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Una riunione inaspettata 5 page

Sembrava abbastanza ampia, ma non troppo vasta e misteriosa. Aveva un suolo asciutto e alcuni comodi angolini. A un'estremità c'era posto per i pony ed essi si misero lì (molto contenti del cambiamento) sbuffando e masticando rumorosamente col muso nella sacca del foraggio. Oin e Gloin volevano accendere un fuoco sulla soglia per asciugare i vestiti, ma Gandalf non ne volle sapere. Così sparsero gli indumenti bagnati al suolo, e ne tirarono fuori di asciutti dai loro fardelli; poi si aggiustarono le coperte, tirarono fuori la pipa, e fecero degli anelli di fumo, che Gandalf tramutò in vari colori e spedì a ballare sul soffitto per divertirli. Parlarono e parlarono, e dimenticarono la bufera, e discussero di che cosa ciascuno avrebbe fatto con la sua parte del tesoro (quando l'avessero ottenuto, cosa che al momento non sembrava tanto impossibile); e così si addormentarono l'uno dopo l'altro. E quella fu l'ultima volta che si servirono dei loro pony, pacchi, bagagli, attrezzi ed effetti personali.

Dopo tutto, l'aver portato con loro il piccolo Bilbo si rivelò un'ottima cosa, quella notte. Infatti, per un motivo o per l'altro, per un bel po' egli non riuscì ad addormentarsi; e quando finalmente si addormentò, fece sogni bruttissimi. Sognò che una fenditura nella parete posteriore della grotta si ingrandiva sempre di più, ed egli aveva molta paura ma non riusciva a dare l'allarme o far altro che restare disteso a guardare. Poi sognò che il suolo della grotta si spalancava sotto di lui, e che egli cominciava a precipitare, a precipitare, chissà dove.

A questo punto si svegliò di soprassalto, e scoprì che una parte del sogno era vera. Sulla parete posteriore della caverna si era aperta una grossa crepa, tanto da formare un passaggio abbastanza largo: fece appena in tempo a vedervi sparire dentro la coda dell'ultimo pony. Naturalmente emise un urlo fortissimo, un urlo forte quanto lo può emettere uno Hobbit, il che è sorprendente considerate le loro dimensioni.

Ed ecco saltar fuori gli Orchi, Orchi grossi, Orchi enormi e brutti, Orchi a non finire, prima che si potesse dire massi e sassi. Ce n'erano almeno sei per ogni Nano, e perfino due per Bilbo; e furono tutti agguantati e trascinati attraverso la fessura, prima che si potesse dire miccia e acciarino. Tutti tranne Gandalf, però. L'urlo di Bilbo era servito almeno a questo. Lo aveva completamente svegliato in una frazione di secondo, e quando gli Orchi gli si avvicinarono per agguantarlo, nella grotta ci fu un bagliore terribile come un lampo, un odore come di polvere da sparo, e molti tra di loro caddero morti.

La crepa si chiuse con uno scatto, e Bilbo e i Nani si trovarono dall'altra parte, quella sbagliata! Dove era Gandalf? Né loro né gli Orchi ne avevano la più pallida idea, e gli Orchi non persero tempo a scoprirlo. Acciuffarono Bilbo e i Nani e li spinsero avanti in gran fretta. Il buio era fittissimo, tanto che solamente degli Orchi che hanno preso l'abitudine di vivere nel cuore delle montagne potevano vederci. C'erano passaggi che si incrociavano e si intersecavano in tutte le direzioni, ma gli Orchi conoscevano la strada, come voi conoscete quella verso il tabaccaio più vicino; e la strada continuava a scendere, ed era terribilmente soffocante. Gli Orchi non sono certo persone molto tenere, e li pizzicavano senza pietà, sghignazzando e ridendo con le loro voci cavernose; e Bilbo si sentiva ancora più infelice di quando l'Uomo Nero lo aveva sollevato prendendolo per i piedi. Pensò con rinnovato e intenso desiderio alla sua bella e luminosa caverna hobbit. Non fu l'ultima volta!



Davanti a loro apparve ora un bagliore di luce rossa. Gli Orchi si misero a cantare, o piuttosto, a gracidare, accompagnandosi col battito dei piedi sulla pietra e scuotendo ritmicamente i loro prigionieri.

Afferra e spezza! Voragine nera!

Acciuffa, sbatti! Poi spazza a bufera!

E giù degli Orchi nel tetro palazzo

tu finirai, ragazzo!

 

Cozza, sfonda, fracassa, batti, pesta!

Martelli e mazze! Sonagliere a festa!

Picchia, colpisci, giù giù sotto il suolo!

Oh! mio figliolo!

 

La frusta sibila, sferza, poi schiocca!

Colpisce, e un gemito t'esca di bocca!

Cammina alacre e non t'arresta;

già gli Orchi trincano e fanno festa

ebbri essi danzano in giro pazzo

sottoterra, ragazzo!

 

Una cosa spaventosa. Le pareti riecheggiarono l'Afferra e spezza! e il batti, pesta! e il sinistro sghignazzare del loro sottoterra, ragazzo! Il significato genera le della canzone era fin troppo chiaro; infatti a un certo punto gli Orchi tirarono fuori le fruste, e le schioccarono facendole sibilare e sferzare, e così costrinsero tutti quanti a correre a più non posso davanti a sé; e più di un Nano già gemevi come un matto, quando entrarono barcollando in una grossa caverna.

Era illuminata da un gran fuoco rosso al centro, e da torce appese alle pareti, e rigurgitava di Orchi. Risero tutti e applaudirono freneticamente quando i Nani (col povero piccolo Bilbo alle loro spalle e più vicino alle fruste) entrarono correndo, mentre dietro di loro gli Orchi che li spingevano facevano schioccare e fischiare le fruste. I pony erano già stati pigiati in un angolo; e c'erano anche tutti i loro bagagli e fagotti che stavano a terra aperti, messi sottosopra dagli Orchi, annusati dagli Orchi, smaneggiati dagli Orchi, e disputati accanitamente dagli Orchi.

Temo che questa sia stata l'ultima immagine che ebbero di quegli eccellenti pony, incluso uno piccoletto, simpatico e robusto che Elrond aveva prestato a Gandalf, dal momento che il suo cavallo non andava bene per i sentieri montani. Il fatto è che gli Orchi mangiano cavalli, pony e somari (e altre cose molto peggiori), e sono sempre affamati. Comunque, per il momento i prigionieri pensavano solo a se stessi. Gli Orchi li incatenarono con le mani dietro la schiena e li legarono tutti insieme l'uno dopo l'altro, e poi li sospinsero all'estremità più lontana della caverna, col piccolo Bilbo che si trascinava, ultimo della fila.

 

 

Là nelle tenebre, su una pietra larga e piatta, sedeva un Orco orrendo dalla testa enorme, e intorno a lui stavano in piedi diversi Orchi armati delle asce e delle sciabole che sono soliti usare. Il fatto è che gli Orchi sono creature malvagie e crudeli. Non fanno cose belle, ma ne fanno molte di ingegnose. Possono scavare tunnel e miniere con bravura pari a quella dei Nani più abili, quando lo vogliono, anche se di solito sono disordinati e sporchi. Fanno molto bene martelli, asce, spade, pugnali, tenaglie e anche strumenti di tortura, oppure li fanno fare su loro disegno ad altra gente, prigionieri e schiavi che devono lavorare fino a che non muoiono per mancanza di aria e di luce. Non è improbabile che abbiano inventato alcune delle macchine che da allora in poi hanno afflitto il mondo, specialmente gli ingegnosi congegni per uccidere grandi masse di gente tutta insieme, poiché ruote, motori ed esplosioni sono sempre piaciuti loro moltissimo, anche se hanno cercato di lavorare il meno possibile con le proprie mani; ma in quei giorni e in quelle contrade selvagge essi non avevano ancora fatto tanti progressi (come vengono chiamati). Non odiavano i Nani in modo particolare, non più cioè di quanto odiassero tutti e tutto, e specialmente le persone pacifiche e prospere; anzi, in certi posti alcuni Nani malvagi avevano perfino fatto alleanza con loro. Ma avevano un rancore particolare verso il popolo di Thorin, a causa della guerra di cui avete sentito parlare, ma di cui non si tratta in questa storia; e comunque agli Orchi non importa chi catturano, purché riescano a farlo con furbizia e segretezza, e i prigionieri non siano capaci di difendersi.

«Chi sono questi miserabili?» domandò il Grande Orco.

«Nani, e questo!» disse uno di quelli che li avevano portati fin lì, dando uno strattone alla catena di Bilbo così che egli cadde in avanti sulle ginocchia. «Li abbiamo trovati che si riparavano nel nostro portico anteriore.»

«Che cosa significa ciò?» disse il Grande Orco rivolgendosi a Thorin. «Niente di buono, te lo assicuro! Spiavate gli affari privati del mio popolo, m'immagino! Non mi sorprenderei di scoprire che siete ladri! Assassini e amici degli Elfi, molto probabilmente! Avanti! Che hai da dire?»

«Thorin il Nano al vostro servizio!» egli replicò (era semplicemente una maniera educata di rispondere «niente»). «Non abbiamo nessuna idea delle cose che sospettate e immaginate. Ci siamo riparati dalla bufera in quella che sembrava una grotta adatta e fuori uso; niente era più lontano dai nostri pensieri che disturbare in qualsivoglia modo gli Orchi.» Il che era abbastanza vero!

«Uhm!» disse il Grande Orco. «Questo lo dici tu! Posso domandarti allora cosa facevate sulle montagne, e da dove venite e dove andate? In effetti vorrei sapere tutto di voi. Non che ti servirà a molto, Thorin Scudodiquercia, ne so già fin troppo della tua razza; ma di' la verità, o vi organizzerò qualcosa che non vi piacerà affatto!»

«Eravamo in viaggio per andare a trovare i nostri parenti, i nostri nipoti e nipotine, i nostri cugini di primo, secondo e terzo grado, e gli altri discendenti dei nostri nonni, che vivono a est di queste montagne squisitamente ospitali» disse Thorin, non sapendo bene cosa dire in un momento in cui ovviamente l'esatta verità sarebbe stata completamente fuori luogo.

«È un bugiardo, o Tremendissimo!» disse uno degli Orchi che avevano portato i prigionieri. «Molti dei nostri sono stati abbattuti dal fulmine nella grotta, quando abbiamo invitato questi esseri a venire giù; e sono morti come sassi! E poi non ha spiegato questa!» Egli tese la spada che Thorin aveva cinto, la spada che veniva dal covo degli Uomini Neri.

Il Grande Orco lanciò uno spaventoso urlo di rabbia quando la guardò, e tutti i suoi soldati digrignarono i denti, scossero gli scudi e batterono i piedi. Avevano riconosciuto immediatamente quella spada. Aveva ucciso centinaia di Orchi ai suoi tempi, quando i begli Elfi di Gondolin davano loro la caccia sulle colline o li combattevano sotto le loro mura. L'avevano chiamata Orcrist, «Fendiorchi», ma gli Orchi la chiamavano semplicemente Coltello. La odiavano, e odiavano ancora di più chiunque la cingesse.

 

 

«Assassini e amici degli Elfi» gridò il Grande Orco. «Squarciateli! Picchiateli! Mordeteli! Sbranateli! Portateli via nelle caverne scure piene di serpenti e non fategli più vedere la luce!» Era talmente arrabbiato che saltò su dal suo sedile e si precipitò lui stesso su Thorin con le fauci spalancate.

Proprio in quel momento tutte le luci della caverna si spensero, e il gran fuoco, puff!, esplose in una colonna di fumo bluastro e fosforescente che schizzò su fino al soffitto e sparse bianche scintille pungenti su tutti gli Orchi.

Le grida e le urla inarticolate, il gracidare, l'uggiolare, il farfugliare; gli ululati, i ringhi e le imprecazioni; lo strillio e lo stridio che seguirono erano al di là di ogni possibile descrizione. Molte centinaia di gatti selvatici e di lupi che fossero arrostiti vivi tutti insieme a fuoco lento sarebbero niente, a paragone. Le scintille scavavano fori brucianti nella carne degli Orchi, e il fumo che ora ricadeva dal tetto rendeva l'aria così spessa che perfino i loro occhi non riuscivano a vedervi attraverso. Presto caddero ammassati sul pavimento gli uni sugli altri, mordendo, picchiando e combattendo come se fossero tutti impazziti.

Improvvisamente una spada sfolgorò di luce propria. Bilbo la vide infilarsi diritta nel Grande Orco mentre questi stava in piedi fermo e stordito nel pieno della sua collera. Cadde morto e le sue guardie fuggirono via davanti alla spada, strillando nel buio.

La spada tornò nel fodero. «Presto, seguitemi!» disse una voce fiera e tranquilla; e prima che Bilbo capisse cos'era successo, trottava di nuovo in avanti, a più non posso, ultimo della fila, giù per passaggi scurissimi, con le urla degli Orchi che svanivano dietro di lui. Una pallida luce li guidava.

«Più svelti, più svelti!» disse la voce. «Non ci metteranno molto a riaccendere le torce!»

«Mezzo minuto!» disse Dori, che si trovava indietro, vicino a Bilbo, e che era un buon diavolo. Si prese lo Hobbit a cavalcioni sulle spalle aiutandosi meglio che poteva con le mani legate, e poi ripartirono tutti di corsa, con un clangore di catene, inciampando spesso, dato che non potevano servirsi delle mani per tenersi in equilibrio. Per un bel po' non si fermarono, e alla fine si trovarono proprio giù nel cuore della montagna.

Allora Gandalf accese il bastone magico. Naturalmente, era Gandalf; ma per il momento avevano ben altro cui pensare per domandargli come avesse fatto ad arrivare fin lì. Sfoderò ancora la spada, e nel buio essa sfolgorò di nuovo di luce propria. Ardeva di una collera che la faceva scintillare, se in giro c'erano degli Orchi; ora era vivida come una fiamma blu per la gioia provata nell'uccidere il potente signore della caverna. Non ebbe alcuna difficoltà a recidere rapidamente le catene degli Orchi e a liberare tutti i prigionieri. Il nome della spada era Glamdring la Battinemici, ve ne ricordate? Gli Orchi la chiamavano semplicemente Martello e, se possibile, la odiavano più di Coltello. Anche Orcrist era stata salvata; infatti Gandalf l'aveva portata con sé assieme all'altra spada, strappandola a una delle guardie terrorizzate. Gandalf pensava proprio a tutto; e anche se non poteva fare tutto, poteva fare molto per gli amici che si trovassero alle strette.

«Ci siamo tutti?» domandò, restituendo la spada a Thorin con un inchino. «Vediamo! uno: questo è Thorin; due, tre quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici; dove sono Fili e Kili? Eccoli qua! Dodici, tredici; ed ecco il signor Baggins: quattordici! Bene, bene! poteva andare peggio, anche se poteva andare molto meglio. Senza pony, senza cibo, senza sapere bene dove siamo, e con orde di Orchi furiosi alle calcagna. Su, andiamo avanti!»

Andarono avanti. Gandalf aveva pienamente ragione: in lontananza, lungo il passaggio che avevano percorso, cominciarono a udire rumori d'Orchi e grida orribili. Questo li fece schizzare avanti più velocemente che mai, e siccome il povero Bilbo non ce la faceva a tenere un'andatura veloce neanche la metà della loro - infatti i Nani possono mantenere un ritmo infernale nella loro corsa, se ce n'è bisogno, ve lo dico io - fecero a turno a portarselo in spalla.

Tuttavia gli Orchi sono più veloci dei Nani, e questi Orchi conoscevano meglio la strada (avevano aperto i passaggi proprio loro), ed erano fuori di sé dalla rabbia; così per quanto facessero, i Nani sentivano le grida e le urla farsi sempre più vicine. Ben presto furono in grado di udire perfino il battito sordo dei piedi degli Orchi, tanti, tantissimi piedi che parevano provenire proprio da dietro l'ultima curva. Potevano vedere alle loro spalle, nel tunnel che stavano seguendo, il bagliore delle torce rosse; e cominciavano a sentirsi mortalmente stanchi.

«Ma chi, chi me l'ha fatto fare di lasciare la mia caverna!» disse il povero signor Baggins rimbalzando su e giù sulla schiena di Bombur.

«Ma chi, chi me l'ha fatto fare di portare questo disgraziato di un piccolo Hobbit in una caccia al tesoro!» disse il povero Bombur, che era grasso e procedeva traballando col sudore che gli colava sul naso per il caldo e il terrore.

A questo punto Gandalf passò alla retroguardia e Thorin con lui. Uscirono da una curva molto stretta. «Dietrofront!» gridò Gandalf. «Sguaina la spada, Thorin!»

Non c'era nient'altro da fare; e agli Orchi non piacque affatto. Superarono la curva di slancio urlando a pieni polmoni e trovarono Fendiorchi e Battinemici che brillavano fredde e vivide proprio nei loro occhi attoniti. Quelli davanti lasciarono cadere le torce e lanciarono un grido prima d'essere uccisi. Quelli alle loro spalle gridarono ancora di più, e balzarono indietro, cozzando contro quelli che stavano sopravvenendo. «Coltello e Martello!» strillarono; e presto furono tutti in preda alla confusione, e la maggior parte di essi si affrettò a tornare da dove era venuta.

Passò un bel po' di tempo prima che alcuni di loro osassero oltrepassare quella curva. Nel frattempo i Nani avevano di nuovo percorso un lungo tratto di strada negli oscuri tunnel del reame degli Orchi. Quando questi se ne accorsero, presero le torce, infilarono scarpe leggere, e scelsero i loro corridori più veloci, dotati della vista più acuta e dell'udito più fino. Questi corsero avanti, rapidi come donnole al buio, e poco più rumorosi dei pipistrelli.

Ecco perché né Bilbo, né i Nani e neanche Gandalf li udirono arrivare. E neppure li videro. Gli Orchi invece, che li inseguivano silenziosamente, videro loro, perché il bastone magico di Gandalf continuava a emettere una fievole luce per aiutare i Nani nella loro avanzata.

Tutto a un tratto Dori, che adesso stava di nuovo alla retroguardia, venne agguantato nel buio, alle spalle. Gridò e cadde; e lo Hobbit gli rotolò giù dalla schiena nella tenebra più oscura; batté la testa sulla dura roccia e perse conoscenza.

 


CAPITOLO V

Indovinelli nell'oscurità

 

Quando Bilbo aprì gli occhi, si domandò se li avesse veramente aperti; infatti il buio non era meno fitto di quando li teneva chiusi. Non c'era nessuno vicino a lui. Immaginate la sua paura! non poteva udire niente, vedere niente e sentire niente tranne il suolo roccioso.

Molto lentamente si mise carponi e andò attorno barcollando, finché toccò la parete del tunnel; ma non poté scoprire niente né sopra né sotto: niente di niente, nessuna traccia degli Orchi, nessuna traccia dei Nani. La testa gli girava, ed era ben lontano dal sapere con un minimo di sicurezza in quale direzione stessero andando quando egli era caduto. Tirò a indovinare, e avanzò strisciando per un po', finché improvvisamente la mano andò a sfiorare per caso qualcosa che al tatto sembrava un sottile anello di metallo freddo, giacente sul fondo del tunnel. Bilbo era a un punto cruciale della sua vita, ma non lo sapeva. Si mise in tasca l'anello quasi senza pensarci, in quel momento sembrava che non potesse servire a niente di particolare. Non andò molto avanti, ma si sedette sul pavimento freddo abbandonandosi alla più completa disperazione. Pensò al Bilbo che friggeva uova e pancetta nella sua bella cucina a casa, perché poteva sentire dentro di sé che era ampiamente ora di mangiare qualcosa; ma questo lo rese soltanto più infelice.

Non era in grado di pensare al da farsi; né tanto meno era in grado di pensare a quanto era successo; o perché fosse stato abbandonato; o perché, se era stato abbandonato, gli Orchi non l'avessero catturato; e nemmeno perché la testa gli facesse tanto male.

La verità è che era rimasto a lungo steso per terra immobile, in un angolo buio, invisibile e incosciente.

Dopo un po' di tempo cercò a tastoni la pipa. Non si era rotta, e questa era una bella cosa. Poi cercò la borsa del tabacco, e ce n'era ancora un po', e questa era una cosa ancora più bella. Poi cercò dei fiammiferi e non riuscì a trovarne neanche uno, e questo distrusse completamente le sue speranze. Tanto meglio per lui, ammise quando ebbe ripreso del tutto i sensi. Solo il cielo sapeva che cosa la fiammella dei fiammiferi e l'odore del tabacco gli avrebbero tirato addosso fuori dai buchi neri di cui quel postaccio era pieno. A tutta prima, comunque, si sentì distrutto. Ma nel buttare all'aria tutte le tasche e nel tastarsi tutto cercando i fiammiferi, la mano gli capitò sull'elsa della piccola spada, il pugnale che aveva preso agli Uomini Neri e di cui si era quasi dimenticato; per fortuna gli Orchi non se n'erano accorti, perché la portava sotto le brache. La sguainò. Riluceva pallida e offuscata davanti ai suoi occhi. 'Dunque, anche questa è una lama elfica,' pensò 'e gli Orchi non sono molto vicini, anche se non sono lontani abbastanza.'

Ma si era un po' rincuorato. Cingere una lama forgiata a Gondolin per le guerre contro gli Orchi, di cui tante canzoni avevano cantato, era una cosa che dava prestigio; ed egli si era anche accorto che questo tipo di armi aveva fatto una grande impressione agli Orchi che erano improvvisamente piombati su di loro.

'Tornare indietro?' pensò. 'Neanche per sogno! Andare di lato? Impossibile! Andare avanti? È la sola cosa da fare! Dunque, in marcia! ' Così si alzò, e trotterellò via con la piccola spada sguainata davanti a sé, tastando la parete con una mano, e col cuore che era tutto un frenetico tic-tac.

 

* * *

 

Bilbo si trovava ora in quella che viene propriamente chiamata una strettoia. Dovete però ricordare che per lui non era proprio così stretta come lo sarebbe stata per me o per voi. Gli Hobbit non sono esattamente simili alla gente normale; e dopo tutto, anche se le loro caverne sono bei posti allegri e ben arieggiati, molto diversi dai tunnel degli Orchi, tuttavia essi sono molto più avvezzi di noi a scavare gallerie e non perdono facilmente il senso dell'orientamento sotto terra - non quando la loro testa si è rimessa da una botta. Essi si possono muovere molto silenziosamente, e rimettersi in modo fantastico da cadute e contusioni; inoltre, hanno una riserva di saggezza e di proverbi di cui gli uomini, per lo più, non hanno mai sentito parlare o di cui si sono dimenticati da molto tempo.

Cionondimeno, non mi sarebbe piaciuto trovarmi nei panni del signor Baggins. Pareva che il tunnel non avesse mai fine. Bilbo sapeva solo che continuava a scendere costantemente sempre nella stessa direzione, nonostante una curva o due. Ogni tanto sui fianchi della roccia si aprivano dei passaggi laterali, come capiva dal luccichio della spada, o poteva sentire toccando la parete. Non se ne curò affatto, se non per affrettarsi a superarli temendo che da essi sbucassero fuori gli Orchi o altre cose oscure più o meno immaginarie. Continuò ad avanzare, a scendere sempre di più, e ancora non udiva alcun rumore eccetto il saltuario frullo di un pipistrello che gli passava vicino alle orecchie e al principio lo aveva sgomentato finché non divenne troppo frequente per preoccuparsene. Non so per quanto tempo andò avanti così, odiando di dover andare avanti a quel modo ma non osando fermarsi: avanti, avanti, finché fu stanco da non poterne più. Sembrava che dovesse continuare così fino all'indomani e oltre, per tutti i giorni futuri.

Improvvisamente e senza il minimo preavviso, clac! si trovò, trotterellando, coi piedi nell'acqua. Brr! Era gelata! Questo lo fece fermare di botto. Non capiva se era solo una pozza sul suo cammino, o la sponda di un ruscello sotterraneo che intersecasse il passaggio, o la riva di un lago sotterraneo scuro e profondo. La spada non brillava quasi affatto. Egli rimase immobile e, aguzzando le orecchie, udì delle gocce che plink! plink! cadevano da un soffitto invisibile nell'acqua sottostante; nessun altro rumore era percepibile.

'Dunque è una pozza o un lago, e non un fiume sotterraneo' pensò. Ma non osò avventurarsi nel buio. Non sapeva nuotare; e gli vennero subito in mente quelle viscide cose repellenti dai grandi occhi sporgenti e ciechi, che si muovono torcendosi nell'acqua. Esseri strani abitano pozze e laghi nel cuore delle montagne; pesci i cui antenati nuotarono fin lì, solo il cielo sa quanti anni fa, e non ne uscirono più fuori, mentre i loro occhi diventavano sempre più grandi cercando di vedere in quel buio nero come la pece; e altri esseri ancora, più viscidi dei pesci. Perfino nei tunnel e nelle caverne che gli Orchi si erano scavati per sé, si movevano creature che vivevano lì a loro insaputa, strisciatevi di nascosto e appiattite nel buio. D'altronde, alcune di quelle grotte risalivano a epoche anteriori agli Orchi, i quali si limitarono ad allargarle e a collegarle con numerosi passaggi, e gli antichi proprietari stanno ancora lì in angoli strani, aggirandosi intorno furtivi e curiosi.

Qui, nel profondo, presso l'acqua scura, viveva il vecchio Gollum, un essere piccolo e viscido. Non so da dove venisse, né chi o che cosa fosse. Era Gollum, scuro come l'oscurità stessa, eccezion fatta per due grandi occhi rotondi e pallidi nel viso scarno. Aveva una barchetta, e silenziosamente andava in giro sul lago; perché di un lago si trattava, profondo e mortalmente freddo. Come remi egli usava i suoi larghi piedi, che spenzolavano fuori dal bordo, ma non produceva mai un'increspatura. Lui no. Coi suoi pallidi occhi cercava pesci ciechi che ghermiva con dita lunghe, veloci come il pensiero. Gli piaceva pure la carne. Trovava di suo gusto anche gli Orchi, quando poteva procurarsene; ma stava ben attento a che non lo scoprissero. Li strangolava assalendoli alle spalle, se mai scendevano da soli in qualche punto vicino alla riva del lago, quando egli era uscito in cerca di preda. Lo facevano molto raramente, però, perché avevano la sensazione che qualcosa di sgradevole si nascondesse strisciando là sotto, alle radici della montagna. Erano giunti fino al lago, molto tempo addietro, quando avevano scavato le loro gallerie e avevano scoperto che non potevano avanzare oltre, sicché le loro strade in quella direzione finivano lì, e non c'era nessun motivo per passare da quelle parti, a meno che non lo ordinasse il Grande Orco. Talvolta infatti gli veniva l'uzzolo di mangiare pesci di lago, e talvolta né gli Orchi né i pesci ritornavano indietro.

Gollum, per la precisione, viveva sopra un isolotto roccioso e sdrucciolevole in mezzo al lago. Ora stava osservando Bilbo di lontano coi suoi pallidi occhi telescopici. Bilbo non poteva vederlo, ma lui era molto incuriosito da Bilbo, perché poteva facilmente constatare che non aveva niente a che fare con un Orco.

Gollum salì in barca e sfrecciò via dall'isolotto, mentre Bilbo sedeva sulla riva, tutto abbattuto per essere giunto ormai alla fine del proprio cammino e delle proprie risorse. Improvvisamente, ecco arrivare Gollum, sussurrando e sibilando:

«Benedicici e aspergici, tesssoro mio! Mi sssa che quesssta è carne di prima scelta; finalmente un bocconcino prelibato, gollum!» E quando disse gollum inghiottì, con un orribile rumore di gola. Era questa la ragione del suo nome, sebbene egli chiamasse sempre se stesso «mio tesoro.»

Lo Hobbit schizzò quasi fuori dalla pelle quando il sibilo gli giunse alle orecchie, e improvvisamente vide quegli occhi pallidi che sporgevano verso di lui. «Chi sei?» disse, piantandogli la spada davanti.

«Che cosa sssarà, tesssoro mio?» sussurrò Gollum (che si rivolgeva sempre a se stesso, non avendo mai nessuno altro con cui parlare). Proprio per scoprire questo era venuto, poiché al momento, in verità, non aveva molta fame, solo curiosità; altrimenti avrebbe prima ghermito e poi sussurrato.

«Sono il signor Bilbo Baggins. Ho perso i Nani, ho perso lo stregone e non so dove sono; né m'importa di saperlo, se solo riesco a uscire di qui.»

«Che cosss'ha in mano?» disse Gollum, guardando la spada, che non gli piaceva affatto.

«Una spada, una lama che fu forgiata a Gondolin!»

«Ssss!» disse Gollum, e si fece educatissimo. «Forse dovremmo sederci qui e chiacchierare un pochettino, tesssoro mio. Gli enigmi gli piacciono, forse gli piacciono, non è vero?» Era ansioso di mostrarsi amichevole, almeno per il momento e fintantoché non ne sapesse di più sulla spada e sullo Hobbit: se fosse veramente tutto solo, se fosse buono da mangiare, e se lui, Gollum, avesse veramente fame. Gli enigmi erano la sola cosa che gli fosse venuta in mente. Porli, e talvolta scioglierli, era stato l'unico gioco cui avesse mai giocato con altre buffe creature che sedevano nelle loro caverne in un passato lontano lontano, prima di perdere tutti i suoi amici e di essere scacciato via, solo, e di scendere furtivamente nelle tenebre, sotto le montagne.


Date: 2015-12-17; view: 1232


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