di spiacevole, e vide che Balin guardava proprio verso di lui senza accorgersi della sua presenza.

'Farò una sorpresa a tutti' pensò, mentre si calava lentamente tra i cespugli sull'orlo del canalone. Gandalf stava litigando coi Nani. Stavano discutendo di tutto quello che era loro successo nei tunnel, e si domandavano e dibatte vano cosa dovessero fare ora. I Nani brontolavano, e Gandalf diceva che non se ne parlava nemmeno di continuare il viaggio abbandonando il signor Baggins nelle mani degli Orchi, senza cercare di scoprire se fosse vivo o morto < senza cercare di liberarlo.

«Dopo tutto è amico mio,» disse lo stregone «e, come persona, non è niente male. Mi sento responsabile verso di lui. Ah, come vorrei che non lo avesti perso!»

I Nani volevano sapere perché mai lo si fosse portato con loro, perché, al meno, non avesse cercato di non farsi separare dai suoi amici, perché lo stregone non avesse scelto qualcuno con maggior buon senso. «Finora ci ha dato più fastidi che altro» disse uno. «Se adesso dobbiamo anche tornare indietro in quegli abominevoli tunnel per cercarlo, accidenti a lui, dico io!»



Gandalf rispose con voce irata: «L'ho portato io, e io non porto cose che non sono utili. O mi aiutate a cercarlo, o me ne vado e vi pianto qui a sbrogliarvela da soli come meglio potete. Se riusciamo a trovarlo, me ne ringrazierete prima che tutto sia finito. Che ti è venuto in mente di lasciarlo cadere e di andartene, Dori?.»

«Anche tu l'avresti lasciato cadere,» disse Dori «se un Orco ti avesse improvvisamente afferrato le gambe, da dietro, nel buio, ti avesse fatto lo sgambetto e preso a pugni nella schiena!»

«Ma allora perché non l'hai ripreso?»

«Santo cielo! E me lo domandi? Con gli Orchi che combattevano e mordevano al buio, e tutti che cadevamo gli uni sugli altri e ci pigliavamo a pugni a vicenda! Tu mi hai quasi mozzato la testa con Glamdring, e Thorin tirava colpi da tutte le parti con Orcrist. Tutto a un tratto il tuo bastone ha emesso uno dei suoi lampi accecanti e abbiamo visto gli Orchi che tornavano indietro di corsa uggiolando. Tu hai gridato: 'Seguitemi tutti!', e tutti avrebbero dovuto seguirti. Pensavamo che tutti lo avessero fatto. Non ci fu tempo per contarci, lo sai benissimo, se non dopo che schizzammo attraverso le guardie al portone, fuori dell'uscita secondaria, e arrivammo qui in fretta e furia. Ed eccoci quaggiù, senza lo scassinatore, che il cielo lo strafulmini!»

«Ed ecco lo scassinatore!» disse Bilbo scivolando giù in mezzo a loro e togliendosi l'anello.

Accidenti, che salto fecero! Poi gridarono dalla sorpresa e dalla gioia. Gandalf era stupefatto come ciascuno di loro, ma probabilmente più compiaciuto di tutti gli altri. Dette una voce a Balin, e gli disse quello che pensava di una sentinella che lasciava venire la gente, così proprio in mezzo a loro, senza avvertire. È un fatto che dopo di ciò la reputazione di Bilbo presso i Nani crebbe considerevolmente. Se, nonostante le parole di Gandalf, dubitavano ancora che egli fosse uno scassinatore di prim'ordine, i dubbi svanirono. Balin era il più sconcertato di tutti; ma tutti dissero che era stato proprio un bel lavoretto. E in verità Bilbo era così compiaciuto delle loro lodi che ridacchiò tra sé e sé e non disse un bel niente dell'anello; e quando gli domandarono come avesse fatto, disse: «Oh, sono strisciato fin qui, facendo molta attenzione e in silenzio, roba da niente.»

«Be', è la prima volta che perfino un topo mi è passato proprio sotto il naso facendo attenzione e in silenzio, senza che io l'abbia avvistato,» disse Balin «e ti faccio tanto di cappello.» E così fece.

«Balin al vostro servizio» disse.

«Baggins, servo vostro» disse Bilbo.

Poi vollero sapere tutto sulle avventure che aveva avuto dopo che l'avevano perso, ed egli si sedette e raccontò tutto, tranne il rinvenimento dell'anello ('Non è il momento' penso). Si interessarono particolarmente alla gara di enigmi, e rabbrividirono con il più apprezzabile raccapriccio alla sua descrizione di Gollum.

«E poi non mi venne in mente nessun'altra domanda, con lui che mi stava seduto vicino,» finì Bilbo «così dissi: 'Che cos'ho in tasca?'. E lui non fu capace di indovinare neanche dando tre risposte. Così gli dissi: 'E la tua promessa? Mostrami la via d'uscita!'. Ma lui venne verso di me per uccidermi, e io corsi via e caddi, e lui mi mancò al buio. Poi lo seguii, poiché lo sentii parlare tra sé e sé. Era proprio convinto che io conoscessi la via d'uscita e così vi si dirigeva. Poi si mise a sedere all'ingresso, e io non mi ci potevo avvicinare. Così spiccai un salto sopra di lui e scappai, correndo giù verso il portone.»

«E le guardie?» essi domandarono. «Non ce n'era di guardie?»

«Oh, sì! Tantissime, ma io le ho schivate. Sono rimasto incastrato nella porta, che era appena appena socchiusa, e ho perso un sacco di bottoni» egli disse tristemente, guardando i suoi vestiti lacerati. «Ma ce l'ho fatta, ed eccomi qua.»

I Nani lo guardarono con un certo qual nuovo rispetto, quando parlò di schivare le guardie, saltare sopra Gollum e passare dalla fessura, quasi fossero cose non molto difficili o allarmanti.

«Che vi avevo detto?» disse Gandalf ridendo. «Il signor Baggins è più in gamba di quanto non si pensi.» Mentre diceva questo, lanciò a Bilbo una strana occhiata da sotto alle sopracciglia irsute, e lo Hobbit si domandò se avesse indovinato la parte della storia che aveva tralasciato.

Poi fu il suo turno di far domande, poiché se Gandalf aveva ormai spiegato tutto ai Nani, Bilbo non l'aveva udito. Voleva sapere come aveva fatto lo stregone a saltare fuori al momento giusto, e a che punto era la situazione.

A dire la verità, allo stregone non dispiaceva per niente parlare ancora della sua bravura, così disse a Bilbo che lui ed Elrond erano stati ben consci della presenza di Orchi malvagi in quella parte delle montagne. Ma un tempo il loro ingresso principale si apriva su un altro passo, più facile da valicare, così che spesso catturavano la gente sorpresa dalle tenebre in quei pressi. Evidentemente la gente aveva rinunciato a passare da quella parte, e gli Orchi dovevano avere aperto il loro nuovo ingresso in cima al passo per cui erano passati i Nani; abbastanza di recente, del resto, perché fino a quel momento era stato abbastanza sicuro.

«Devo vedere se posso trovare un Gigante abbastanza per bene per bloccarlo di nuovo,» disse Gandalf «o tra poco le montagne non si potranno più attraversare affatto.»

Appena Gandalf aveva udito l'urlo di Bilbo, si era reso subito conto di quel che stava accadendo. Approfittando del lampo che uccise gli Orchi che stavano per prenderlo era entrato di corsa nella fenditura, un istante prima che questa si richiudesse di scatto. Aveva seguito Orchi e prigionieri fino al limite della sala grande; lì si era seduto e nelle tenebre aveva pensato e ripensato quale incantesimo fare.

«Era proprio un affare scabroso!» disse. «Dare la stoccata e fuggire!»

Naturalmente Gandalf aveva fatto uno studio speciale sugli incantesimi con fuochi e luci (nemmeno lo Hobbit aveva dimenticato i magici fuochi d'artificio per la festa di Ferragosto del Vecchio Tuc, ve ne rammentate?). Il resto è noto a tutti, eccetto che Gandalf sapeva tutto sulla porta secondaria, come gli Orchi chiamavano l'ingresso inferiore, dove Bilbo aveva perso i bottoni. In realtà la cosa era nota a chiunque avesse una certa familiarità con quella parte delle montagne; ma ci voleva uno stregone per non perdere la testa nei tunnel e guidarli nella direzione giusta.

«Hanno fatto quella porta tanto tempo fa,» egli disse «in parte come uscita di sicurezza, se mai ne avessero bisogno, in parte come sbocco sulle terre che si trovano al di qua delle montagne, e dove essi scendono ancora al calar delle tenebre facendo gravi danni. La sorvegliano sempre e nessuno è mai riuscito a bloccarla. D'ora in poi la sorveglieranno il doppio!» egli rise.

Tutti gli altri risero con lui. In fondo, anche se avevano subito delle perdite, avevano però ucciso il Grande Orco e moltissimi altri oltre a lui, ed erano scampati tutti, sicché tutto sommato si poteva dire che fino allora tutto era andato per il meglio. Ma lo stregone li richiamò alla realtà. «Dobbiamo rimetterci in cammino subito, adesso che ci siamo riposati un po'» disse. «Appena fa notte usciranno a centinaia per darci la caccia; e le ombre si stanno già allungando. Possono fiutare le nostre impronte ore e ore dopo che siamo passati. Dobbiamo essere a miglia di distanza prima del crepuscolo. Ci sarà un po' di luna, se il cielo rimane sereno, e questa è una fortuna. Non che a loro gliene importi molto della luna, ma noi almeno avremo un po' di luce per dirigere i nostri passi.»

«Ah, sì!» disse rispondendo ad altre domande dello Hobbit. «Hai perso il senso del tempo dentro i tunnel degli Orchi. Oggi è giovedì, ed era lunedì notte o martedì mattina quando siamo stati catturati. Abbiamo percorso miglia e miglia, e siamo scesi proprio attraverso il cuore delle montagne, e ora ci troviamo sull'altro versante, una bella scorciatoia. Ma ora non siamo dove ci avrebbe portato il nostro passo; siamo troppo a nord e strane contrade si stendono davanti a noi, e siamo ancora molto in alto. Su, andiamo avanti!»

«Ho una fame spaventosa!» si lamentò Bilbo, che all'improvviso si rese conto di non aver mangiato niente dalla notte precedente la notte che precedeva la notte prima. Pensate un po' che cosa volesse dire per uno Hobbit! Adesso che l'eccitazione era passata, si sentiva lo stomaco vuoto e floscio, e le gambe che facevano giacomo-giacomo.

«Non posso farci niente,» disse Gandalf «a meno che tu non voglia tornare indietro a chiedere educatamente agli Orchi di farti riavere il tuo pony e i tuoi bagagli.»

 

 

«No, grazie!» disse Bilbo.

«Benissimo, allora dobbiamo solo stringere la cinghia e trascinarci avanti, o saremo mangiati per cena, il che sarebbe molto peggio che rimanerne senza noi stessi.»

Mentre avanzavano, Bilbo guardava di qua e di là in cerca di qualcosa da mangiare; ma le more erano ancora in fiore, e non c'erano nocciole, naturalmente, e neanche una bacca qualsiasi. Mangiucchiò un po' di acetosella e bevve l'acqua di un torrentello che attraversava il sentiero, e sulla sponda trovò tre fragole selvatiche, ma non era certo granché.

Continuarono ad avanzare. Il sentiero accidentato disparve. I cespugli, e i lunghi fili d'erba tra i massi, le macchie di trifoglio brucato dai conigli, il timo, la salvia, la maggiorana, e le gialle rose di roccia, tutto svanì, e si trovarono in cima a un vasto, ripido pendio di pietre ammucchiate, residui di una frana. Quando cominciarono a scendere, terriccio e pietrame rotolarono in basso sotto i loro piedi; ben presto schegge di pietra più grosse cominciarono a precipitare a valle rumorosamente, facendo a loro volta cadere e rotolare le pietre sottostanti; poi fu la volta di grossi blocchi di roccia che, scalzati, andarono a infrangersi sul fondo sollevando polvere e fragore. Dopo non molto, tutto il pendio sopra e sotto di loro parve muoversi, ed essi sdrucciolarono via, stretti tutti insieme, in una confusione paurosa di lastroni e pietre che scivolavano, rimbalzavano, si infrangevano.

Furono gli alberi sul fondo che li salvarono. Essi slittarono oltre il margine di un bosco di pini cresciuti sulle pendici della montagna, risalendo dalle foreste più scure delle valli sottostanti. Alcuni si afferrarono ai tronchi e con un volteggio saltarono sui rami più bassi, altri (come il piccolo Hobbit) si misero dietro un albero per ripararsi dall'assalto furioso delle pietre. Presto il pericolo passò, la frana finì, e si poterono udire gli ultimi deboli slittamenti, mentre le pietre più grosse andavano rimbalzando e rotolando lontano, tra le radici dei pini e le felci.

«Bene! Questo ci ha fatto fare un bel passo in avanti!» disse Gandalf «e perfino gli Orchi sulle nostre tracce avranno il loro daffare a scendere qui senza far chiasso.»

«Oso dire» brontolò Bombur «che non sarà difficile per loro far ruzzolare le pietre sulle nostre teste.» I Nani (e Bilbo), ben lungi dall'essere felici, erano intenti a pulire le abrasioni e gli sgraffi dalle gambe e dai piedi malconci.

«Sciocchezze! Adesso gireremo per di qui, fuori tiro, lontano dalla frana. Dobbiamo fare in fretta! Guardate la luce!»

Il sole era calato da un pezzo dietro le montagne. Le ombre si erano già infittite attorno a loro, sebbene in lontananza, attraverso gli alberi e sopra le cime nere di quelli che crescevano più in basso, essi potessero ancora vedere le luci della sera nelle pianure sottostanti. Avanzarono dunque zoppicando il più velocemente possibile giù per i lievi pendii di un bosco di pini fino a un sentiero in discesa che portava decisamente a Sud. A tratti si aprivano la strada in un mare di felci dalle alte foglie, che si innalzavano diritte sopra la testa dello Hobbit; a tratti marciavano silenziosamente, per quanto è possibile su un tappeto di aghi di pino; e per tutto quel tempo la tetraggine della foresta divenne più pesante e il silenzio più profondo. Quella sera non c'era vento a portare almeno un sospiro di mare tra i rami degli alberi.

 

* * *

 

«Dobbiamo andare ancora avanti?» domandò Bilbo, quando fu così buio che poteva vedere solo la barba di Thorin ondeggiare accanto a lui, e la quiete era tale che perfino il respiro dei Nani gli pareva un forte rumore. «Ho i piedi storpiati e indolenziti, male alle gambe, e lo stomaco che mi balla come un sacco vuoto.»

«Un po' più avanti» disse Gandalf.

Dopo quella che sembrò un'eternità, arrivarono improvvisamente a uno spiazzo dove non cresceva che un albero. La luna si era levata e brillava nella radura. Oscuramente, come per un presentimento, sentirono che quello non era per niente un bel posto, anche se a prima vista non c'era niente che non andava.

Infatti, tutto a un tratto, udirono un ululato, più in basso, sotto la collina, un ululato lungo e raccapricciante. Un altro gli rispose alla loro destra e molto più vicino; poi un altro non lontano sulla sinistra. Erano lupi che ululavano alla luna, lupi che si riunivano tutti insieme!

Vicino alla caverna del signor Baggins, al suo paese, non viveva nessun lupo, ma egli conosceva quel verso. Gli era stato descritto abbastanza spesso in vari racconti. Anzi, uno dei suoi cugini più anziani (di parte Tuc), che era stato un grande viaggiatore, era solito rifare quel verso per spaventarlo. Udirlo all'aperto, in mezzo alla foresta, sotto la luna, fu troppo per Bilbo. Nemmeno gli anelli magici servono a molto contro i lupi, specie contro quei branchi malvagi che vivevano all'ombra delle montagne infestate dagli Orchi, sul Confine delle Terre Selvagge ai limiti dell'Ignoto. Lupi di tal fatta hanno un odorato più fino degli Orchi, e non hanno bisogno di vedervi per prendervi!

«Che facciamo, che facciamo!» gridò. «Sfuggire agli Orchi per essere presi dai lupi!» disse, e l'espressione divenne proverbiale, anche se ora si dice «dalla padella nella brace» quando ci si trova in una situazione spiacevole di questo tipo.

«Sugli alberi, presto!» gridò Gandalf; e corsero verso gli alberi sul limitare della radura, puntando a quelli che avevano rami abbastanza bassi, o che erano abbastanza slanciati per arrampicarvicisi sopra. Li trovarono il più in fretta possibile, come potete ben immaginare; e salirono quanto più in alto glielo consentiva la robustezza dei rami. Avreste riso (a distanza di sicurezza!), se aveste visto i Nani che sedevano sugli alberi con le barbe penzoloni, come vecchi gentiluomini rimbambiti che fanno i ragazzini. Fili e Kili erano in cima a un larice alto come un enorme albero di Natale. Dori, Nori, Oin e Gloin stavano più comodi su un gran pino dai rami che sporgevano a intervalli regolari come i raggi di una ruota. Bifur, Bofur, Bombur e Thorin stavano sopra a un altro. Dwalin e Balin si erano appollaiati su un abete alto ed esile con pochi rami e cercavano di trovare un posto a sedere nel verdeggiare delle fronde più alte. Gandalf, che era un bel po' più alto degli altri, aveva trovato un albero su cui essi non potevano arrampicarsi, un largo pino che stava proprio all'estremo limite della radura. Egli era ben nascosto tra le fronde, ma si potevano vedere i suoi occhi scintillare nel buio quando faceva capolino.

E Bilbo? Non poteva salire su nessun albero e correva da un tronco all'altro, come un coniglio che ha smarrito la tana ed è inseguito da un cane.

«Ti sei di nuovo lasciato dietro lo scassinatore!» disse Nori a Dori guardando in giù.

«Non posso mica passare la vita a portarmi scassinatori in spalla» disse Dori «giù per i tunnel e su per gli alberi! Cosa credi che sia? Un facchino?»

«Se lo mangeranno se non facciamo qualcosa» disse Thorin, poiché ormai gli ululati risuonavano tutt'intorno a loro, sempre più vicini. «Dori!» chiamò, poiché Dori stava più in basso sull'albero più accessibile «sbrigati, e dà una mano al signor Baggins!»

Dori era proprio un buon diavolo nonostante tutto il suo brontolare. Il povero Bilbo non ce la faceva a raggiungere la sua mano neanche quando egli scese sul ramo più basso e tese la mano più giù che poté. Così Dori scese addirittura dall'albero e si fece salire Bilbo sulle spalle.

Proprio in quel momento i lupi arrivarono di corsa nella radura ululando. Tutto a un tratto ci furono centinaia di occhi intenti a fissarli. Pure, Dori non abbandonò Bilbo. Aspettò finché non si fu arrampicato sui rami, e poi saltò verso i rami lui stesso. Appena in tempo! I denti di un lupo scattarono verso il suo mantello mentre egli volteggiava su, e quasi lo presero. In un minuto c'era un intero branco attorno all'albero, che ululava e cercava di saltare su per il tronco, con gli occhi scintillanti e la lingua fuori.

Ma nemmeno i Mannari Selvaggi (infatti così erano chiamati i lupi malvagi sul Confine delle Terre Selvagge) possono salire sugli alberi. Per un po' furono in salvo. Stare seduti a lungo sugli alberi non è mai molto comodo; al freddo e al vento, con tutt'intorno innumerevoli lupi che aspettano sotto di voi, può essere una sistemazione propriamente terribile.

Quella radura delimitata dagli alberi era evidentemente un luogo di raduno dei lupi. Continuarono ad arrivarne sempre di più. Lasciarono alcune guardie ai piedi dell'albero su cui stavano Dori e Bilbo, e poi andarono ad annusare intorno finché non trovarono tutti gli alberi su cui c'era qualcuno. Anche sotto a questi misero delle guardie, mentre tutti gli altri (parevano centinaia e centinaia) andarono a sedersi in un gran circolo nella radura; e in mezzo al circolo c'era un grosso lupo grigio. Parlava agli altri nella spaventosa lingua dei Mannari. Gandalf la capiva, Bilbo no, ma gli sembrava terribile pensare che tutto quello che veniva detto riguardasse cose crudeli e malvagie, come infatti era. Di tanto in tanto i Mannari rispondevano al loro capo tutti insieme, e il loro spaventoso clamore fece quasi cadere lo Hobbit dal suo pino.

Vi dirò che cosa udì Gandalf, anche se Bilbo non lo capì. I Mannari e gli Orchi si aiutavano spesso a vicenda nelle loro azioni malvagie. Di solito gli Orchi non si avventurano molto lontano dalle loro montagne, a meno che non ne vengano snidati e cerchino nuove case, o vadano in guerra (cosa che, sono lieto di dire, non si è verificata per molto tempo). Ma in quei giorni ogni tanto facevano delle scorrerie, specialmente per procurarsi cibo o schiavi che lavorassero per loro, e talvolta cavalcavano i Mannari come gli uomini fanno coi cavalli. A quel che sembrava, una grande scorreria di questo tipo era stata progettata proprio per quella notte. I Mannari erano venuti a incontrare gli Orchi, e gli Orchi erano in ritardo. I motivi erano senza dubbio la morte del Grande Orco e lo scompiglio causato dai Nani, da Bilbo e dallo stregone, ai quali probabilmente stavano ancora dando la caccia.

Nonostante i pericoli di quelle terre remote, uomini arditi provenienti da Sud si erano spinti fin là, abbattendo alberi e costruendosi dimore in cui vivere, in mezzo ai boschi più belli, nelle vallate e lungo le sponde del fiume. Ce n'erano molti, ed erano coraggiosi e ben armati, e nemmeno i Mannari osavano attaccarli se erano in molti, o in pieno giorno. Ma ora avevano progettato, con l'aiuto degli Orchi, di calare nottetempo su qualcuno dei villaggi più vicini alle montagne. Se i loro piani si fossero svolti secondo il previsto, non ci sarebbe rimasta persona viva il giorno dopo; sarebbero stati uccisi tutti, tranne pochi che gli Orchi avrebbero sottratto ai Mannari e portato via come prigionieri nelle loro caverne.

Terribile era ascoltare quello che dicevano, non solo pensando ai coraggiosi boscaioli, alle loro mogli e ai loro figli, ma anche per il pericolo che ora minacciava Gandalf e i suoi amici. I Mannari erano furiosi e perplessi per averli trovati lì, proprio nel loro luogo di raduno. Pensavano che fossero amici dei boscaioli, venuti a spiarli, e che avrebbero divulgato i loro piani giù nelle valli; gli Orchi e i lupi avrebbero dovuto così sostenere una battaglia terribile invece di catturare prigionieri e divorare gente sorpresa nel sonno. I Mannari quindi non avevano alcuna intenzione di andarsene e di lasciar scappare quelli che stavano sugli alberi, non prima del mattino, in ogni modo. E prima di allora, dissero, gli Orchi-soldati sarebbero scesi dalle montagne; e gli Orchi sono ben capaci di salire sugli alberi o di abbatterli.

Potete ben capire perché Gandalf, ascoltando i loro ringhi e i loro ululati, cominciasse a spaventarsi terribilmente, anche se era uno stregone, avendo la netta sensazione di trovarsi in un posto che tutto era fuor che sicuro. Ma non aveva nemmeno l'intenzione di lasciare fare ai lupi il comodo loro, anche se non poteva far molto, bloccato com'era su un albero alto con i lupi tutt'intorno. Raccolse delle grosse pigne dai rami del suo albero, ne incendiò una con una vivida fiamma blu, e la scagliò giù sibilante in mezzo al circolo dei lupi. Ne colpì uno sulla schiena e immediatamente il suo ispido pelo prese fuoco, cosicché il lupo si mise a saltare di qua e di là ululando orribilmente. Poi ne tirò un'altra e un'altra ancora: una avvolta in una fiamma blu, un'altra in una rossa, un'altra in una verde. Scoppiavano al suolo in mezzo al circolo e ricadevano in scintille colorate e fumo. Una particolarmente grossa colpì sul naso il capo dei lupi, che fece un balzo di tre metri, e poi, in preda all'ira e al terrore, corse follemente intorno al circolo, mordendo e addentando perfino gli altri lupi.

I Nani e Bilbo esplosero in grida d'incitamento. La collera dei lupi era terribile a vedersi e il tumulto che fecero risuonò per tutta la foresta. Da sempre i lupi hanno paura del fuoco, ma questo era un fuoco particolarmente orribile e soprannaturale: se una scintilla arrivava a colpirne la pelliccia, vi si attaccava e vi scavava una ferita bruciante, e a meno che i lupi non si rotolassero in fretta per terra erano presto divorati dalle fiamme. In brevissimo tempo per tutta la radura c'erano lupi che si rotolavano per scuotersi le scintille dalla schiena, mentre quelli che bruciavano correvano intorno ululando e incendiandone altri, finché i loro stessi compagni non li misero in fuga ed essi si dileguarono giù per la discesa gridando e urlando in cerca di acqua.

 

* * *

 

«Che cos'è tutto questo strepito nella foresta, stanotte?» disse il Signore delle Aquile, appollaiato, nero nel chiarore lunare, sulla vetta di un solitario pinnacolo di roccia al confine orientale delle montagne. «Sento voci di lupi! Gli Orchi stanno facendo danni nei boschi?»

Si alzò in aria maestoso e vigile, e immediatamente due delle sue guardie balzarono su dalle rocce vicine per seguirlo. Volteggiarono in cielo e guardarono giù verso il cerchio dei Mannari, una macchiolina lontana sotto di loro. Ma le aquile hanno occhi acuti e possono vedere cose piccole a grande distanza. Il Signore delle Aquile delle Montagne Nebbiose aveva occhi che potevano vedere un coniglio muoversi al suolo un miglio più sotto, perfino alla luce della luna. Sicché, benché non potesse vedere la gente sugli alberi, poté scorgere il tumulto tra i lupi e vedere i piccoli guizzi di fuoco, e udire gli ululati e le urla che salivano debolmente fino a lui. Poté anche scorgere i bagliori della luna sulle lance e gli elmi degli Orchi, mentre questi esseri malvagi strisciavano fuori del loro portone giù per i pendii in lunghe file che si snodavano nel bosco.

Le aquile non sono uccelli gentili. Alcune sono codarde e crudeli. Ma la stirpe antica delle montagne settentrionali era la più nobile di tutti gli uccelli, fiera, forte e magnanima. Essi non amavano gli Orchi, né li temevano. Le rare volte in cui abbassavano lo sguardo su di loro (ciò che accadeva di rado, poiché non mangiavano simili creature), piombavano loro addosso e li respingevano strillanti alle loro caverne, e interrompevano qualsiasi malvagità stessero commettendo. Gli Orchi odiavano le aquile e le temevano, ma non potevano raggiungere le loro sedi eccelse né cacciarle dalle montagne.

Quella notte il Signore delle Aquile era veramente curioso di sapere che cosa stesse succedendo; così raccolse molte altre aquile attorno a sé e volarono via dalle montagne, e volteggiando lentamente in circolo scesero sempre più giù, verso il cerchio dei lupi e il luogo di raduno degli Orchi.

Per fortuna! Laggiù stavano succedendo cose tremende. I lupi che avevano preso fuoco ed erano fuggiti nella foresta l'avevano incendiata in più punti. Era estate inoltrata, e sul versante orientale delle montagne aveva piovuto poco. Felci secche, rami caduti, grossi mucchi di aghi di pino, e qua e là alberi morti furono presto in fiamme. Tutt'attorno alla radura dei Mannari il fuoco divampava. Ma i lupi di guardia non lasciarono gli alberi. Furiosi e rabbiosi saltavano e ululavano intorno ai tronchi, maledicendo i Nani nel loro orribile linguaggio, con le lingue fuori e gli occhi che lucevano rossi e divoranti come le fiamme.

Poi d'un tratto sopravvennero gli Orchi, urlando e correndo. Credevano che si stesse svolgendo una battaglia coi boscaioli; ma presto vennero a sapere che cosa fosse realmente accaduto. Alcuni di essi si sedettero e si misero addirittura a ridere. Altri scotevano le lance e battevano le aste contro gli scudi. Gli Orchi non hanno paura del fuoco e presto fecero un piano che parve loro molto divertente.


Date: 2015-12-17; view: 903


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