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La cotta del ragionier Nizzi

II ragionier Nizzi s'innamorò della nuova cassiera. Era bruna, con gli occhiali e aveva un seno stupendo, a schiena di cammello, che teneva sparso sulla cassa in bella evidenza. Quando dava il resto, spesso si faceva ca­dere nella scollatura una monetina, e la recuperava con un risolino. Un giorno che lo fece davanti a Nizzi, il ra­gioniere, che in vita sua non aveva mai azzardato una battuta, disse: "Lasci signorina, faccio io che ho la mano calda". La cassiera diventò rossa e fece una risatina che atterrò la pila delle gomme americane. Nizzi si rim­boccò una manica e recuperò la moneta. Poi tornò al ta­volo in un lago di sudore e disse: "Sono innamorato".

Il giorno dopo arrivò con un vestito di lino bianco di quelli garantiti ingualcibili; infatti aveva le maniche co­me fisarmoniche, e nei pantaloni si aprivano crepacci e si innalzavano dune. Aveva anche un foulard giallo, che era poi un panno Esso per lavare i vetri, nuovo di zecca. S'era dato anche il burro cacao. La sua trasformazione fu commentata con rispetto. Quel giorno acquistò dieci gomme da masticare, dieci caffè e dieci Campari. In so­stanza, passò appoggiato alla cassa quasi tutto il tempo, scambiando cinquecento lire e sorrisi radiosi. "Non ha venti lire. Nizzi?" diceva la Giara, e lui: "Per lei questo e altro", e la Giara: "Non mi farà cambiare ancora un die­cimila, uh, uh, uh", e lui: "Suvvia, non sia cattiva", e la Giara: "Le devo dare duemila lire tutte in monete da cen­to lire", e lui: "Andrò a casa con la carriola", e la Giara: "Uh, aha, signor Nizzi, aha, uhu, ih, ahu", e quelli del bar: "Nizzi è completamente andato". Ogni mattina Nizzi cominciò a presentarsi al bar alle sei e mezzo, e ad andar via di cappuccini, tre all'ora, fi­no alle dieci, tanto che dopo una settimana gli cominciò a tremare una mano per via di quell'orgia di caffè. Poi verso mezzogiorno cominciava a sbronzarsi di campari-no e bitter, e alle due, completamente ubriaco, andava a mangiare a casa dove la vecchia madre era spesso co­stretta a mettergli due dita in gola. Al pomeriggio anda­va a lavorare, usciva prima di nascosto, e tornava dalla sua Giara. Cominciò ad acquistare biscotti inglesi, boeri, caramelle mou, lenti e, in breve, acquistò anche nove chili. Ma era sempre più felice, e la Giara sempre più bella e radiosa; continuava a far cadere manciate di spiccioli tra i seni, con sguardi che erano ormai più di una promessa. Il campanello della cassa e le risate selvagge dei due finirono con l'essere il sottofondo musica­le ininterrotto del bar, e di Nizzi, sempre appoggiato, di­venne ormai più familiare il sedere che la faccia.

Verso agosto, fu chiaro che presto questo gioco ero­tico e passionale sarebbe esploso in tutta la sua violen­za. Il caldo allupava i volti, e la Giara cominciò a pale­sarsi con vestiti mini di raso giallo, attraverso i quali si vedevano i coniglietti disegnati sulle mutande. La parti­colare posizione faceva sì che i coniglietti, a ogni movi­mento della Giara, si spostassero ovunque, come se ci fosse un incendio nell'allevamento. Portava anche scol­lature abissali, e zoccoli alti venti centimetri dai quali ogni tanto precipitava al suolo, rimbalzando sui seni e tornando immediatamente in posizione eretta. Un gior­no si presentò addirittura con una parrucca bionda. Nizzi, ipnotizzato, si diresse verso la cassa e acquistò un panettone, che cominciò a stringere spasmodica-mente tra le mani fino a ridurlo alle dimensioni di una normale pasta. La Giara, a quel chiarissimo invito, chinò pudica gli occhi. Ci fu un momento di grande tensione: Nizzi e la Giara si fronteggiavano, divisi solo dalla calcolatrice. Lui con due monete da cento lire in mano che, per il sudore, schizzavano qua e là come sa­ponette. Lei con una mano sul seno, che il respiro emo­zionato alzava e abbassava ritmicamente, tanto che il suo viso non era visibile che in fase calante. Nizzi disse: "Voglio il resto". La Giara respirò e il seno la coprì alla vista. I clienti del bar si alzarono in piedi: tra pochi istanti, ne erano sicuri, sarebbe successo qualcosa. La Giara aprì la bocca e proprio in quel momento la porta si spalancò e si sentì una voce maschia gridare: "Pa­ste!". E apparì Sergio, il nuovo fornaio.



Era naturalmente a petto nudo, e i peli fluttuavano in tutte le direzioni come alghe nel mare; il bel viso intelli­gente, con un unico sopracciglio che filava da un orec­chio all'altro, splendeva di giovinezza. Arrivò fino alla cassa e posò per terra una gerla di tre quintali di pane: nel far ciò il muscolo del suo braccio destro si impennò come un delfino e andò a posarsi sulla cassa, proprio sotto gli occhi della Giara, che non potè che commenta­re: "Occmel!".

"Vi ho portato lo sfilatine toscano, quello vero, bella bruna," egli cominciò a stornellare con una mano sul cuore, mentre Nizzi impallidiva. Poi si avvicinò a Giara e fece una verticale sulla macchina espresso. La Giara di­ventò rossa e per l'emozione si dette la cipria con un krapfen. Nizzi crollò a sedere. Il fornaio uscì, accompa­gnato dallo sguardo adorante della Giara. Nizzi si avvi­cinò al banco e chiese un doppio cognac. La Giara lo guardò freddamente e fece: "Mi dispiace, ma non ho die­cimila lire da cambiare. Senta dal salumiere".

Il sogno d'amore di Nizzi si era spezzato. Il poveretto tentò il suicidio andando in trasferta a Roma e gridando "abbasso la Lazio" per novanta minuti. Guarì in sessan­ta giorni. La Giara e il fornaio si sposarono e Nizzi, spor­tivamente, regalò una pentola a pressione.

Il nonno da bar

II nonno da bar, entrando, è sempre di spalle.

Guarda la televisione. Molto spesso la televisione è spenta, ma lui guarda lo stesso e ride.

Allora vuoi dire che è completamente suonato.

Non importa.

Il nonno da bar ha sempre giacca e cravatta. La cra­vatta è un po' vecchia: è diventata, con gli anni, dura co­me l'acciaio per le macchie di sugo e di toscano.

Quando il nonno cammina, la cravatta emette il ca-ratteristico suono di lamierino.

Qualche nonno, assalito da un malvivente, si sfila la cravatta dal collo e lo pugnala. I nonni che vengono ra­pinati sono solo quelli col papillon.

Dentro al nonno c'è il toscano. Un toscano da nonno è come un iceberg: la superficie visibile è solo un quarto: il resto è dentro la bocca del nonno.

Talvolta il nonno fuma a bocca chiusa: la presenza del toscano è rivelata solo dalla puzza.

Un toscano non si spegne mai. Resta in tasca anche due giorni. Quando il nonno lo tira fuori di tasca, dà un tiro e lo riaccende.

Il nonno da bar è pieno di ingenuità e di catarro.

Ogni tanto, tra i tavoli, si sente un rumore caratte-ristico: kkkrrrooaaaaarrrkkk. È la scatarrata del nonno.

A questo punto gli avventori più accorti si mettono in salvo dietro il banco, o sugli alberi.

La scatarrata è come il tuono. È un avvertimento. Ar­riverà il fulmine: lo sputo del nonno. Quattro nonni che scatarrano insieme fanno più rumore della partenza di m gran premio a Monza.

Ma questo è niente.

Il nonno, dopo la scatarrata, si guarda in giro. Guar­da dove sputare. Poi sgancia. Il barista piange.

Alle cinque il nonno accende la televisione e guarda la Tv dei ragazzi. Gli piace moltissimo, anche se spesso non capisce.

Il resto, in realtà, lo odia. Tutto. Da Carosello al Tele­giornale.

Il nonno guarda la televisione e proferisce terribili minacce. Insulta i presentatori e fa versi alle annuncia­taci. A volte sembra addirittura sul punto di vomitare. Ma se la televisione si mette a fare le righe, impazzisce.

Comincia a parlare di congiura. Si alza in piedi. Gira tutte le manopole e finisce quasi sempre per staccare il filo con un piede. Morde chiunque tenti di avvicinarsi al televisore. Solo l'elettricista può andargli vicino. Gli fa due carezze, lo mette a cuccia e aggiusta il televisore.

Allora il nonno torna a sedersi.

E ricomincia a brontolare.

Il nonno odia tutte le discussioni di sport. Quando sente che se ne avvicina una, alza il volume al massimo, e si mette a mezzo metro dall'apparecchio.

Se qualcuno gli dice qualcosa, si finge sordo. In realtà, se qualcuno mastica gomma americana in ultima fila, lui si volta e lo fa smettere.

Il nonno odia soprattutto due cose: i gelati e Merckx.

I gelati perché è molto goloso, ma lui non riesce mai a mangiarne uno senza restare col bastoncino in mano e tutto il resto precipitato sulle braghe. Asserisce che le case non fanno gelati, ma macchine diaboliche per spor­care i nonni.

II suo sogno sarebbe un gelato che gli camminasse fi­no in bocca.

Odia Merckx perché non vuole che si faccia il para­gone con Pozzi. Appena sente la parola Merckx estroflet-te la dentiera in un ghigno aggressivo. Poi dice: "Ma che Merckx! Ai miei tempi sì, che c'erano dei corridori".

 

 


Date: 2015-12-11; view: 978


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